– Dopo tutto quello che ho fatto per te, è così che mi ripaghi adesso? –
(“E’ facile liberarsi dei rompipalle se sai come farlo” Ed. Corbaccio)
Questa può essere una frase, molto tipica per altro, che una madre dice al proprio figlio ma che chiunque potrebbe recitare e la prendo in prestito per continuare il tema delle “persone nocive” che vi avevo mostrato QUI con l’aiuto di Bernardo Stamateas anch’egli presentato nello stesso articolo. Iniziando con l’aggressore verbale, continuiamo oggi con il colpevolizzatore.
Par di parlare di un despota, di un tirranno, sentite solo il nome: col-pe-vo-liz-za-to-re. Che durezza. Un mirino puntato addosso pronto a sparare. In realtà non è una rara forma di carrarmato che s’incontra sporadicamente nella vita. Non è un mostro e nemmeno un alieno. Il colpevolizzatore è una personalità che si frequenta, purtroppo, molto più di quello che pensiamo. Magari fa persin parte della nostra famiglia. E perché è nocivo questo individuo? La risposta è semplice: instilla negli altri, in modo subdolo, il senso di colpa. Un certo Anonimo diceva
– Di novanta malattie, cinquanta sono provocate dal senso di colpa e altre quaranta dall’ignoranza -.
I sensi di colpa, ormai lo sanno molte più persone rispetto a un tempo, causano davvero seri malesseri nella nostra parte più intrinseca che si rivelano poi anche in quella fisica e fisiologica.
Possiamo quindi dire in tutta tranquillità che, il colpevolizzatore, ci fa ammalare. Come impedirglielo? Innanzi tutto, la cosa principale e più difficile è quella di riconoscerlo. Si perché come spiegavo prima, utilizzando l’aggettivo – subdolo – ho rivelato che esso lavora in modo viscido, ambiguo, infido. Non lo si nota. Riprendiamo l’illuminante frase di inizio articolo – Dopo tutto quello che ho fatto per te, è così che mi ripaghi adesso? -. Oh! Bene. Una frase ricca di diritti giusto? Io ti ho partorito, io ti ho dato da mangiare, io ti ho pulito il sedere, io ti ho mandato a scuola, etc, etc…. E scusate se mi permetto di chiedere cos’altro si sarebbe dovuto fare dal momento che si decide di mettere al mondo un figlio. Che importa se questo figlio poi l’ho fatto crescere solo per sconfiggere la mia solitudine, che importa se l’ho nutrito dell’odio che provavo verso il suo stesso padre (o verso la madre), che importa se l’ho riempito di paure o se non l’ho ascoltato o non gli ho dedicato tutto il tempo di cui aveva bisogno. Ciò che la legge e la morale dice l’ho compiuto e ora lui, volente o nolente, deve essermene riconoscente. Quale altro animale, al di là dell’Uomo, concepirebbe frasi e comportamenti di questo genere? Nessuno. Tre anni fa circa, un mio caro parente, è stato ricoverato presso il Santa Corona di Pietra Ligure, in provincia di Savona. Per quel che mi riguarda, un ottimo Ospedale e anche molto grande. Nella stanza delle speranze vane erano in due: il mio caro e un altro anziano. Anziano è poco a dire il vero. Un corpo ossuto di cartapesta, giaceva immobile, completamente intubato, con gli occhi chiusi, la testa priva di vitalità reclinata all’indietro e la bocca spalancata. Era davvero il ritratto della morte terrena. Potei vederlo per circa un mese visto che la “nostra” fu una storia parecchio lunga. Notai immediatamente la solitudine di colui che pareva un nonnino abbandonato a se stesso. Se gli altri pazienti avevano ogni giorno almeno un familiare che andava a trovarli con il quale, com’è ovvio in certe circostanze, si stringeva anche amicizia, lui era perennemente e completamente solo.
