Il Cavagno dell’Intelligenza (per me)

SOLO L’OMBRA DI UNA GRANDE FAMA

Ho conosciuto e frequentato per diverso tempo una persona, a mio avviso, molto intelligente o per lo meno così sembrava. Era un uomo anzi… lo è ancora, ma parlerò all’imperfetto in quanto non condivido più il mio tempo con lui.

Era una persona affascinante e sempre capace di risolvere qualsiasi problematica trovando soluzioni perfette, e in breve tempo, che sollevavano l’animo di chi era in difficoltà. Astuto, lungimirante, acuto, aveva secondo me un’intelligenza fuori dal normale e, quando parlava, m’incantavo ad ascoltarlo. Sembrava un’enciclopedia vivente. Conosceva ogni cosa, di qualsiasi argomento.

Capace, per nulla stupido, appariva supponente a volte ma solo perché non aveva paura di affrontare gli altri e il loro giudizio, e questo, agli occhi della gente, lo faceva passare per uno che guardava tutti dall’alto in basso. Inoltre… non sopportava i tonti e nemmeno le decisioni tonte o i metodi tonti quindi, questo, ai tonti, non piaceva.

Con la sua parlantina e la sua abilità da gran paroliere mi rapiva e, spesso, sentendomi piccola al suo cospetto, lo innalzavo dove pochi erano arrivati nelle mie valutazioni.

M’incuriosiva stuzzicando la mia sete di sapere. Ogni mia domanda aveva una risposta. Ogni mia frase una sua quotazione. Ogni mia riflessione un suo giudizio. Mi accorsi poi, col tempo, che ogni suo giudizio però era contrario (sempre) a tutto quello che io dicevo o esprimevo. Dapprima in modo dolce, come a volermi spiegare e far crescere, poi sempre più tagliente e in opposizione tanto da farmi, col passare dei giorni, sentire una stupida. Errore mio naturalmente.

Oggi so che era solo un suo bisogno. Il bisogno di dimostrare che lui sapeva anche altro. Non gli bastava dire – Sì è vero -, lasciando soltanto a me la soddisfazione, doveva per forza far vedere che lui riusciva ad andare oltre . Era un suo bisogno/demone. Doveva dimostrare che era più che adatto (si sentiva inadeguato e non all’altezza intrinsecamente: un insicuro cronico).

SEMBRAVA UN’INTELLIGENZA INVECE ERA UN CALESSE

Iniziai a pormi delle domande e, scrutandolo più accuratamente, ebbi modo di notare che non faceva così solo con me ma anche con molti altri. Gli unici che avevano per lui ragione e che anche se dicevano enormi castronate godevano della sua stima erano persone verso le quali lui pendeva dalle loro labbra. Un’assurdità che non stava in piedi al vederlo così austero e tutto d’un pezzo, quasi granitico nei suoi discernimenti e nel suo modo di ragionare mentre conduceva la propria vita.

Riconobbi anche due caratteristiche che ben poco mi piacquero e mi fecero drizzare le antenne. A lungo andare, infatti, vidi che questa persona:

1) non mi chiedeva mai – scusa

2) non ammetteva mai di aver sbagliato

Aveva sempre ragione lui. A costo di arrampicarsi sui vetri, di offendersi, di rigirare la frittata (e chi più ne ha più ne metta) lui doveva averla vinta.

A quel punto mi ci volle poco a comprendere che, in realtà, la sua non era saggezza era saccenza. La sua non era conoscenza intrinseca ma bisogno di stupire. Ma soprattutto la sua non era intelligenza ma istruzione. Ci rimasi male ma di questo, lui, non aveva colpe. Avevo fatto tutto io, sbagliando a valutare.

Ecco, di questo vorrei parlare; della grande differenza tra intelligenza e istruzione. Un filo sottile che spesso ci trae in inganno e poi ci lascia delusi e amareggiati.

Vedete, l’intelligenza è stata studiata da molti esperti anche solo per riuscire a descriverla decodificando bene cosa fosse. Dove nasceva? Cos’era? Dov’era? Come si muoveva? È stata anche suddivisa infine in varie tipologie e questo porta a capire come un individuo possa essere dotato di un tipo di intelligenza ma non di un’altra.

PIC-NIC INTELLIGENTE

Molto semplicemente io penso che l’intelligenza sia un cavagno. Sì, un cestino. Un cestino pieno di roba. Un cestino pieno di qualità con una bella tovaglietta a quadretti bianchi e rossi a ricoprirle.

L’intelligenza è sicuramente costituita da quelle peculiarità considerate scomode dai più ma utili all’essere umano come: la furbizia, il sano egoismo, l’intolleranza, l’ostinazione, l’oculatezza e vari “saperi”. Sapersela cavare, saper valutare, saper cogliere le occasioni, saper approfittare, saper osservare, etc… ma senza la presenza di determinate virtù all’interno di un individuo, prettamente figlie dell’Amore, io non so se si può considerare Intelligente quella persona.

Sto parlando di umiltà, di gentilezza, di compassione, di bontà, di delicatezza, di leggerezza, di altruismo, di comprensione, di eleganza, di dolcezza, di tolleranza, di educazione, di pazienza, di gioia

Banalmente, io credo che una persona che non affermi mai di poter essere in torto e soprattutto pur accorgendosi di sbagliare non lo ammette non può essere considerata: Intelligente. E’ la mia personale opinione ma durante la mia esistenza penso essere questa la conclusione che ho dato al termine: Intelligente.

La persona Intelligente ha il modo. Il modo è importantissimo. E lo ha con tutti non solo con chi piace a lui a meno che non siano irrispettosi. In particolare, sa valutare bene le persone. Non considera – degno – solo chi riesce a tenerlo tra le grinfie e – non degno – chi invece a lui semplicemente non piace.

EXCUSATIO NON PETITA ACCUSATIO MANIFESTA (Chi si scusa s’accusa)

Sì, certo. Che c’è di male nell’accusarsi?

Penso che le persone che si ergono a docenti debbano prima di tutto essere intelligenti e poi istruiti. Avere quell’intelligenza, fine, che fa capire come tutti abbiano necessità di dolcezza, tutti abbiano necessità di pazienza e comprensione.

Gli esseri sono lì, di fronte a te e tu a loro puoi dare. Indiscriminatamente.

I tuoi sentimenti sono altre cose che non c’entrano in questo argomento anche se alcune Intelligenze, dal punto di vista neuroscientifico, li comprendono. Occorre essere equi. Equi  con gli altri, con se stessi e all’interno della situazione. Se tratti male il prossimo, se lo fai soffrire con i tuoi modi, se non lo consideri mai degno del tuo dispiacere (le famose scuse)… tu, per me, non sei intelligente. Puoi avere dieci lauree e mille specializzazioni ma non sei intelligente. L’Intelligenza non ti permette di fare volontariamente male per l’appagamento di un tuo bisogno. Fermi tutti, perché adesso qui si esce fuori dicendo che un serial killer può essere intelligente. E’ vero, certo che può esserlo. E allora vengo accusata di confondere l’intelligenza con la sensibilità. No. Sempre personalmente, credo che l’intelligenza comprenda anche la sensibilità. Un serial killer può essere intelligente in parte, può essere astuto, può essere calcolatore ma non intelligente in toto.

I grandi studiosi ancora oggi non sanno dare un’esatta valutazione dell’intelligenza. Si è giunti quindi a studiare che l’intelligenza può essere lo stato in cui ti adatti o reagisci ad un’eventuale situazione. Come la si affronta, come la si risolve. Una sorta di resilienza. Ma se ti offendi per una risposta ricevuta e ti preoccupi solo di mostrare te stesso la resilienza dov’è? Penso sia vero ma è come frammentare sempre l’intelligenza in qualche modo. Se invece vogliamo parlare di cavagno, e metterci dentro tutto quello che può aver a che fare con l’intelligenza, secondo me: la boria, la cattiveria, il sadismo, l’approfittarsi, la stupidità, il fastidio, la presunzione… etc… non ci stanno in questo canestro. O forse… forse sono io che frammento…

Beh… insomma… mi premeva dirvi di badare bene, di fare molta attenzione a confondere l’intelligenza con la cultura perché fa male, parecchio, scoprire poi la verità. Si perde completamente la stima di quella persona e ci si sente (anche se erroneamente) traditi e/o abbandonati. E la responsabilità, purtroppo, è solo nostra. Per questo, anche se posso sbagliare i concetti, ci tenevo ad avvisarvi.

