Quella Tuta che chiamiamo Corpo

IO E IL CORPO – UNA COSA SOLA

Siamo abituati a pensare di essere un semplice corpo. Crediamo di essere un semplice corpo e viviamo come tale. Ci vediamo fisicamente, muoverci nel mondo, con i nostri limiti segnati dalla pelle che ci riveste e, oltre lei, inizia immediatamente la realtà esterna. Non ci siamo più noi, c’è “il fuori”. Siamo abituati e convinti di questo. Persino la mente la definiamo come una specie di parte del corpo.

Fin da quando eravamo piccoli siamo stati educati a dire – Sto male -, – Ho male -, – Mi fa male – ogni volta che provavamo un qualsiasi tipo di sofferenza fisica. Non abbiamo mai detto – Il mio corpo sta male – o – Il mio corpo si è fatto male – come se fosse un qualcosa di distaccato da noi. Questo avrebbe potuto aiutarci molto anche nei confronti delle angosce emotive che ci impiegano un secondo a diventare fisiche: respirazione affannata, pianto, attacchi di panico, senso di oppressione sul petto, mal di testa, nausea…

Questo non significa non essere sensibili al dolore, al caldo, al solletico, etc… siamo dotati di neuroni, di corpuscoli (Ruffini, Krause…) di cellule apposite atte a proteggerci, ad avvisarci, ma viviamo queste situazioni come se fossero nostre e non di un corpo che dovrebbe essere visto, semplicemente, come una tuta apposita che dobbiamo indossare per trascorrere questo tempo terrestre. Sulla luna abbiamo bisogno di un apposito abbigliamento. Se andiamo sott’acqua abbiamo bisogno di un apposito abbigliamento. Se andiamo sui ghiacciai abbiamo bisogno di un apposito abbigliamento. Ebbene, non ci rendiamo conto che anche per vivere i nostri giorni su questo pianeta abbiamo bisogno di un apposito abbigliamento. Il corpo.

Non ci osserviamo, come se fossimo (anche) un’entità esterna, guardandoci. Guardando quel corpo e dicendo – E’ mio ma non sono io. Io non sono lì -.

PALOMBARI TERRESTRI

Perché noi non siamo il corpo. Per la precisione il corpo è soltanto una parte di noi. Importantissima, ma è solo un equipaggiamento.

In effetti non è separato da noi, siamo un tutt’uno, e con esso compiamo la nostra trasmutazione ma quello che intendo dire è che, all’occorrenza, possiamo uscire da esso. Non mi riferisco a viaggi astrali o cose simili ma semplicemente che se riuscissimo di più ad identificarci con l’anima anziché con il nostro fisico e vivessimo come anima la nostra vita, comprese le emozioni subite, esse apparirebbero nettamente differenti. Innanzi tutto perché “subite” non lo sarebbero più. Saremo noi a governare loro e non loro a governare noi.

A farci soffrire è infatti l’attrito che la mente ci obbliga a compiere davanti agli avvenimenti che ci accadono. L’anima va oltre. Vede con altri occhi e soprattutto riconosce la bellezza dell’insegnamento. A lei, gli schemi mentali non interessano. Non sa nemmeno della loro esistenza.

Non avete occhi per vedere (avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite?) – (Gesù)

Il problema sta nel fatto che ci riconosciamo come corpo ma nei confronti dell’anima pensiamo invece essere una parte in più che abbiamo. Come un accessorio. Il portafoglio. Chi non ha un portafoglio? Tutti ne abbiamo uno. Un qualcosa che un domani ci permette, in qualche modo, di giungere nel tanto ambito Paradiso visto che il corpo andrà sotto terra. Oh! Bene. Ora che sappiamo che un accessorio nostro andrà in cielo siamo molto più sereni. …E se tu sei cattivo e un’anima non ce l’hai, ti consiglio di andare a comprartene una altrimenti non ci vai, lassù, tra le nuvole...

Quello che si sente dire infatti non è – Sono anima – bensì – Ho un’anima – ed è sbagliato.