Fu soltanto una mattina, quando vidi il suo letto vuoto e un’infermiera che lo stava rifacendo, che notai di sfuggita una figura allontanarsi da quel comodino color verde-acqua, pronto a servire qualcun altro. Quell’infermiera era per me ormai una conoscente e mi osai quindi a chiederle dove avessero trasferito quel vecchio. Sarei persino andata a trovarlo dal momento che quando era nella stanza del mio parente provavo a dargli sostegno senza problema.
– E’ morto – mi rispose lei – questa notte –
– Uh! – feci io senza riuscire ad emettere nessun’altra parola
– Quello che è uscito era il figlio – continuò lei – forse è la seconda volta che viene in tanti mesi di ricovero –
– Ehm… già, avevo notato che non era circondato da… –
M’interruppe – La figlia una sera mi disse che il loro padre era un mostro. Un violento. Un dittatore. Picchiava la loro mamma e non risparmiava botte neanche a loro. Lo odiavano. Io poi non so se è vero naturalmente -.
E nemmeno io lo so. Non posso permettermi di giudicare. E, per l’appunto, non si dovrebbero mai giudicare i comportamenti degli altri.
Tutto questo discorso, fin troppo esagerato, per sciogliere i requisiti posteriori che potrebbe avere una frase apparentemente così tanto materna ma che, Stamateas per primo, prende proprio come esempio perché, che se ne dica, è una frase che crea un senso di colpa. Anche questa è manipolazione. Vale a dire uccisione della libertà dell’altro. Esattamente. Un omicidio.
Premettendo che, nel caso specifico dei genitori, si sta parlando comunque di altrettante vittime precedenti a noi, tale frase non ha nessun diritto di esistere. Soprattutto se l’amore e ciò che si compie nel senso del suo nome è incondizionato. Questa citazione (e simili) non la si dovrebbe pronunciare in nessuna forma. Nasce nel momento stesso in cui, quella persona, per poter appagare determinare compulsioni proprie quali: bisogno d’affetto e di stima, paura della solitudine, paura del giudizio degli altri, paura della vita, cerca di ottenere ciò che gli manca attraverso la superbia e la malizia. A volte anche attraverso l’arroganza, a volte no. Spesso, il colpevolizzatore infatti, usa persino le lacrime e un tono lieve, sottile, supplichevole. E’ un fenomeno che s’innesca automaticamente in questi individui che, anziché procacciarsi ciò che gli serve da soli, buttandosi nella vita con coraggio, preferiscono arretrare, nascondendosi dietro un dito e obbligare gli altri a servirli in ciò che più gli è utile. Il problema avviene appunto quando si accetta di accontentarli. Quando si pensa, edulcorati dalla società e dall’educazione che abbiamo ricevuto, “in effetti ha ragione, che brutta persona che sono”. Ma dicevamo…. Come riconoscerli? Oh, in realtà è molto semplice e non così difficile come accennavo prima. Basta ascoltare il cuore e non è retorica la mia. Siamo tutti vittime o vincitori delle nostre scelte. Dai, lo percepiamo tutti benissimo quando un qualcosa ci da’ fastidio o ci fa male all’interno del nostro cuore, giù in fondo, dietro allo stomaco. Perciò non cerchiamo di cambiare lui. Il colpevolizzatore non si cambia, come non si cambia nessun tipo di persona nociva. Il miglior modo per cambiare l’altro è non cercare di cambiarlo per nulla. Ogni volta che prendi una decisione, chiediti se quella decisione ti aiuterà ad essere la migliore versione di te stesso. Se non è così, ti stai violentando. Ti stai ammalando. Ti stai mascherando. Mentre sei nato per essere libero e, come tutti gli esseri viventi, hai il diritto di essere felice.