L’intelligenza si sente, si percepisce come una carezza lieve sulla pelle. Non stuzzica la mente, ti sfiora il corpo e il cuore.

Prosit!

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E’ Impossibile stare Bene

ESSERE FELICI E’ NORMALE

Lo so che può sembrare assurdo quello che sto per dire ma per molti (quasi tutti)… è impossibile stare bene. Sentirsi bene. Gioire. Soprattutto dopo una sofferenza. Sì, sì… anche se non lo credete. Poi, se mi sbaglio, non posso che essere felice per voi (e per me) ma lasciatemi spiegare che mica voglio fare l’uccellaccio del malaugurio eh?!

Con chi crede questo normale invece vorrei condividere infatti una riflessione che mi è venuta alla mente e  mi ha lasciata alquanto perplessa.

Supponiamo che, quella determinata persona, alla quale io tengo, per esempio, mi tratta male e io soffro a causa del suo modo di fare nei miei confronti. Dopo un po’ mi tratta ancora male e io soffro di nuovo. Poi mi tratta male per l’ennesima volta e io, per l’ennesima volta, soffro. In pratica – dipendo – dal suo modo di fare. Se lei si comporta bene con me io mi sento felice, se lei mi maltratta con sgarbo e superbia, io mi rattristo. Questo accade un po’ a tutti. Pensiamo al rapporto con il nostro partner o con uno dei nostri genitori. Pensiamo ai nostri figli adulti che ci offendono, pensiamo ai nostri colleghi di lavoro. Ci sono persone, nella nostra vita, alle quali “diamo” la possibilità di modificare il nostro stato d’animo.

C’E’ UN VIOLINO DENTRO DI NOI

Bene. Ma, visti gli effetti, io rompo le regole e decido di eseguire un lavoro dentro di me. Se lei riesce a farmi soffrire è perché riesce ad agganciarsi a delle frequenze mie, interne, schiacciando così tasti che io vivo come traumi ma sono miei non suoi. Tant’ è che, il suo medesimo comportamento verso un altro individuo, a quell’altro non comporta nessun disturbo. Ora voi direte – Non c’è lo stesso sentimento – e invece posso assicurarvi che per due fratelli i genitori sono gli stessi e si comportano allo stesso modo con entrambi ma, mentre uno subisce determinati effetti, l’altro non ne subisce alcuno. Al di là di questo però è che dobbiamo vedere quali corde del mio inconscio vengono fatte vibrare.

Detto questo continuo. Come dicevo lei mi tratta di nuovo male e io soffro nuovamente, poi ancora e poi ancora e diventa un loop. Fino al giorno in cui lei mi tratta male, per l’ennesima volta, e io… non soffro per niente. Il lavoro svolto sta dando i suoi effetti e io sono diventata, anche se solo in parte, più padrona di me. Ora, la cosa buffa è che, mentre mi viene da ridere e mi sento felice, mi dico – No… no aspetta… non è possibile. Com’ è possibile ch’io stia bene? Mi ha appena maltrattato e io sto bene? No… è uno scherzo della mente, in realtà sto soffrendo e qualcosa mi illude ch’io stia bene così poi cado e mi faccio ancora più male -. Mon Dieu! Ma vi rendete conto? Vi rendete conto dei giri allucinanti e dei merletti che la nostra mente compie?

TRABOCCHETTO INSIDIATO, DANNO CREATO

Invece occorre comprendere che è proprio l’inverso. È il credere di non essere veramente felici il tranello. Come ad aver paura di toglierci da quella sofferenza. Perché, in fondo, toglierci da quella sofferenza significa effettuare un cambiamento e, i cambiamenti, o più o meno, spaventano sempre. Quei “click!” che partono nel cervello ci lasciano sempre dubbiosi e timorosi. Si sente la gioia e si ha paura a lasciarsi andare perché si ha paura di rimanere poi fregati. Il male è sempre dietro l’angolo, pensiamo, dobbiamo stare sempre in allerta con spade e antenne ben diritte! Abbiamo imparato questo grazie al nostro Istinto di Sopravvivenza. Per poter sopravvivere appunto ma abbiamo esagerato un po’ diramando tale congegno un po’ ovunque nella nostra vita. Senza dimenticare il perverso e celato meccanismo del “io non merito di essere felice”. Uno strano fenomeno che s’innesca già nella prima infanzia e, se non facciamo nulla per cambiarlo, ci accompagna, mortificandoci, per tutta la vita. Non siamo degni di provare quella gioia, di sentirci lievi, senza pesi inutili.

Esiste inoltre il – sentirsi in colpa nei confronti degli altri – cioè: io mi sento bene ma tante persone invece soffrono e non lo meritano di soffrire quindi io sono sbagliata. Toh! Deduzione perfetta!

Ecco, descritti tutti questi balordi tafferugli del cervello, si può stabilire come sia realmente difficile se non impossibile stare bene. Non vi pare? Posso dirvi che a me, tempo fa, è successo. Una sorpresa totale nel momento in cui mi è accaduta quella determinata cosa che da sempre mi faceva soffrire e io invece provavo dentro la gioia. Una gioia piena, grande, reale. Ma appunto così sorprendente da risultare INcredibile.

Continuavo titubante a dirmi – Non è possibile! Non è possibile! Non puo’ essere! – e questa diffidenza non mi permetteva di godere appieno di quell’entusiasmo che voleva pervadermi, non mi permetteva di lasciarmi andare completamente abbandonata in quella pace e in quella soddisfazione. Una sensazione stranissima. Allenarci ad accettare la felicità. Al solo dirlo mi sembra davvero insensato, pazzesco. Eppure… accade anche questo. Ma dobbiamo assolutamente farlo. E’ un nostro diritto. Meritiamo di stare bene.

Prosit!

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Mangia bela me Fia – Quando cadi e non lo sai

LA BELLEZZA DEL DIMAGRIRE

Ho perso diversi chili ultimamente. Si sa, qualsiasi donna è ben felice di perdere dei chili soprattutto quando questo non avviene a causa di una malattia o di un grave stress. Io, anche se molti possono non credermi, li ho persi per via di un lungo e faticoso lavoro alchemico di trasmutazione, attraverso il quale ho potuto buttare via molta “spazzatura” che risiedeva in me e dove il mio fuoco interiore, divampando, ha potuto bruciare tutto l’inutile e fondere il piombo trasformandolo in oro. Ricordiamoci che (pur essendo un discorso molto lungo) dimagrire significa – stare bene – mentre ingrassare è un verbo associato – all’insoddisfazione -. Detto questo, ero comunque contenta di rientrare dentro a vecchi jeans che non mettevo da tempo, nonostante un dimagrimento abbastanza repentino.

In pratica, ero molto tranquilla, in fondo mangiavo, e non mi sentivo senza forze, ne’ avevo giramenti di testa. Mi guardavo allo specchio. Vedevo ossa che da anni erano nascoste e mi giravo e rigiravo osservando la mia nuova persona. Ero davvero carina, proprio come la società vuole, correlando la magrezza alla bellezza.

Mhmm… Eeeh… ma la tonicità? E la smagliatura? E la pancia ora incavata? “Meg… sinceramente sembri un po’ un manichino…”. E le tette? Le mie tette! Nooo! Disastro! Ma perché i chili devono sempre sparire prettamente da lì?! Meno male che ho il lavoro a rassodarmi quindi di danni (a parte le tette) pochi o niente in realtà.

Insomma… ero contenta sì ma non sprizzavo gioia da tutti i pori. Comunque sia, come ripeto, stavo bene davvero sia fisicamente che psicologicamente.

L’ARRIVO DEL MESSAGGIO

Un giorno, mentre stavo rincasando e guidavo verso casa, sorpassai una signora anziana che, a piedi, camminava appoggiandosi a delle auto parcheggiate. Era magrissima. Mi colpì molto il suo fisico. Sembrava anoressica e una rigidità strana non le permetteva passi fluidi e sicuri. Andai avanti qualche metro, molto lentamente, finché qualcosa mi suggerì di guardare nello specchietto retrovisore.

Alzai lo sguardo e vidi la donna cadere all’improvviso per terra in un modo surreale. Come un fantoccio privo di vita. Non si inciampo’ e nemmeno sembrò avere un giramento di testa. Sembrava proprio che, di punto in bianco, le sue gambe avessero deciso di non reggerla più. Cadde rimanendo seduta in un’innaturale posizione, io fermai la macchina ma vidi che tre o quattro persone andarono a soccorrerla. La vidi tirarsi su e sorridere come ad essere abituata a questi eventi. Mi tranquillizzai. La signora non era sola e io stavo iniziando a bloccare il traffico quindi ripresi il cammino.