Pensiamo l’esatto contrario di quello che è, dando posizioni e meriti a cose che dovrebbero stare un passo indietro. Questo accade perché l’essere umano ha sempre e costantemente bisogno di vedere, di toccare, di constatare. La paura della quale è intriso non gli permette di abbandonarsi alla fede/all’amore. L’immagine che abbiamo di noi è quella di una testa, due braccia, due gambe e stop. Non consideriamo minimamente di essere luce, di essere energia, di essere in realtà una nuvola fluttuante e informe, molto grande, che si sposta per il mondo e agisce attraverso un continuo movimento vibrazionale delle molecole. E cos’è l’energia? L’energia è movimento.

Non consideriamo di essere grandi quanto la stanza nella quale siamo, e qui mi fermo per non essere mal compresa, ma… altro che stanza! Un passo alla volta però. Provate ad immaginare quindi come potrebbe essere una vita passata sotto a quest’ottica. Se solo potessimo vederci come l’Universo ci vede, una volta scoperto ciò che realmente siamo, ce ne daremo tante ma tante che Suor Nausicaa a confronto toglieva la polvere dai petali di rosa.

FATTO A SUA IMMAGINE E SOMIGLIANZA

Il corpo è lo strumento principale che possediamo per trasmutarci, ossia per riconoscere che cosa realmente siamo e per mostrarci che, alla fine, ben poco abbiamo a che fare con lui. E’ proprio nel corpo, e attraverso il corpo, che modifichiamo le nostre vibrazioni fino a compiere una vera e propria trasformazione del movimento molecolare potendo così mandare frequenze diverse da quelle che emaniamo e in grado di agganciarsi o incontrarsi con quelle universali.

E’ grazie al corpo che passiamo da uno stato di “sonno permanente” ad un risveglio totale che ci permette una connessione completa con l’energia cosmica, in quanto già siamo energia cosmica ma non lo riconosciamo. E’ ottenere la potenza dell’Universo laddove, l’Universo, vedendo come invece ci comportiamo, si martella esso stesso i gioielli di famiglia gridando nell’atmosfera – Dove ho sbagliatooo???!!! -.

Serve percepire e non capire. La logica e la razionalità appartengono al Tutto ma non sono il Tutto. Serve mettere da parte la mente (che mente) schiava della nostra situazione terrestre e agire d’intenti. Serve non confondere, usare il nostro “sentire”. Comprendere (prendere con – prendere in sé) e quindi accogliere, sentire dentro.

Non finiamo là, dove il nostro strato corneo epiteliale smette d’esistere. Immaginatevi un alone ampio, grande, che ci avvolge e si muove attorno a noi. Immaginate di contenere al vostro interno le altre persone, gli alberi, i luoghi, le sensazioni, le gioie. Questo siete. Scintille luminose. Piccole parti di un’intelligenza senza fine che vi ha portato sin qui dotandovi di un corpo, cioè di qualche atomo, perché in questo particolare ambiente, la condizione obbliga ad averlo.

Prosit!

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Quanto dura il Dolore?

DUE ANNI PER STAR MALE E DUE GIORNI PER STAR BENE

Quante volte abbiamo sofferto e abbiamo pianto. Fiumi e fiumi di lacrime accompagnate da singhiozzi e forse anche da urla.

Piangere è un bene. Un po’ del nostro demone esce fuori attraverso quelle gocce salate che sgorgano dai nostri occhi.

Il pianto della sofferenza è anche la manifestazione fisica di un dolore che abbiamo raccolto e nutrito e che ora cerchiamo, inconsciamente, di espellere. A volte può capitare che dopo un bel pianto ci si senta subito meglio, altre volte invece, nonostante quello sfogo, rimane in noi una specie di oppressione che non ci permette di vivere felici e sollevati e passiamo le giornate a chiederci “quando finirà? Quando ricomincero’ a stare bene?”.

Ogni volta che stiamo male, sia moralmente che fisicamente, pretendiamo poi di stare subito meglio. Sopportare quell’angoscia è faticoso e non accettiamo, ora, i tempi della guarigione sia essa fisica che emozionale. La guarigione ha i suoi tempi e sono sempre troppo lunghi per noi, per i nostri bisogni e per la nostra vita frenetica ma, in realtà, sono in perfetto accordo con la natura e i suoi metodi di RIPARAZIONE.