E sapete perché il colpevolizzatore riesce così bene nel suo intendo senza neanche sapere egli stesso da dove arriva tutta questa magia? Perché il senso di colpa è un sentimento indescrivibilmente doloroso. E’ una piaga. L’erosione dell’anima e della carne. Un mostro che vive dentro di noi e che, con i suoi tentacoli, ci avviluppa ogni organo vitale. Siamo disposti a fare qualsiasi cosa pur di non sentirlo muoversi lentamente dentro noi stessi. Pur di non udirlo condizionarci la vita talvolta anche per anni. Il colpevolizzatore è fondamentalmente un approfittatore anche se indossa i panni di una dolce vecchina. Approfitta del vostro dolore per ottenere il proprio benessere. E’ un egoista. E un menefreghista. Un egocentrico. La sua problematica deve stare al centro di ogni esperienza, trascurando la presenza e gli interessi degli altri. Gli altri sono solo umili servitori. Impara a dire no ad un colpevolizzatore.
Il più bel concetto ch’io abbia mai sentito a tal proposito, e non solo inerente ai colpevolizzatori, che tra l’altro già vi avevo scritto in un precedente post, appartiene a Salvatore Brizzi, studioso della trasmutazione alchemica delle emozioni e diverse altre tematiche, ed è la seguente:
quando dai la colpa a qualcuno gli stai dando anche Potere, il tuo Potere. Gli dai il Potere di renderti felice o infelice. Ma se una persona o un evento possono renderti felice o infelice, allora tu non sei un uomo libero, sei un servo; sei condannato a vivere sperando che nessuno ti faccia mai niente di male. Se hai questa consapevolezza sei una maga o un mago; se non ce l’hai sei una vittima, un piegato, un lamentante.
(“Risvegliare la macchina biologica per utilizzarla come strumento magico” Ed. Antipodiedizioni)
Il colpevolizzatore ha modo di esistere perchè chi ha di fronte glielo permette. E naturalmente non solo di genitori si parla. Datori di lavoro, amici, persino i vostri stessi figli possono esserlo.
– fallo per me che ti voglio bene –
– se non ti fossi comportato così non sarebbe accaduto questo –
– te la sei voluta –
– tu hai fatto, tu hai detto, la colpa è tua –
– tu non hai fatto, tu non hai detto, la colpa è sempre tua –
– avresti dovuto… non avresti dovuto… –
Mangiateveli crudi a colazione e sollevate la bocca dal fiero pasto. Ma sia chiaro…, io non vi ho detto niente. Non date possibilità ad un colpevolizzatore anche perchè, è ovvio, egli sta facendo in primis, gran male a se stesso. E sarà proprio non concimando queste sue angosce che riuscirete ad aiutarlo.
Prosit!
photo camillani.it – faredelbene.net – femminilitaestile.it – marinabisognoblogger.eu – medicitalia.it – napolistyle.it – tp24.it
Interessantissimo post….
mah…fosse facile, fosse
La famiglia è la prima porta del senso di colpa, la prigione emotiva, una cosa è educare un altra è dare l’esempio. Poi tutto ciò che ci circonda dall’infanzia in poi.
E col tempo si impara .ma mai del tutto.
C’è sempre un prezzo da pagare .rinunce da fare .colpe da espiare
e una valigia di “se” sempre nelle nostre mani.
buona giornata
.marta
"Mi piace"Piace a 2 people
Grazie Marta per – l’interessantissimo – e per questo tuo commento che porta a riflettere. Ecco, quel “sempre” si potrebbe iniziare a trasformare in “qualche volta” magari. Perchè, ciò che dici, è assolutamente vero ma mi chiedo, facciamo davvero il possibile affinchè ciò non avvenga? Forse qualcosa si potrebbe ottenere. Un bacione e un forte abbraccio.
"Mi piace""Mi piace"
in famiglia può essere doloroso assistere un anziano
molto piu’ facile fare volontariato con gli estranei
l’amore a volte non basta
l’amore a volte non c’è
si consuma, si distorce e tutto diventa sofferenza.
parola mia… kiss e complimenti bel post♥
"Mi piace""Mi piace"
E’ vero Rosa, l’amore a volte non c’è, e non c’è da nessuna parte. E a mio avviso non lo so può inventare o creare artificialmente. Grazie per questo tuo messaggio, bello averti qui. Ti abbraccio forte.
"Mi piace""Mi piace"