Sono solita osservare gli avvenimenti esterni come fatti riflessi del mio interno e soprattutto del mio inconscio cioè quello che fatico a vedere ma che risiede in me. Esiste. Quale poteva essere il messaggio che l’Universo, attraverso la lettura di quella pagina, voleva darmi?

TRADURRE DA UNA LINGUA SCONOSCIUTA

Ci ragionai un po’ su e poi, senza dubbio, ebbi la mia risposta.

Mantenendo la giusta percentuale di causa, consiglio sempre di evitare l’estremismo e l’assolutismo, quella donna mi aveva mostrato la preoccupazione inerente la mia magrezza raggiunta in poco tempo.

Siamo contenti di dimagrire per via della cultura in cui viviamo ma siamo cresciuti con un’educazione che va contro questi schemi. La maggior parte di noi, infatti, si sarà sentita dire più di una volta nella vita – Mangia! – o – Guarda che devi mangiare altrimenti non ti reggi in piedi! – o – Sacco vuoto non sta in piedi! – o – Chi è grasso è più felice – o ancora, durante la gravidanza – Devi mangiare per due! -. Una continua battaglia interiore tra società e famiglia. Da una parte ci volevano tutti come dei fotomodelli mentre, dall’altra, ci prediligevano pasciuti e robusti.

MANGIA BELA ME FIA

Per le nostre mamme e le nostre nonne non mangiare e dimagrire era fonte di preoccupazione. Guardavano i magri con una sorta di espressione dispiaciuta sul viso e ricordo io stessa che, quando andavo a mangiare da mia zia (una zia che mi ha fatto da nonna), ogni giorno era Natale. Pur di farmi mangiare si alzava alle 5 del mattino per impastare cibi sani, genuini e pieni di energia. Per lei ero sempre deperita. – Mangia bela me fia che ti me stai mà pœi, ti me pai in ratin – (Mangia bella la mia bambina che poi mi stai male, mi sembri un topino) mi diceva. Forse l’aver vissuto la guerra e la fame la portavano a pensare così.

Le nostre memorie cellulari rimangono e perdurano per diverso tempo. Sono tremende. Tutto questo per dirvi come, nonostante io non mi sentissi assolutamente allarmata e mi ritenessi invece in ottima forma, dentro di me, qualcosa aveva risvegliato queste paure con le quali son cresciuta e mi appartenevano. Non l’avrei mai detto.

A VOLTE RITORNANO

Il cambiamento del mio fisico, ben significativo, aveva portato a galla sì un piacere visibile ma anche queste tracce mnestiche arcaiche non rimosse. E non mi riferisco alla guerra vissuta da mia zia ma a tutte le frasi che, negli anni, mi hanno inculcato il messaggio “se sei magra, non ti reggi in piedi“.

Attraverso la caduta della donna le ho potute vedere.

Avevo in realtà una celata preoccupazione di non reggermi in piedi. E come avrei fatto col lavoro? E come avrei fatto con i miei genitori che avrebbero iniziato a “rompermi” pieni di timore per me? E come avrei fatto nei confronti delle mie amate passeggiate dove serve tanta energia? Oh! Bene! Eccole! Ora potevo vedere le mie angosce tutte belle lì davanti a me. Quindi che avrei dovuto fare? Ingrassare di nuovo? Salvo sfiorare l’esagerazione del dimagrimento direi proprio di no.

In realtà la nostra parte intrinseca pretende semplicemente di vivere senza preoccupazioni inutili e deleterie per il nostro stato d’essere. Ma intende anche avvisarci mostrandoci ciò che non vediamo da soli. E qui occorre tradurre. Dovevo imparare ad eliminare quella paura da me e porre attenzione, in modo sereno, al mio peso.

Non è vero che chi è magro è triste e sta male anzi… ovviamente nei limiti. Non è vero che se salti un pasto muori anzi… Non è vero che la ciccia ti rende una persona solare anzi… Dovevo imparare a stare bene del tutto. In ogni mio ambito. Soprattutto emozionale. Dovevo imparare a godere del mio nuovo corpo considerandolo bellissimo e immaginarmi sempre sana e gioiosa se così volevo essere.

Ma quello sul quale volevo porre l’attenzione è: come sono brave, queste memorie, a nascondersi o mimetizzarsi in noi. Io proprio non le vedevo! Attenzione quindi a dire – No, no io non sono per niente preoccupato! -. A livello conscio è vero, ma è l’inconscio che ci frega. E, ahimè, non ci arriva ciò che vogliamo ma ci arriva ciò che siamo.

Vi auguro una buona “lettura” dei vostri eventi. Sempre con leggerezza mi raccomando.

Prosit!

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Non hai bisogno del nostro Aiuto

I MIEI STRANI AMICI

Sono seguita e aiutata costantemente da un branco di… di… beh, ecco, potete chiamarli come volete, non è un discorso religioso il mio: angeli, eggregore, guide spirituali, energie, corpi sottili, forze universali… io li chiamo semplicemente – parti di me – e li considero amici. Sono amici fighi. Potenti, disponibili, generosi e coraggiosi. Avendoli, mi sento sempre nella bambagia. Sono dei duri e io, ovviamente, li adoro.

Con loro parlo, condivido cose e litigo. Sì, ci litigo anche. Ci litigo quando non fanno quello che chiedo. Che supponente che sono vero?

Vedete, il fatto è che da quando ho iniziato a nutrire profondamente il rapporto con loro, essi sono divenuti particolarmente presenti. Così presenti da essere presenti sempre e da concretizzarsi persino. Ad esempio… vi è mai capitato di mettere in dubbio la loro presenza e l’indomani passare una giornata chiusi all’interno di un locale protetti da due Agenti dei Corpi Speciali di Polizia? Ecco a me sì. Per esempio. Solo per fare un esempio eh? Ma non posso dare informazioni. Posso solo dirvi che è stata una giornata surreale e ringraziare con tutto il cuore quei due uomini che mi hanno protetta per dodici ore, costantemente al mio fianco e inaspettatamente. Non per niente, i miei amici fatti di energia sono infatti due. I preferiti diciamo. I più collaboratori. Quelli ai quali mi rivolgo maggiormente e che immagino ne abbiano anche le balle piene di sentirmi.

E insomma che come vi dicevo ci litigo, o meglio, ci litigavo. Ogni tanto mi fanno ancora innervosire ma prendermela seriamente con loro non lo faccio più e, in questo articolo, voglio proprio parlarvi di questo punto. Abituata al loro intervento ad ogni mia richiesta (bisogna pero’ saper chiedere ma non ne parlerò adesso) è capitato che, qualche volta, non hanno esaudito il mio “desiderio”.

NON CAPENDO NON SI ACCETTA

Le prime volte, mi sono sentita tradita e abbandonata. Mi struggevo nei – Perché? -, sapevo che loro valutavano tutto, non solo quello che pensavo e domandavo, ma anche cosa avevo dentro e magari non conoscevo ma finivo sempre con l’arrabbiarmi perché, almeno la loro presenza, in caso di bisogno, avrebbero dovuto farmela percepire. Invece il nulla. Non solo mi stava capitando quel fattaccio ma dovevo anche sbrigarmela da sola nonostante mostrassi a loro, di continuo, amore e gratitudine per quello che erano e facevano.

Fu col passare del tempo e degli eventi che capii meglio.

Un giorno, a causa di una situazione che mi rattristava parecchio cercai dieci minuti di silenzio per sfogarmi e rimanere tra me e me al fine di lavorare sulla sofferenza che provavo e parlare con loro. Venni disturbata da una persona che mai passava di lì, in quel luogo che vivevo quotidianamente e conoscevo bene. Mi girarono le scatole. Quando voglio sfogarmi e non posso farlo mi irrito. Quando non mi viene permesso di svolgere quel tempo, a trasmutare dentro di me, mi infastidisco. Cercai di portare pazienza e, dopo un’ora, decidendo di cambiare posto, mi rimetto alla ricerca dei miei dieci minuti preziosi di solitudine e introspezione. Di nuovo venni disturbata da un’altra persona mai vista prima che, completamente inconsapevole di ciò che stavo provando, iniziò a parlarmi del più e del meno pretendendo da me delle risposte. Che rabbia! “Ma perché non te ne vai?” pensavo.