Quando capita che il fegato di qualcuno si ammala, si prega affinché quel fegato possa sistemarsi velocemente, al meglio, ma non si pensa mai che per venti lunghi anni quel fegato è stato maltrattato, forzato, sovraccaricato da abitudini non sane. Per venti lunghi anni ha subito ma, adesso, nel giro di due giorni, deve ritornare come nuovo. È impossibile e presuntuoso non trovi? E questo vale per qualsiasi tipo di malessere.

UN’AMPOLLA PER LE LACRIME

Sarà capitato anche a te, nella vita, di piangere per un’ora di fila e versare sul tuo viso grossi lacrimoni. Avresti quasi potuto riempire una piccola ampolla lo sai? Non ci vuole molto. Se tu avessi raccolto tutte quelle gocce lo avresti fatto. In una sola ora ripeto. Ora supponiamo di mettere questa ampolla, senza tappo, su un mobile a prendere aria. Quanto tempo ci impiega quel liquido a evaporare del tutto facendo ritorno all’energia cosmica? Parecchi giorni. Molti giorni. Tu hai impiegato solo sessanta minuti per crearlo ma per “distruggersi” ha bisogno di molto più tempo.

La stessa cosa vale per una ferita. A tagliarti ci metti un attimo. È una questione di pochi secondi ma, per guarire, quel taglio, impiegherà diverso tempo.

L’ampolla piena di lacrime e il taglio sulla pelle sono cose fisiche che possiamo vedere e toccare mentre non possiamo osservare allo stesso modo i nostri pensieri, o i nostri intenti, o le nostre emozioni quindi non riusciamo a vedere i meccanismi della guarigione che sono identici.

Quando si sta male per un qualcosa di emotivo non si può, purtroppo, pretendere di stare subito meglio poiché ogni cura ha bisogno del suo tempo proprio come la cicatrizzazione di una ferita o l’evaporazione di un liquido.

COMUNQUE MIGLIORA

Esiste però la possibilità di notare un leggero miglioramento ogni giorno. A volte i miglioramenti sono così lievi da risultare impercettibili e, non vedendoli, cadiamo sempre di più nell’angoscia. In una ampolla però, il giorno dopo, non ci sarà più liquido del giorno prima, in una condizione normale, così come il taglio non sarà più lungo del giorno prima, in una condizione normale.

Se quindi alla tua sofferenza non si aggiunge ulteriore sofferenza, dovresti cercare di sforzarti a vedere i piccoli progressi. Magari ora, anche se non te ne sei reso conto, respiri meglio di ieri oppure hai pianto per minor tempo, o sei riuscito a distrarti anche se solo per qualche secondo da quella che era per te una terribile ossessione.

Se riesci a porre attenzione a queste migliorie le nutri. È come se tu accendessi su di loro una luce, un occhio di bue, e loro sentendosi viste si sentono ora più importanti. Avranno pertanto voglia di crescere e ingigantirsi cosicché l’indomani saranno ancora più grandi, ancora più visibili e tu starai sempre meglio.

L’ACQUA SE LA GUARDI NON BOLLE

All’incontrario, fintanto che tu continuerai ad osservare le lacrime che ancora sono nel piccolo vasetto, è come se fermassi il tempo su quel dolore.

Hai presente il detto: “l’acqua sul fuoco, se la guardi, non bolle mai”?

Hai mai provato?

Quando sei in ritardo e devi buttare la pasta, l’acqua è come se non arrivasse mai a bollire. Quel tempo sembra lungo e infinito. Ovviamente è solo un’impressione ma il fatto é che si sta realmente in ansia, o siamo inquieti, o iniziamo a battere coi piedi come per accelerare il tempo. Ciò che è soltanto un’impressione diventa fisico e reale e, la stessa cosa, all’inverso, vale nel cercare di stare bene. E si sta bene realmente. Alla fine è proprio questo che interessa a noi. Non continuare quindi a guardare l’acqua, focalizzati su altri aspetti.

Prosit!

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Epistassi: la Gioia ha trovato una via d’uscita

IL SANGUE – FONTE DI VITA

Cosa rappresenta il sangue in alcune filosofie alternative?

Il sangue, trasportando ossigeno, elemento vitale per noi, è considerato la linfa della vita. Il sangue, inoltre, trasporta sostanza di scarto sostituendole con quelle nutritive in continuazione. Alimenta tutti i nostri tessuti e ci permette di essere vivi.

Molte volte ho parlato della differenza tra il semplice esistere (o sopravvivere) e il vivere pienamente la propria vita e, tra le due cose, c’è una significativa differenza. Il semplice esistere è dato da una prassi quotidiana nella quale si compiono le solite azioni, si formulano i soliti pensieri e si è governati dalle solite emozioni. Non c’è brio, non c’è follia vista come la capacità di vedere oltre. Non c’è un impetuoso sentimento di goduria verso il miracolo più grande tra tutti: quello di essere vivi.

Tutto questo è definito da un’emozione simbolo, emblema della bellezza del vivere e sto parlando dell’amore vista come la forza più potente all’interno di tutto il disegno cosmico e che appartiene anche a noi. L’amore è però rafforzato da una sua importante figlia, forse la prediletta, emozione basilare nello stato di quello che dovrebbe essere il percepire tale miracolo. Sto parlando della gioia. La gioia, vista in questo contesto, è l’ingrediente principale quindi del nostro vivere – appieno – la vita.

Pertanto, riassumendo il concetto, il sangue rappresenta la gioia. La gioia che attraversa ogni nostra parte del corpo, che ci riossigena, che ci nutre, che ci permette di alzarci tutte le mattine e affrontare la nostra giornata. La gioia, antagonista indiscussa della tristezza. La gioia che ci permette di condurre i nostri giorni nell’appagamento totale e nella beatitudine.

LA TRISTEZZA TRASBORDA

È infatti quando coviamo in noi molta tristezza che la gioia, come a non “avere più spazio”, prima o poi, deve uscire. Possiamo tagliarci, ferirci in qualche modo, perdere sangue… perdere un po’ della nostra gioia. Un avviso ben visibile, di un bel rosso intenso, “alarm!”, che ci grida – Alt! Guarda! Stai perdendo felicità! Fa’ qualcosa! -. Un pianto interiore che alla fine fuoriesce.

Nel caso dell’Epistassi, e cioè la perdita di sangue dal naso, occorre osservare in primis che cosa rappresenta il naso per noi. È la parte che ci accomuna al mondo esterno. Percepiamo attraverso esso gli odori del mondo. Di cosa sa quella cosa? Il famoso fiuto animalesco, senza barriere.

Fiutare, indagare, conoscere… di primo acchito, quasi senza rendercene conto. Ad esempio, non riconosciamo di percepire i ferormoni di un’altra persona, eppure lo facciamo.

Il fiuto visto come il nostro intuito, ossia la capacità di riconoscere subito un qualcosa e la sua energia. La filosofia alchemica, che racconta come l’esterno sia il nostro interno, ci suggerisce quindi come non accettiamo quello che ci circonda o persino noi stessi e anche come non ci sentiamo accettati (riconosciuti, amati).

ACCETTAMI PER COME SONO

Accettami per come sono! – è il principale messaggio che grida tristemente la persona che soffre di epistassi. Ma le sue urla soffocate possono anche voler intendere: questa non è vita, la vita non mi ama, sono poche le cose che mi rendono felice a questo mondo… etc…

A soffrire maggiormente di epistassi sono infatti i bambini e gli anziani, anche perché hanno dei capillari più sottili e delicati. Per i primi, parecchio sensibili e assorbenti come delle spugne, è molto semplice e assai frequente non sentirsi amati. I secondi, invece, alla loro età, si sentono stanchi della vita che conducono oppure trovano questa vita difficile e faticosa da vivere visti gli acciacchi, la paura della morte che si avvicina, la perdita di persone care, gli impedimenti.

Modificando il proprio pensiero, e di conseguenza l’emozione che ne scaturisce, ossia – sorridi alla vita se vuoi che ti guardi sorridendo -, si può guarire dal fenomeno dell’epistassi soprattutto quando questo si rivela frequentemente.

Finchè non ci si sente amati e non si conducono le giornate nella gioia, purtroppo essa in qualche modo deve uscire per lasciare il posto alla tristezza. Ma si fa bene vedere e quindi possiamo porre rimedio.

Prosit!