Meno riuscivo a calarmi in me e più la sofferenza aumentava. Questa cosa mi stava davvero facendo arrabbiare. Non accettavo. E qui viene il bello. Infatti, io avrei invece dovuto accettare senza dubbio e con fede. Partendo dal presupposto che ne’ la vita, ne’ l’Universo e nemmeno questi miei amici vogliono il mio male, bensì desiderano per me soltanto il meglio, perché allora mi stavano impedendo di compiere un’azione che a me avrebbe fatto stare bene?

SE NON ESISTE IL PROBLEMA NON ESISTE NEMMENO LA SUA SOLUZIONE

La risposta è semplice ma ci misi parecchio a comprenderla e dovetti arrabbiarmi diverse volte prima ma poi fu chiara e lampante: non ne avevo bisogno. Non avevo bisogno di togliermi dalla sofferenza perché quella sofferenza in realtà non c’era.

Provo a spiegarmi. Io ero schiava di un’abitudine. Ossia, supponiamo ch’io sia dipendente dai dolci. Inizio a star male, mi viene il diabete, ingrasso, etc… decido allora di combattere la mia dipendenza anche attraverso un duro e faticoso lavoro di introspezione e modifica delle sinapsi. In fondo, siamo tutti schiavi della mente. Bene. Io riesco a guarire ma, sotto un certo punto di vista, non me ne accorgo, o addirittura mi sembra impossibile, oppure ancora non credo sia possibile stare bene. Come se fosse troppo bello per essere vero. Non me lo godo neanche.

E allora cosa succede? Succede che posso credere di riuscire a rinunciare al dolcetto ma se quel dolcetto i miei occhi non lo vedono io automaticamente sono convinta di dover soffrire. È chiaro? In realtà non sto soffrendo per niente per quella mancanza di glucosio, il mio corpo non ne sente più alcun bisogno, ma la mente mi dice – Guarda che se non vedi o non mangi il dolce stai male. È ovvio che stai male. Hai SEMPRE fatto così -.

Ricordate i percorsi facilitati che prendono i nostri pensieri e che vi raccontai in questo articolo https://prositvita.wordpress.com/2018/04/20/erezione-maschile-e-cervello-in-vasca/ ? Ecco. Succede esattamente così.  Siamo vittime dell’abitudine in tutti i sensi. Il nostro cervello va avanti con cose che già conosce. Non è in grado, da solo, di scorgere novità.  Lui non possiede suoi sensori personali. Pertanto, io non ricevetti l’aiuto chiesto perché in realtà non mi serviva e me ne accorsi benissimo alla sera e l’indomani, oppure vissi addirittura quella meraviglia che era già pronta ad apparire nella mia vita ma io non la credevo e continuavo a chiedere aiuto rimanendo aggrappata al vecchio.

SEMPRE AL MIO FIANCO

Se i miei amici mi avessero aiutata non mi avrebbero fatto del bene. Avrebbero solo avvallato il progetto della mente continuando a farmi soffrire in un circolo vizioso e continuando a farmi chiedere aiuto. Dovevo accorgermene. Dovevo accorgermi che qualcosa era drasticamente cambiato. Fu liberatorio e di gran sollievo scoprire e toccare con mano tutto ciò.

Questo per dirvi che occorre sempre “guardare oltre” e tradurre bene i messaggi non solo come viene comodo a noi (alla mente che ci tiene dipendenti). Questo per dirvi anche che ho dovuto ammettere che i miei amici sono sempre ganzi e mi vogliono proprio un gran bene. Se vi va, provate anche voi ad alimentare con queste energie un rapporto amichevole. Sono convinta che non ve ne pentirete ma sappiate anche che: non vi lasciano soli mai; quando non li sentite è solo perché siete riusciti da soli a svolgere un meraviglioso percorso da veri Guerrieri e loro vi stando ammirando sorridendo.

Prosit!

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La Totale Dipendenza

Il discorso che intendo affrontare oggi mi viene difficile da spiegare. Non so se riuscirò a trasmettere cosa voglio dire per questo vi chiedo di provare a leggere “tra le righe”. Potreste dirmi che dovrei evitare se non so essere esaustiva ma, vedete, questa cosa che ho provato mi ha stupita e mi faceva piacere condividerla con voi. Mi è accaduta qualche giorno fa.

L’INVISIBILE CHIODO FISSO

Uscendo di casa, nella buca delle lettere, ho trovato una busta dell’Enel che mi sollecitava il pagamento di una bolletta. Non mi sono preoccupata più di tanto ma ricordavo quella cifra e ricordavo anche di averla pagata. Non ho potuto cercare subito la ricevuta perché dovevo andare al lavoro e quindi, per tutto il giorno, una parte del mio cervello è rimasta ancorata al pagamento dell’elettricità. Da notare come la mente fa quello che vuole anche se cerchiamo di distrarci o reputiamo quell’avvenimento poco importante.

Alla sera, tornata a casa, mi sono messa alla ricerca della ricevuta e, trovandola, ho sentito un sollievo pervadermi dentro. Ero contenta. È stato proprio in quell’attimo, però, che ho trovato assurdo questo “meccanismo”. E qui inizia la, per me, difficile spiegazione. Ossia, ero contenta, per una contentezza che non esisteva. Che non doveva esistere. Che non doveva esistere come non doveva esistere la preoccupazione precedente. E qui potreste dirmi – Beh… è ovvio! -. Ecco… ma per me non è ovvio. Cioè, siamo totalmente dipendenti dagli agenti esterni.

Vediamo se con un esempio più tagliente riesco ad approfondire.

POTERE DECISIONALE SULLA VITA E SULLA MORTE

Esageriamo un po’. Supponiamo ch’io sia un noto medico della mia città. Tutti mi conoscono come un luminare. Un bel giorno, camminando per strada, incontro Tizio, lo guardo un po’ intensamente negli occhi e poi gli dico – Ehi Tizio, lo sai che stai per morire? Io lo vedo, hai ancora pochi giorni di vita -. Tizio, che mi stima tantissimo, crede ciecamente alle mie parole e vi lascio immaginare come, poverino, inizia a vivere da quel momento. Passa qualche giorno e incontro di nuovo Tizio, naturalmente, con un’espressione tristissima sul viso. A quel punto gli dico – Tizio! Guarda che non stai per morire, ti vedo in ottima forma! -. Al di là che Tizio potrebbe prendermi a colpi, in quel momento, ci ritroviamo con un Tizio ora felice. Ma felice di che? Di una cosa che non è mai esistita. Non lo trovate assurdo? Sto dicendo una cavolata? Ho il dubbio di sì ma, sentirmi così, totalmente in balia di quello che gli altri (o l’esterno) possono dire o fare, è traumatizzante se ci rifletto un secondo.

LA “VUOTEZZA”

Vuotezza – un nuovo termine che “mi” rende l’idea.

Questo ci fa sentire deboli, insicuri, insignificanti. Ci fa vivere costantemente con una spada di Damocle sulla testa. Almeno per me è così e, se ci caliamo nella profondità di questa situazione, ci rendiamo conto come essa riesce a farci rabbrividire fisicamente! Non siamo noi. Siamo quello che il resto del mondo vuole. Non siamo un qualcosa che è qui e che agisce per conto suo. Siamo tronchi vuoti spinti dalla corrente e reagiamo per salvarci assecondando le onde. Reagiamo solo emozionalmente, fustigandoci in base a ciò che succede. Picchiamo contro gli scogli, veniamo rosicchiati dai pesci, facciamo da ancora a qualche naufrago ma non abbiamo una nostra vita, una nostra identità. Siamo spenti come… come a non esistere.

Son riuscita a spiegarmi? Quasi sicuramente tutte queste mie parole sono banali e retoriche, forse anche stupide, ma su questi eventi vi ci siete mai soffermati a riflettere seriamente e profondamente nella loro drammaticità? Io sì, ma non così tanto come oggi e oggi mi ha davvero stupita. E voglio allenarmi affinché non mi accada più o, per lo meno, ridimensionare drasticamente la cosa.

Non dico che non dobbiamo più valutare l’esterno. È normale che una notizia può avere potere su di noi. Può angosciarci o renderci gai. Ma, se ci ascoltiamo totalmente, possiamo notare che: sia come quantità, sia come valore, sono troppe le notizie alle quali diamo la possibilità di governarci.