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A volte guardo le Persone

A volte guardo le persone. Quante sono…! Tutte diverse tra loro eppure tutte così uguali.

Camminano veloci, muovendosi tra loro senza nemmeno osservarsi. Si passano davanti, o accanto, senza notare a chi si sono avvicinate. Tutte così prese dal guerreggiare contro l’uno o contro l’altro, oppure nella totale indifferenza senza comprendere e senza sentire quanto invece si è utili per gli altri. Ognuno di noi.

Non si percepisce l’immenso disegno universale che ci vede tutti uniti a lavorare assieme come le cellule del nostro corpo. Come se fossimo cellule di un grande corpo.

Si sottolinea la differenza tra il mendicante e il riccone e non si nota come collaborano invece le particelle del nostro fegato e quelle dei nostri reni.

A volte guardo le persone. Sono tutte belle. Ognuna di loro ha una particolarità unica, fisica o meno, che la rende irresistibile. Le guardo e ne noto la bellezza. Un duro allenamento, non lo nego, soprattutto per una sociofobica e misantropa come me. Ma da cosa dovevo fuggire in fondo? Come potevo non amare chi è come me e chi mi sta accanto, ogni giorno, anche al supermercato? Di cosa avevo paura in realtà?

La meraviglia del creato sta anche in questo e in tutte loro. Non si manifesta soltanto in un bosco, in un’alba, in un animale dai colori sgargianti.

L’umanità è la creazione più affascinante dell’Universo, dalla bellezza nascosta. La più difficile da vedere. Una bellezza da scorgere con altri occhi, oltre al fastidio, l’offesa, il timore e quant’altro ancora può regalarti.

Le persone sono me, come potrei non piacermi? Sono io. Come potrei non amarmi? Come potrei non perdonarmi? Accompagnarmi una vita intera avendocela con me stessa come se fossi la mia più grande nemica. Giungere qui per trascorrere un’intera esistenza nel rancore e nell’astio.

Io sono la gente e la gente è me. Io sono l’uomo arrabbiato, il bambino capriccioso, la donna innamorata. Io sono il vecchio che soffre, il giovane che ride, la vedova che tace, il medico che cura, lo sportivo che suda.

Io sono le loro espressioni stanche, il loro viso corrucciato, le loro preoccupazioni. Sono la loro voce che canta, le loro labbra che baciano, i loro sorrisi. Le loro ambizioni.

La gente così assente, che cammina dormendo, che se nota qualcosa lo osserva con circospezione. La gente che porta luce, che balla in piazza, che insegna.

Il riconoscersi è la scoperta che più stupisce. Il perdersi, il trovarsi.

A volte penso a cosa accadrebbe se ognuno di noi si mettesse realmente al servizio degli altri offrendo il proprio talento, mostrando la sua parte più irresistibile. Cosa accadrebbe se ogni uomo si rendesse conto che il suo scopo qui è proprio quello. È proprio bello.

A volte guardo le persone e attraverso loro vedo me. Come mi sono comportata? Cosa ho dentro? Di cosa ho bisogno? Quali doti nascondo?

Gli altri… nella magnifica legge dell’Uno.

Gli altri… per leggere le pagine della mia vita.

Prosit!

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Il Maestro Spazzino – non tutto è come sembra

MICHELE LO SPAZZINO

C’era una volta un uomo che si chiamava Michele e faceva lo spazzino in un piccolo paese di provincia. Aveva cinquantacinque anni e strani poteri che si potrebbero definire magici.

Michele era in grado di prevedere avvenimenti, di percepire lo stato d’animo delle persone, di immedesimarsi in un insetto, aveva un’istruzione da premio Nobel, sapeva salvare gli altri dai pericoli, leggere nella mente della gente, trasformare la realtà, fare prodezze con il proprio corpo… insomma era un uomo davvero speciale. Era un Mago.

Era assurdo vedere un Mago pulire le strade di un paese. Un lavoro rispettabilissimo, ma definito umile dalla società e soprattutto faticoso e poco piacevole. Michele, infatti, aveva a che fare con la maleducazione degli abitanti, ogni giorno, e i suoi occhi vedevano cose anche raccapriccianti. Vagabondi che facevano i loro bisogni nel parco, tossicodipendenti che lasciavano i loro strumenti per strada, ubriachi che vomitavano dove gli capitava, rifiuti ovunque, sporchi, puzzolenti, pericolosi. Sotto al sole cocente, o sotto alla pioggia, o al freddo intenso, Michele, ogni dì, doveva svegliarsi prima del sole e iniziare a pulire le vie di quel borgo.

MA PERCHÉ?

E Michele non era triste per questo e nemmeno particolarmente euforico. Nessun picco emozionale lo rapiva e sapete perché? Perché quello, per lui, era semplicemente l’ovvio. Quel determinato lavoro, in quel determinato tempo e in quel determinato posto era ciò che di perfetto stava esistendo. Michele sapeva di essere nel posto giusto, nel giusto momento e nel giusto luogo. Scusate queste ripetizioni da cantilena ma è proprio ciò che è, e vorrei le assaporaste così. In quel momento, quello era lo scopo di Michele.

Ma perché? Cosa doveva realmente fare Michele? Un uomo con le sue capacità, il quale avrebbe potuto tranquillamente essere il Presidente di uno Stato…

Michele non si poneva queste domande dalle risposte spesso incomprensibili. Sapeva e accettava soltanto l’ovvio. Se era lì, era lì per un motivo, per uno scopo, per un suo passaggio e per il passaggio di chi aveva a che fare con lui nella piena consapevolezza del – tutto è perfetto -.

IL VELO SULLO SGUARDO

C’è una cosa alla quale non pensiamo mai, soprattutto quando svolgiamo un lavoro che poco ci piace o ci sentiamo obbligati a stare in un luogo che detestiamo, con persone che ci infastidiscono. Non pensiamo al fatto che forse potremmo essere lì perché lì c’è bisogno di noi. Per quello che siamo. Fosse anche perché in quel posto noi dobbiamo portare la gioia. Perché le caratteristiche che ci formano sono quelle perfette per “aiutare” chi vive quel luogo ma non ce ne rendiamo nemmeno conto. Non ci pensiamo nemmeno. Non ci poniamo neanche attenzione e quindi non lo sappiamo. Non osserviamo che ogni nostro gesto, ogni nostra parola, ogni nostro sorriso a quella determinata persona potrebbe aver fatto del bene o del male al fine di portarla a evolvere, e che solo noi siamo i più adatti in quel contesto perché, per una vibrazione energetica di frequenze, le nostre qualità si sposano perfettamente con quelle di un altro. La realtà esterna rispecchia il nostro interno e se io ho le perfette caratteristiche per rispecchiare un qualcosa in qualcun altro io allora mi troverò lì. Devo svolgere il ruolo del Maestro.

La nostra mente però, piena di immondizia, non ci permette di vedere questi piccoli miracoli. Quante volte durante la giornata ci viene da dire che intorno a noi non sta succedendo nulla? Invece attorno a noi c’è la vita, la vita vera e noi non la percepiamo neppure.

Perché ho incontrato quella persona lì?

Perché mi è successo questo?

Perché ho visto quello?

Non ci poniamo queste domande galleggiando nel fluido dell’esistenza come burattini.

FORSE C’È QUALCOS’ALTRO 

Non guardiamo con gli occhi dell’anima e non ci accorgiamo che siamo qui anche per essere “al servizio dell’umanità”. Non spazzando strade, ma rispondendo con le nostre frequenze.

In ambito lavorativo pensiamo che la nostra missione sia solo quella di guadagnare, di avere un posto sicuro, ore di riposo, ferie, mansioni di pregio ma le leggi dell’Universo non funzionano così e, volenti o nolenti, in mezzo a queste leggi, noi ci viviamo. Dobbiamo certamente stare il meglio possibile e pensare al nostro benessere ma, come prima cosa, dovremmo proprio osservare anche queste sfumature se vogliamo sentirci più sereni e appagati.

Con questo articolo non intendo dire che non bisogna avere ambizioni o non bisogna auspicare ad altro. Il mio vuole solo essere uno spunto di riflessione per poter guardare anche oltre, anziché soffermarsi alla rabbia e al fastidio di svolgere ogni giorno mansioni che non amiamo.