Vi consiglio un’accurata introspezione su questo (se ancora non l’avete provata). Io l’ho fatta e ho capito che non voglio più essere uno zombi.

Prosit!

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Intervista a Trauma Cranico – responsabilità tua o del mondo esterno?

Partendo dal presupposto che, per la Psicosomatica, ogni incidente che subiamo equivale alla punizione di un senso di colpa che portiamo in noi (spesso celato), anche il Trauma Cranico spiega, sotto questo punto di vista, un castigo che arrechiamo alla nostra persona per infliggerci una pena. Una colpa intrinseca, nascosta nel nostro profondo. Magari… quella di essere venuti al mondo… per dire. Può sembrare assurdo ma sono molte le persone che si sentono inadatte e che credono di aver compiuto un reato nel nascere. Come dice il termine stesso – Cranico – ci si riferisce alla testa, luogo di: pensieri, riflessioni, ragionamenti ed elucubrazioni mentali.

Tutto questo è, per la maggior parte, spazzatura futile che ci portiamo dentro al solo scopo di stancarci e farci preoccupare inutilmente come tante volte ho spiegato in altri post.

L’uomo comprende tutto salvo ciò che è perfettamente semplice – (Hugo Von Hofmannsthal)

LA REALTA’ E’ UNO SPECCHIO?

Tocchiamo subito un tasto dolente. Molto spesso, alcuni traumi ci vengono provocati da altri, non sempre ce li procuriamo da soli ma, secondo alcune filosofie, essendo che la realtà esterna non ha una sua ragione e non è in grado di agire di sua iniziativa, essendo solo un riflesso di quello che SIAMO dentro, gli altri diventano per così dire degli AGENTI DEL DESTINO utili a darci ciò che noi, anche se non ce ne accorgiamo, vogliamo. Andando a scandagliare questo discorso, lungo e complicato, ci accorgiamo quindi che, al di là del fatto che questo possa essere vero meno, o vero solo in parte, possiamo comunque cogliere un messaggio se è questo che ci preme. Ossia, semplicemente, anziché soffermarci a dire – Ma tu guarda ‘sto idiota se doveva colpire proprio me? – possiamo (anche) dire – Come mai quella persona ha colpito proprio me? Ho forse richiamato in qualche modo il suo colpo? Lui ha sbagliato, non c’è dubbio, ma IO, comunque, ora provo dolore e ho subito un trauma, perché? Non lo so, non posso vederlo ma posso ragionarci sopra. C’è forse qualcosa che non mi perdono e ho voluto così punirmi? -. Ciò vuole solo essere un’apertura che permette di vedere da varie angolazioni. Permette inoltre, anche se può sembrare strano, di comprendere che noi esistiamo, siamo responsabili e co-creatori, siamo vivi cavolo! Non siamo solo pezzi di carta, vuoti, mossi dal vento che ci crea ciò che vuole lui.

PER GIOCO… PROVIAMO A SVEGLIARCI

E allora… facendo finta di essere noi i responsabili, proviamo a vedere che cosa si nasconde dietro ad una tremenda botta alla testa. Ma prima permettetemi di sottolineare una cosa: sentirsi responsabili degli avvenimenti non vuol dire averne colpa, proviamo ad osservare anche un altro bellissimo lato di questa visione: se io sono responsabile di quell’avvenimento, allora posso anche trasformarlo perché io lo creo e io lo distruggo o lo creo come piace a me. Ok?

Ora andiamo ad intervistare il Trauma Cranico:

Ciao Trauma Cranico

Ciao!

Volevo dirti innanzi tutto che fai un male bestia e mi hai anche creato un bozzolo sulla fronte veramente antiestetico ma… vorrei capire il perché di tutto questo. Che ti ho fatto?

A me non hai fatto nulla, al massimo hai fatto a te stessa. Dovresti parlare con la tua parte interiore

Ma… non riesco a vederla, è nell’inconscio. E’ difficilissimo leggerla!

Lo so, ma puoi provare ad allenarti. Io posso solo dirti che giungo, o per mano tua o per mano di terzi o per mano di oggetti, quando tu mi chiami perché vuoi punirti… un po’ come le pacche che ti dava la mamma col battipanni quando eri bambina

Sì, ho capito, questo lo sapevo già, ma speravo di ottenere qualcosa di più da te

Non posso dirti molto altro se non che, nella testa, non c’è solo la mente. Oggi, con queste nuove filosofie un po’ New Age, la mente è stata condannata come provocatrice di molti squilibri, il che è anche vero ma, la mente, se l’abbiamo a qualcosa serve. L’assolutismo non va mai bene. Ma, tolto questo, nella testa ci sono anche altre cose. Ad esempio, è proprio con essa, e non solo con il Cuore, che possiamo collegarci al Divino assaporando che cosa realmente siamo… cioè… siete.

Gli ultimi chakra infatti si trovano proprio lì, qualcosa dovrà pur dire. Si parla tanto di far salire, far salire… ma poi, la maggior parte delle persone che filosofeggiano su queste teorie, si fermano al Cuore. No! La testa è importante! La testa contiene anche il volto e, in esso, c’è il naso dal quale entra la vita. E la bocca e gli occhi! Di un’importanza indescrivibile! Il viso è la parte più esposta e ci permette di unire l’esterno all’interno in pieno contatto con l’Uno. Tutto questo non ha nulla a che vedere con il darsi delle colpe o il non perdonarsi ma può essere visto invece come intoppo al lasciarsi andare verso una concezione più mirata di quella che è la divinità all’interno di ognuno di voi. In questa vita terrena, la ricerca del Dio che vive all’interno di ogni essere umano, è forte e scalpita. Ogni volta che viene in qualche modo repressa, o celata, una sorta di “castigo” vuole solo fartelo notare. Tieni anche conto che la testa è la parte che identifica la tua autonomia. Ciò significa che è con essa che fai delle scelte. Questo non vuol dire scegliere tra due case o tra due fidanzati o tra due ricette. Significa anche scegliere di comportarsi in un modo, piuttosto che come natura comanda, solo per fare bella figura e piacere agli altri. Cosicchè, la tua bambina interiore si arrabbia, le stai tarpando le ali e… tac! Una bella patta sulla testa non te la leva nessuno! E’ con la testa che ti critichi e ti svaluti, non con il cuore. Faccio bene a punirti, se permetti. Lascia stare gli altri! Sempre a guardare cosa fanno gli altri e a cercare qualcuno al quale dare colpe. Sì, sì… arrabbiati pure se vuoi, e vendicati, ma pensa per te. Gli altri ti hanno dato un colpo? Ok… e tu quanti colpi hai dato a te stessa? Quante volte ti sei tirata bastonate addosso senza amarti e senza stimarti? Pensi di essere venuta qui per fare la mendicante e quella che non vale niente quando dentro di te c’è la scintilla divina e tu la spegni in continuazione? Dove porta la corona un Re? Mica porta una cavigliera!

UNA BOTTA (DI VITA) IN TUTTI I SENSI

Diventa Re e un Regno ti sarà dato – (Gesù)

Sono un po’ stranita… ehm… penso possa smettere di parlare. Direi che Trauma Cranico è stato davvero chiaro ed esaustivo non pensate anche voi? Ora forse abbiamo qualche strumento in più per comprendere come mai abbiamo subito quel colpo. E, quindi, possiamo evitare degli ulteriori colpi futuri magari.

Intanto però mettetevi un cerotto, così forse lo zittite, altrimenti vi farà sentire talmente piccoli e micragnosi che altri traumi non ve li toglie nessuno. Perdonatevi! Anzi, perdoniamoci… il perdono è lo strumento migliore per evitare il Trauma Cranico e qualsiasi altro tipo di danno.

Prosit!

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Una Vita di M….

A COSA TI FA PENSARE QUELLO CHE VEDI O VIVI?

Le filosofie che studio e che seguo m’insegnano come l’Universo, non avendo altri mezzi a sua disposizione per mostrarmi le pagine della mia vita o per darmi suggerimenti, mi mette davanti persone o situazioni in grado di recarmi quel determinato messaggio. Tutto sta nel saperlo tradurre. Ed è difficile. Quello che c’è nel nostro inconscio, ossia la parte sott’acqua del famoso iceberg, non riusciamo a vederlo. Per questo, spesso, ci accadono eventi incomprensibili per noi, ma possiamo osservare quello che viviamo per comprendere cosa si cela in questo grande magazzino degli arcani.