Provate a guardarvi attorno. Come mai oggi quel vostro collega vi ha fatto disperare? Cosa dovevate imparare? La pazienza forse…

Perché davanti al capo vi ha prevaricato? Avete per caso prevaricato qualcuno nella vostra vita?

Perché quella vostra collega ha chiesto aiuto a voi? Perché é stata felice di quel vostro sorriso?

Questi sono solo esempi. Potete farvi mille domande per imparare (se non riuscite ad accettare con fede totale come ha fatto Michele) ma sappiate che potreste essere davvero anchenel posto perfetto al momento perfetto -.

Prosit!

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Non capisci che mentre desideri ti convinci del contrario

CHI VIVE SPERANDO…

È stato spiegato molte volte come funziona il meccanismo vibrazionale nei confronti di ciò che siamo dentro, emozionalmente, e le risposte dell’Universo. In pratica, non otteniamo ciò che chiediamo ma ciò che proviamo. Ciò che siamo.

Questo fenomeno viene chiamato Legge di Attrazione ed è scientificamente provato che funziona, sempre, ma tante persone non vedono i risultati sperati.

Già sulla parola “sperare” ci sarebbe da scrivere un intero articolo, in quanto, come spesso ho detto: “sperare” significa mettersi in attesa di ricevere qualcosa solo se si è degni di riceverla. Non ha niente a che vedere con l’agire, il credere fermamente, o il dare come già avvenuto quello che abbiamo ordinato. Ordinare, sì. Chiedere non va bene, bisogna ordinare. Cioè non bisogna desiderare (de-sidera al di fuori del disegno stellare – cosmico -) ma considerare (con-sidera dentro al disegno stellare – cosmico -). Hai mai sentito un Mago chiedere – Per favore -?

Ordinare è uguale a Comandare e il termine – comandare – sai cosa significa? Con + mandare cioè mandare con… con il pensiero, con la parola, con l’emozione, etc.

Ma torniamo all’inquinamento emotivo che non ci permette di ottenere neanche quello che ordiniamo.

MENTRE PENSI AD UNA COSA SEI UN’ALTRA

Ebbene, non ci rendiamo conto che mentre vogliamo più soldi è perché sappiamo/pensiamo/crediamo di NON AVERNE. Mentre vogliamo stare bene è perché sappiamo/pensiamo/crediamo di STARE MALE. Mentre vorremmo combattere la nostra solitudine è perché sentiamo/pensiamo/crediamo di ESSERE SOLI. Mentre proviamo a sognare un mondo migliore è perché CONSIDERIAMO BRUTTO quello in cui viviamo.

Le parole che leggi scritte in stampatello sono quelle che appartengono alla nostra parte più intima e vera. Sono quelle appartenenti alle vibrazioni che emani e quindi sono quelle che l’Universo legge e alle quali risponde.

Che delusione vero? Passiamo tutta la vita a sperare di avere più soldi, a chiedere di riuscire a pagare tutto, a comandarci di mettere via un gruzzoletto cospicuo e, ogni volta, ci ritroviamo con l’acqua alla gola. Purtroppo, se mentre proferiamo il nostro decreto o il nostro pensiero intenzionale, stiamo in realtà arrancando, la risposta delle frequenze universali sarà – ARRANCARE -. E possiamo dire tutto quello che vogliamo ma continueremo ad ARRANCARE.

OK, QUINDI?

Quindi cosa bisogna fare? Il metodo per ottenere la realizzazione di quello che pensiamo/vogliamo/immaginiamo esiste, ma a noi esseri umani ci piace “vincere facile” e fare poca fatica. “Butto un desiderio là ed esso si deve avverare”. Poi non si avvera e pensiamo alla sfiga ma iniziare un duro allenamento non fa certo per noi.

Il duro allenamento invece sarebbe davvero ideale per iniziare a vivere la realtà che tanto ambiamo. Per cui, prima di chiedere soldi, cerca di trasmutare le tue emozioni interne che riflettono il famoso ARRANCARE.

Tu puoi anche far finta di essere giallo ma se continui a emanare il grigio sarà il grigio ad essere visto dall’Universo. Allora prima trasforma quel grigio. Aggiungi dei colori. Metti prima del bianco in modo da schiarire cosicché, poi, le altre tinte potranno sembrare ancora più accese e predominanti.

Ma come si fa? È difficile. Ci vuole impegno, coraggio, pazienza e determinazione. E anche un po’ di fantasia.

Riguardo all’esempio dei soldi, inizia scacciando via il pensiero di essere povero. Ogni volta che ti viene in mente che:

– quella cosa non puoi permettertela

– quella cosa è troppo cara

– non riuscirai a pagare la bolletta

– il tuo vicino di casa è più ricco di te

– la tua auto non ne può più

– etc…

Anche se tutte queste cose sono vere, devi distogliere il pensiero. Pensa alla torta che ti faceva tua nonna, al tuo compagno di scuola che da anni non vedi, a chissà cosa sta facendo tuo figlio in questo momento, a chissà se in Cina c’è il sole o sta piovendo. Pensa a quello che vuoi, ma togliti da dov’eri. Non devi ALIMENTARE i pensieri che ti portano verso la povertà. Più ci pensi e più, senza accorgertene, li nutri. Nutrendoli essi si ingrandiscono. Lo so che a te sembrano sempre uguali, gli stessi di ogni giorno, ma non è così. Dentro di te diventano sempre più grandi e soprattutto sempre più consolidati e convincenti. Togli la tua mente da lì. Dribbla questi ostacoli. Crea dei pensieri funzionali.

PER ASPERA AD ASTRA

Dopo che ti sei allenato a fare questo, che è molto difficile, arrivi alla parte ancora più ostica. Esatto. Non sono qui a coccolarti, comportati da Guerriero e affronta le prove con gli strumenti che ti ho elencato prima: impegno, coraggio, pazienza e determinazione. E fantasia.

Ora dovrai fingere. Fingere nel modo più efficace e credibile che ti riesce. Dovrai mentire a te stesso e credere seriamente a quello che stai “facendo finta” di provare. Ossia: dovrai crederti ricco.

Devi convincerti di poter possedere ogni cosa (solo che ora non ne hai voglia), di poter pagare ogni cosa (solo che per scelta procrastini), di avere una bellissima casa, un’auto stupenda. Cerca di sentirti ricco dentro.

Cammina come camminerebbe un ricco, parla come parlerebbe un ricco, pensa come penserebbe un ricco. Ogni tanto permettiti un caffè in un luogo da ricchi. Non dire a tuo figlio – Non possiamo permettercelo – prova a rispondere – Ok, vediamo di fare il possibile, magari ci riusciamo, se non ci riusciamo questa volta sarà per la prossima -.

Sentiti ricco.

MA CHE ME NE FACCIO DI TUTTI QUESTI SOLDI?

Dopo che ti sarai allenato anche in questa prova, devi iniziare a dare un po’ di fiducia a ‘sto benedetto Universo che ti circonda. Inizia con cose piccole. Devi pagare la bolletta e ti sale la paura di non avere i soldi? Bene, prova a dire – Quando sarà il momento, in un modo o nell’altro, avrò il denaro per pagare, ne sono sicuro! Anzi, già ce l’ho! E me ne avanza persino! -.

Molto bene: eccolo qui il vero “desiderio” che devi (e ora puoi) mandare nell’Universo. Il quale, come vedi, è più una considerazione che un desiderio. Noterai la differenza nel dire questa frase al posto di – Io vorrei tanto avere i soldi per pagare la bolletta, per piacere, ti prego, fa ch’io li abbia (visto che NON LI HO) -.

Tu i soldi li hai. Credici. Funziona. All’inizio ti sembrerà tutto assurdo. Ti sentirai un deficiente ma se continuerai funzionerà. Cerca di non sporcare il messaggio con emozioni negative. Cerca di dare per scontato che quella bolletta l’hai già pagata, sei riuscito. VISUALIZZALA già pagata e visualizza te che sorridi.

In base a questo esempio dei soldi ti consiglio di leggere anche questo mio articolo “magia e denaro”  https://prositvita.wordpress.com/2018/03/16/magia-e-denaro/

Tutto ciò che ho scritto, però, come ho detto a inizio post, si deve applicare a qualsiasi tipo di “desiderio”: salute, amore, lavoro, amicizia, oggetti. La prassi è la stessa.

Poni attenzione quindi quando domandi, impara a volere e impara a modificare il tuo interno.

Prosit!

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