Questa specie di operazione è fattibile in ogni momento della nostra vita. Senza impazzire nell’assolutismo o nell’estremismo, basta cogliere il senso più significativo. Quindi, anche mentre camminiamo per strada, possiamo notare tutto quello che si cela all’interno di noi come se la realtà che viviamo è uno specchio che riflette.

Per questo oggi voglio raccontare la storia di M. prendendola come spunto per riflettere. Per una riflessione atta ad aprire le vedute e poter notare quante cose esistono dietro a quello che consideriamo solitamente un semplicissimo “fatto”.

UN NUOVO TIPO DI “OSSERVAZIONE”

M. é una ragazza sulla quarantina. Oggi fa l’educatrice in un Asilo Nido ma, da giovanissima, per mantenersi, è stata l’addetta alla pulizia dei gabinetti in un grosso Autogrill.

M. ha anche avuto un cane e un figlio. Questi accenni sulla sua vita, che sembrano non avere nulla a che fare l’uno con l’altro, è bene che ve li spieghi così da mostrarne il filo conduttore.

Il filo conduttore in questione tratta di: feci e urina.

Ebbene sì.

Nei bagni dell’Autogrill si può facilmente capire che cosa ogni giorno M. era obbligata a vedere e pulire. E anche adesso, che lavora al Nido, ha sempre a che fare con questi “regalini”, ma non solo. Il cane che aveva, per fortuna di piccola taglia, aveva l’abitudine di sporcare in casa e lo stesso figlio di M. fu un vero disseminatore di pupu’ e pipì una volta raggiunta l’età del – togliamo il pannolino -. Per M. cane e figlio erano una sorta di dramma.

Ora, i significati di tutto questo o delle varie cose prese singolarmente, possono essere molteplici ma, in questo post, le racchiudo assieme e mi riferisco ad M. soltanto, senza soffermarmi sul bimbo o sull’amico a quattrozampe che, anche loro, avevano e hanno il loro percorso.

Vedere, o avere a che fare sovente con feci e urina, cose che non apprezziamo e che indichiamo come qualcosa che – ci fa schifo – può significare lo schifo che proviamo nei confronti della vita. Un qualcosa di disgustoso verso l’esistenza risiede in noi e, lo specchio, ce lo mostra alla sua maniera. Qualcosa proprio non ci piace. Quando vedo quei negozi pieni di escrementi di cane e di gatto davanti alla vetrina, nonostante ci siano anche dinamiche territoriali e abitudinarie da parte dell’animale (tutto è da includere) penso che, probabilmente, il gestore di quell’esercizio reputi poco bella la propria vita e sia fondamentalmente una persona infelice o arrabbiata. Questo ovviamente non vuole essere un giudizio ma solo un punto di vista, forse nuovo, per alcuni. Ebbene sì, anche se di rado, capita anche a me di vedere certi spettacoli e devo ammettere che in quei periodi mi riconosco scontenta o disgustata da diversi eventi che mi sono successi.

LA VITA NON PARLA UNA SOLA LINGUA

Ma cacca e pipì rappresentano schifezza solo per noi umani. In realtà, da altre creature e dalla Terra stessa, sono doni molto apprezzati che, addirittura, in certi casi, vanno a nutrire altre forme di vita perciò risultano indispensabili.

Quindi la loro vista può anche simboleggiare la generosità. Essendo che però, ai nostri occhi, ciò è sempre visto con disprezzo, e l’Universo questo lo sa, perché così è scritto nelle nostre memorie, l’insegnamento suggerisce che, probabilmente, si è poco generosi e quindi si è persone che disprezzano (esagero) chi è bisognoso di aiuto. Cioè persone che, anziché dare, volgono la faccia dall’altra parte.

Un altro significato simpatico da parte degli escrementi parte da quello che essi sono: scorie. Gli escrementi sono parti di cibo e sostanze dell’organismo delle quali l’organismo stesso non ha bisogno e quindi espelle. A volte succede anche che vengono espulse sostanze utili ma parlo per ciò che accade di solito.

Ebbene, si stanno quindi osservando tante scorie e cioè tanta “spazzatura” attorno a noi. Per il nostro corpo quella infatti è proprio immondizia. E allora, forse, la vita ci sta dicendo che ne siamo pieni al nostro interno il che non vuol dire essere pieni di feci o urina, perché non si è andati al bagno, ma significa essere pieni, nell’inconscio appunto, di spazzatura mentale. Schemi sbagliati, pensieri nocivi, emozioni negative, riflessioni stancanti che non servono a nulla e ci impediscono soltanto di giungere alla leggerezza.

LA COSA IMPORTANTE E’: PROVARE

Quando spiegai tutto questo a M. lei, dapprima, mi guardò con ironia e sorpresa ma poi decise di provare a vedere le cose anche da questo nuovo e strambo punto di vista.

Decise di cambiare il suo interno per modificare anche l’esterno ma non sapeva cosa fare.

Io non potevo dirle qual’era, dei tanti, il messaggio adatto a lei. Questo soltanto la persona stessa può comprenderlo e, a volte, non si riesce. Non siamo abituati al silenzio e all’introspezione (panacea di ogni male).

Alla fine però le sembrò che i fatti le parlassero di come lei percepiva la sua esistenza: brutta.

M. non era contenta ne’ soddisfatta della sua vita. Era dovuta andare via di casa giovanissima perché non andava d’accordo con i genitori sposando poi il primo uomo incontrato solo per ottenere la parvenza della famiglia tanto desiderata. Il figlio, in realtà, lei non lo aveva desiderato col cuore e il suo sogno non era quello di fare la maestra in una Scuola dell’Infanzia come invece sua madre l’aveva obbligata facendole fare le Magistrali. M. amava la matematica e i calcoli, adorava contare e ragionare ma dovette cedere al volere dei suoi.

Adesso, guardandosi attorno e ricordando il passato, non era contenta. Non era gioiosa della sua quotidianità… anzi…

Decise quindi di modificare, dopo un lungo e duro lavoro, quello che provava al suo interno nei confronti della vita e di se stessa. Piano piano iniziò ad accettare, senza giudizio e con benevolenza, quello che era e aveva. Poi riuscì ad amarlo (per capire questo consiglio di leggere il mio articolo https://prositvita.wordpress.com/2018/04/23/va-che-me-ne-sono-inventata-unaltra-si-chiama-o-a-p-a/).

Iniziò a stare meglio e ad essere più felice. E persino la sua realtà cambiò. Venne infatti trasferita, all’interno dello stesso Complesso Scolastico, alla Scuola Materna (questo è successo proprio pochi giorni fa), nella quale, i bimbi, più grandicelli, andavano da soli in bagno a fare i loro bisogni e sapevano pulirsi in modo autonomo. Si separò dal marito e incontrò un uomo che probabilmente stava aspettando proprio lei perché la ama e la considera ogni giorno la cosa più importante della sua vita. Il cane, nel frattempo, è passato a miglior vita e il figlio è cresciuto.

Oggi M. ha un Cocker che non si permette di fare nemmeno una goccia di pipì in casa. Sicuramente M. ha anche imparato, dalla lezione precedente, ad educare meglio un cane o può aver avuto aiuto dal nuovo compagno, come dicevo prima le dinamiche e le motivazioni sono sempre tante ma, alla fine, questa è la nuova, serena, appagante… vita di M.

Prosit!

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San Tommaso – la Prova Inconfutabile prima di tutto

ANNI DI GUERRA TRA SCIENZA E SPIRITUALITA’

I vari saperi difficilmente si uniscono, bensì, sono quasi sempre in contrasto. Io, che amo le sfumature di grigio, anche se riconosco tasti in cui il bianco e il nero van cliccati, la penso a mio modo.

Chi era San Tommaso? Beh, io personalmente non l’ho mai conosciuto, ma essendo un personaggio citato spesso dai Testi Sacri, ho avuto modo di capire chi fosse.

Il baldo giovane, proveniente dalla Galilea, costantemente alla ricerca della verità, non è mai stato visto di buon occhio dalla Chiesa e nemmeno da chi ostenta una fede indissolubile nel potere della grande Energia Universale.

Saprete tutti che, Tommaso, uno dei dodici apostoli di Gesù, era quello che doveva “vedere prima di credere”, aveva bisogno della prova inconfutabile per dire – Sì, è vero – e questo và esattamente contro le filosofie spirituali che insegnano invece di “credere per poter vedere” come, tra l’altro, tante volte, ho detto io stessa.

Bene, oggi mi dilungherò in questo concetto ed essendo che, qui, sono a casa mia, vorrei dire come la intendo.

SAN TOMMASO – POLLICE SU O POLLICE GIU’?

In verità, perdonatemi, ma nessuno di noi può stabilire con certezza che San Tommaso sia esistito veramente ma non è questo l’importante. L’importante è il messaggio che la figura di San Tommaso, veritiera o meno, ci ha voluto insegnare. Un messaggio molto molto utile a mio avviso.

Non sono d’accordo con chi, per credere, deve sempre fare un esperimento e avere la prova che ciò sia davvero così, sono convinta che la fede sia seriamente cieca ma è anche vero che Gesù stesso disse – Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci… -.

La “prova” che si accomuna solitamente a Tommaso non è secondo me quella adatta. Vediamo se riesco a spiegarmi: una “prova” è un conto, ma “provare” invece è un altro. Cosa significa questo? Significa che ben poche possono essere le verità indiscutibili perché, a seconda dell’individuo, come diceva lo stesso Buddha – Tu provaci, se ti fa bene è la soluzione per te, altrimenti, per te non va bene. Non seguire per forza ciò che io dico -.

Mi batto solitamente contro l’ignoranza e la pigrizia. L’ignoranza e la pigrizia volute. Intendo quelle che ci fanno comportare come ebeti davanti ad una qualsiasi notizia senza appurare la sua veridicità. Ora voi sicuramente potrete dirmi che non abbiamo i mezzi per farlo o non siamo abbastanza competenti ma, porca miseria, ce ne sono di quelle che anche un bambino, se solo si fermasse a ragionare un attimo, capirebbe che non sono possibili o che, quanto meno, c’è qualcosa di strano, che stride, in tutto quel discorso.

Le notizie giungono a noi a ondate, come se fossero mode, tendenze, eppure accettiamo sempre tutto e nessuno mai a chiedersi – Ma come mai non si parla più di quella cosa là? E’ sparita? -. No, non è sparita, ma non la si nomina più e quindi non fa nemmeno più paura mentre un tempo terrorizzava persino.

Ma sto divagando. Non voglio aprire una guerra contro i mass media e contro i pesci lessi che li seguono a priori. Voglio parlare di San Tommaso.

COME? PERCHE’? DOVE? QUANDO? COSA?

Perché la cosa più importante che San Tommaso ci insegna, in realtà, non è quella di non credere ma quella di farsi una sola domanda: E’ POSSIBILE?

Ma, attenzione: nell’Universo, il numero di probabilità è… infinito! Oh già!

Siamo esseri umani e, come tali, siamo dotati di una ragione che nessun’altra specie vivente su questo pianeta ha. Ci sarà pure un motivo. E’ verissimo che, se si ha fede e se si vuole intraprendere una via spirituale, le cose non vanno chieste ma percepite. Non vanno sentite dal punto di vista materiale e mentale ma animico e sensoriale, ben poche sono le domande da porsi, però è anche vero che non possiamo convincerci di cazzate e andarle a raccontare ad altri come sacre parole o verità assolute.

Secondo me c’è un tempo per tutto. Per la mente se deve porre domande e per l’istinto per percepire. Il problema sta nell’emozione che si prova. Una domanda la si può porre in due modi: o con la semplice voglia della valutazione o con il dubbio intrinseco che risiede in noi e come una morsa ci attanaglia le viscere. Ecco. Questa è la differenza.

E’ un po’ come il giudizio. Si dice spesso – Non giudicare! -. Ma un belin! Io sono dotata di una mente e giudico eccome! E’ proprio grazie al Giudizio se la specie umana ha continuato ad esistere. Il giudizio sano, quello che ti fa dire: tra due bacche che trovi nel bosco “questa per me è buona, questa per me non è buona”. Si parla di discernimento. Il Giudizio insano invece è bene non averlo, sono d’accordo, fa più male che bene e non serve davvero a nulla, però occorre fare chiarezza. E questa chiarezza la chiamerei proprio: San Tommaso.

Si parla di forze oscure, potenti, grandi, che possono fare questo e quell’altro, si parla di anima, c’è chi dice che è dentro di noi come un fantasma, altri che dicono essere fuori di noi come una coscienza e… praticamente tu cosa fai? A seconda di chi ti capita di ascoltare, credi a quello che ti viene detto perché nessuno può davvero sapere che cosa sia in realtà l’anima nonostante molti studi, anche scientifici, hanno dichiarato la loro. Il fatto è che non importa che cosa davvero sia l’anima ma importa comprendere se può esserci davvero un qualcosa di simile assieme a me e cosa può fare? Fin dove può arrivare? Quando finisco io? Quando inizia lei? Domande alle quali, molto probabilmente, non riusciremo mai a dare delle risposte precise ma chiediamocelo per lo meno. Se anche decidiamo di affidarci totalmente… a cosa ci stiamo affidando? Questo ci aiuta a distinguere cosa siamo. Ci fa capire che esistiamo e questa è la cosa più importante. Concepire di ESISTERE.

Cogito ergo sum – (Cartesio)

SE TU SEI, DIMMI COSA SEI. NON ESSERE ALTRI

Io, con questo post, non intendo offendere nessuno. Molto probabilmente ci sarà anche chi è più evoluto e più istruito di me e sa dare una risposta a tutto ma continuerei a pensare, anche davanti a questo tuttologo, che non è la cosa principale.

Il dire – Voglio credere che sia così – è infatti diverso dal dire – Ah! Sì, ci credo! -. Nella prima versione abbiamo delle valutazioni, abbiamo sondato, abbiamo quindi poi potuto godere dei riscontri ottenuti e ora possiamo dire – Sì, io credo sia proprio così perché per me è così -. Nella seconda versione invece – Sì, ci credo – ci credi perché? Perché l’ha detto un altro? Perché così hai studiato? Perché così dice la maggior parte della gente?

Ci hanno educato dicendoci che è esistito un certo Gesù che ha fatto questo e quest’altro ma voi lo avete mai visto? Ci avete mai bevuto una birra assieme? Lo so bene che esistono prove archeologiche che attestano che… bla, bla, bla… ma io, sinceramente e umilmente, non posso AFFERMARE che Gesù sia esistito davvero, in carne e ossa, ne’ al contrario posso dire che sia tutta una favola. Ma, quello che posso dire, dopo aver valutato è: Caro Gesù, che tu sia esistito o meno poco importa, per me esisti. E molto probabilmente esisti anche come egregora e come forma-pensiero. Oggi sei quindi un’energia. Ma, al di là di questo, tutto quello che hai fatto e che hai detto, o ti hanno fatto fare e fatto dire, io lo trovo consono a me e intendo imitarti il più possibile.

L’ASTERISCO E IL SALTO

Ecco, secondo me San Tommaso è una specie di asterisco. E’ l’asterisco che fa porre l’attenzione, che segnala le vie di mezzo, le sfumature di grigio tra le quali l’assolutismo e l’estremismo non trovano posto e sono visti come un’esagerazione e, l’esagerazione, non va’ mai bene. La fede dev’essere assoluta, non lo discuto, ma devo sapere a cosa mi riferisco quando intendo accettare il famoso – Sia fatta la tua volontà – perché non devo confondere l’accettazione con la repressione o la sopportazione altrimenti mi creo un danno irreparabile porcaccia di quella pupazza!

Gesù ammonisce San Tommaso dicendogli – Poiché mi hai veduto, hai creduto: beati coloro che non videro e tuttavia credettero! – perché infatti, neanche gli scienziati, sono, a mio avviso, nella ragione più totale, ossia coloro che sempre hanno bisogno di “provare per credere”.

Il comportamento di Tommaso non va’ ne’ osannato, ne’ redarguito, occorre semplicemente ricordarsi che c’è. Che, guarda caso, è stato inserito all’interno di un Testo Sacro e un motivo ci dovrà pur essere. A qualcosa serve e non è solo il capire di doverlo eliminare per credere ciecamente. La figura di San Tommaso è sottile, appare al momento giusto, quasi aggraziata nella sua diffidenza proprio per dar modo a Gesù di rispondere a tono. Ecco quindi il nostro poter possedere l’una e l’altra cosa. Tanta manna. Dobbiamo cogliere il messaggio di TUTTO quello che rappresenta.

Se queste cose sono state scritte, da chi ne sapeva forse più di noi, c’è un motivo. Non dobbiamo commettere l’errore di leggere quello che dice San Tommaso e pensare “ma tanto è solo un idiota, sentiamo cosa risponde invece Gesù”.

Perché Tommaso, nonostante il suo esprimersi talvolta impetuoso, è proprio colui che, con tutti i suoi errori e suoi rocamboleschi rimbalzi, ci conduce alla possibilità di “credere per vedere”.

Prosit!

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Il Demone di Mezzanotte

IL TRILLO DEL TELEFONO

Era all’incirca mezzanotte quando, qualche notte fa, una mia cara amica mi scrisse un messaggio che riportava le seguenti parole – Meg aiutami -.

Possono esserci casi, rari e con tanto di varie motivazioni complicate, in cui il soccorso può non avvenire ma, altrimenti, ad una richiesta di aiuto, occorrerebbe non rifiutarsi mai di agire. Diventa come una richiesta sacra ed è bene rispondere. Infatti ho risposto – Sono qui -. Lei avrebbe capito subito che in quel mio – Sono qui – c’era tutto. Tutto quello che potevo fare.

Mi chiamò e mi raccontò che, quella sera, il suo fidanzato l’aveva lasciata per un’altra donna. Questo può apparire un motivo banale, trito e ritrito, ma se continuate a leggere noterete svolte nuove.

DA OMBRA A LUCE 

Era parecchio tempo che la mia amica stava portando avanti questa storia sentimentale solo per paura di rimanere da sola ma, la sua anima, probabilmente, aveva deciso che in questa vita, il demone dell’attaccamento andava sconfitto trasmutandolo da ombra a luce. Oserei dire: da ombra divina a luce divina. Perché le ombre sono, a mio avviso, sacrosante e importantissime nonostante il dolore che possono recarci.

La mia amica avrebbe dovuto elevarsi e i mezzi che scelgono le forze più grandi di noi sono sempre strambi e spesso molto faticosi da accettare.

Non voglio dilungarmi però su queste trafile già conosciute e sul male che la mia amica stava naturalmente provando. Voglio centrare il discorso sul demone.

Ecco la sofferenza pervadere la giovane ragazza. Un panico potente le avvinghiava la gola, il dolore le contraeva lo stomaco e gli occhi strizzavano lacrime copiose. Le veniva da vomitare. Stava malissimo, mentre, dentro di lei, il demone, stava forse sghignazzando. Percepiva la fragilità di lei. Era convinto che presto lei si sarebbe cercata semplicemente un altro uomo, decidendo per la strategia del “chiodo scaccia chiodo” ma, questo, non significa sconfiggere un demone e lui avrebbe potuto continuare a vivere in quel nido di viscere divenendo sempre più grande e più potente. Non sarebbe “stato ucciso”.

Soffrire è troppo atroce, non ce la si fa e prendere pillole (cercare un nuovo compagno) è molto più comodo e appare anche più benefico. Non lo è. Può essere sollevante all’apparenza ma non è benefico.

La mia amica aveva infatti sottomano un ragazzo che, con molta delicatezza e senza invadere la sua intimità sapendola impegnata, le faceva la corte da qualche mese. Fu la prima persona che alla mia amica venne in mente (per salvarsi dal dolore) quando, tra i singhiozzi, mi pronunciò il suo nome.

Fermati! – le consigliai. La capivo. Quando si ha un forte mal di testa si prende subito una pastiglia e lei voleva fare la stessa cosa. – Fermati. Accetta questa tremenda sofferenza, falla vivere dentro di te. Ringraziala di esserci. Amala. È soltanto grazie a lei che puoi capire che hai un demone e, di conseguenza, vedendolo, puoi sconfiggerlo. Lei non è lì per farti male, non ne può nulla, ti sta solo mostrando -.

SFODERARE LE ARMI

E mentre la sofferenza la faceva piangere, il demone, sentendo la mia voce, iniziò a ribellarsi. Prese tutte le armi che aveva a disposizione nell’inconscio della mia amica e si fece ancora più grosso e più potente. Dalla bocca di lei iniziarono ad uscire parole di rabbia e disgusto nei miei confronti. Come potevo dirle quelle frasi io che le avevo sempre confermato di volerle bene? Si aspettava da me la coccola e, quella coccola, non stava arrivando. La mia amica si dibatteva contro di me lanciandomi strali d’odio e aggressività ma io non cedetti. Sapevo che non era lei a parlare e, proprio come Gandalf contro il Balrog dissi al suo demone – Tu di qui non puoi passare! -.

La frase che tanto ci fa ridere e che recita – Esci da questo corpo! – ha, in verità, un fondo estremamente reale e significativo nei confronti di un’emozione negativa che si tramuta in un mostro da combattere.

Cercando di emanare tutto l’amore che potevo, come unica arma, guerreggiai contro quella specie di entità maligna e vinsi. Vinsi però la mia battaglia, non la guerra. La guerra non era neanche mia ma della mia amica ed era lei che avrebbe dovuto combatterla. Nessun altro, al suo posto, poteva. Piano piano la mia amica si quieto’ e accettò di buon grado di seguire i miei consigli.

IMPARARE A GUARDARE OLTRE

Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno. Insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita – (proverbio cinese)

Non volgete le spalle a chi è governato da un demone, non lo merita. Almeno nei limiti. Nessuno vi obbliga ad accettare il comportamento irrispettoso di qualcuno nei vostri confronti. Con questo post non voglio ne’ vantarmi, ne’ passare per Gesù Cristo l’esorcista ma semplicemente intendo far conoscere altri mezzi per soccorrere una persona in difficoltà.

Vedete, la maggior parte della gente, ad una richiesta simile, si preoccupa di proferire giudizi ben poco piacevoli sull’uomo che è andato con un’altra donna o si limita a coccolare la vittima che ora piange lacrime amare. Altri invece, ben poco empatici, non fanno altro che minimizzare la cosa come se nulla fosse accaduto. Poi ci sono quelli che si prodigano nel farti dimenticare. Gli amici quelli unici, tanto amati, che si preoccupano per te. Queste soluzioni, possono essere tutte utili e tutte vanno bene ma, quella persona che sta soffrendo, sta soffrendo a causa di un demone e occorre aiutarla anche a trovare le armi adatte per battagliare ad ottimi livelli.

Ad ognuno il suo percorso. Ognuno sceglie da chi farsi aiutare. C’è chi decide di andare dallo psicologo che userà i suoi mezzi, chi decide di andare dalla mamma che userà i suoi mezzi, chi decide di andare dall’amica del cuore che userà i suoi mezzi. Questa ragazza ha deciso di chiamare me e io ho usato i miei mezzi. Perché forse erano giusti per lei. In effetti mi conosce bene, non è che mi ha visto per la prima volta l’altro ieri.

L’ira che ha riversato su di me era semplicemente l’azione di una forza oscura, lei sapeva già come io l’avrei aiutata. In sostanza però, cosa bisogna fare?

IL MOMENTO DELLA TRASMUTAZIONE: ALLA CONQUISTA DELLA LIBERTA’

Il demone è come una droga. O meglio, un tossicodipendente che esige la sua dose. Senza toccare questo tasto che non mi trova competente lo utilizzo solo come paragone generico. Lui vuole quello che desidera ma noi, attraverso vari strumenti come quelli descritti da O.A.P.A. ( vedi art. https://prositvita.wordpress.com/2018/04/23/va-che-me-ne-sono-inventata-unaltra-si-chiama-o-a-p-a/ ) vi consiglio di leggerlo, non glielo diamo. Praticamente possiamo aiutare l’altro conducendolo in O.A.P.A. e tenendogli la mano anche se farà tutto lui. Nel mentre, essendo noi più esterni e più forti, non dobbiamo farci spaventare, sopraffare, abbindolare, rattristare dal demone di chi abbiamo di fronte.

Quella notte, la mia amica, dichiarò guerra al suo demone. Per ora sta tenendo testa egregiamente, nonostante varie ferite, ma non posso dirvi come finirà. Posso però assicurarvi che, se porterà a buon fine la sua lotta, si troverà a vivere una nuova vita. Una vita bellissima e soprattutto percepirà un senso di libertà enorme che non si comprende fintanto che si è legati da un demone.

Questo possiamo offrire all’altro oltre al solito aiuto: la Libertà. Quella più vera, più intrinseca, più sana.

Prosit!

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