Puoi credere a Dio come meglio credi. Puoi appartenere ad una religione oppure no. Puoi pensare che Dio sia l’Amore o una figura precisa. Puoi pensare che Dio sia nella natura o sopra una nuvoletta. Puoi chiamarlo come vuoi. Sappi solo che sei la sua espressione e la sua manifestazione migliore.
Avrei voluto dirti tante cose quel giorno in cui mi chiedesti di Dio ma non ti dissi niente.
Avrei voluto spiegarti come realmente stavano le cose, per il mio sentire, e invece mi bloccai, sorpresa e preoccupata, nei confronti dell’intricato discorso nel quale mi sarei dovuta cacciare.
Avrei saputo raccontarti molto ma non lo feci, negandoti la possibilità, anche minima e forse impossibile, di poter intravedere uno spiraglio di luce.
Fu per questo che venni a prenderti, dopo tempo, all’improvviso. Non avrei più permesso al mio silenzio l’evitarmi di donare una nuova idea. Una nuova riflessione. Fu per questo che, armata di tanto coraggio, ti obbligai a guardarmi negli occhi pronta a sfidare ogni tua richiesta, ogni tua sarcastica risata, ogni tua incredula frase condita di rabbia e voglia di zittirmi. Fu per questo che venni a chiederti di ascoltarmi, di lasciarmi spiegare.
Eri un uomo grande e grosso, e lo sei ancora, ma fu come vederti ancora più grande… con la tua mente chiusa e la tua giustizia. Un rivoluzionario che non amava i soprusi e si lasciava guidare, convinto, dalla sua onestà.
Ricordo i tuoi cinquant’anni che vedevo come un ostacolo. Ricordo l’impulso d’amore che provai per te in quel momento.
Ricordo il tono della tua voce che mi fece la fatidica domanda trovandomi muta. Ricordo la voglia di sviscerarti addosso tutto ciò che mi apparteneva e la scelta, poi, di mordermi la lingua. Ricordo il tuo sguardo avvilito… – Meg… perché Dio ce l’ha con me? -.
Quel tuo vedere te stesso come un giudice punitore ma non lo comprendevi.
E avrei voluto abbracciarti più forte di come feci e lo faccio ora, perché so che non mi credi ma mi leggi ed è come se la tua lunga barba, morbida, accarezzasse le mie guance. Perchè so che qualcosa ti attira verso le mie parole.
Avrei voluto dirtelo fin da allora.
Non esiste nessun Dio che possa avercela con te. Nessun Dio ti giudica. Nessun Dio ti punisce. Nessun Dio ti premia.
Quando ti feci voltare, obbligandoti a guardarmi, la prima cosa che ti chiesi fu – Quanto tu ce l’hai con te stesso? Quanto ti credi sbagliato e meritevole di punizioni?! Quanto pensi di non essere degno d’amore, d’abbondanza, di compassione? –
– Io mi muovo sempre per il bene – mi dicesti
– Un giustiziere. Perché? Perché tutta questa rettitudine nei confronti degli altri? Quali peccati devi espiare? Quali grandi colpe… o quali grandi bisogni devi soddisfare? – risposi.
Fu in quel momento che vidi un tuo sopracciglio inclinarsi verso il basso. L’attenzione. La concentrazione. Due piccole rughe, nette e stropicciate, presero forma in mezzo ai tuoi occhi. Ti avevo. E non ti avrei più lasciato andare.
– Quanta punizione pensi di meritare per uno sgarro? –
– Tanta – mi rispondesti dopo qualche attimo di silenzio
– E quante volte compi errori ai danni degli altri o di te stesso? –
Fosti più pronto perché non guardasti oltre il “velo”.
– Raramente –
– Questo è il tuo più grande sbaglio. La tua più grande menomazione. Il non vedere -. I tuoi occhi si fecero a fessura. Continuai. – Non ti rendi conto che, dentro di te, il carburante che ti fa muovere, è l’estremo bisogno di piacere agli altri, di essere apprezzato, di essere accolto e amato. Ogni tua mossa ha questo fine inconsapevolmente -.
– Che male c’è? –
– Il male risiede nel movente. Perché ti adoperi in questo senso? Te lo spiego io. Perché hai paura. Paura di non essere visto. Paura di essere messo in un angolo. E perché sei povero. Povero di amore e rispetto per te stesso. La paura e la povertà sono gli elementi che costituiscono questo tuo stato d’essere. Ne sei permeato. Ne sei pieno dentro quanto fuori, attorno a te. Questa è la tua punizione. La tua crocifissione che tu soltanto ti stai infliggendo. Nessun Dio lo fa al posto tuo. L’unica cosa che potrebbe fare Dio, qualora avesse i nostri sentimenti, sarebbe quella di offendersi. Di dover accettare di malavoglia che una sua creazione, unica e perfetta, sua figlia, non si ama. Non riconosce la sua perfezione e mendica accettazione dagli altri. Una sua scintilla, divina quanto lui, padrona del cosmo, vive nella paura e nella povertà. Vive nella punizione laddove alcuni suoi demoni esistenti, dei quali lei non ha colpa, la fanno sentire una povera esistenza mediocre. Laddove nutri il senso di colpa perché non c’è libertà. Perché sei vittima del giudizio, palese o subdolo che sia, di chi ti sta attorno. E perché tu stesso giudichi. Giudichi il giusto e lo sbagliato, con occhi e sensi fisici, perchè tu stesso sei a favore della punizione dolorosa, senza osservare con lo sguardo dell’anima che vede attraverso il cuore. Il cuore, la sede di Dio. Dove vorresti perdonare ma gli schemi mentali te lo proibiscono. Dove vorresti arrenderti ma la ragione ti convince ad infierire. Dove vorresti accettare ma saresti solo un verme se lo facessi. Dove vorresti coccolarti ma ti hanno insegnato che, in certi casi, non si devono usare le carezze ma le sberle. Chi si sta punendo? Dove si trova un Dio disposto al perdono se il perdono non c’è? Come potresti trovare un cammello nella macchia mediterranea? Guardati… chi si sta punendo? Chi si mette davanti a tali prove? –
– Dio mi punisce perché non vado verso di lui? –
– Dio è amore. Non c’è nessun Dio là fuori concepito come ci è stato insegnato. L’amore è la Sorgente. L’energia cosmica. Quella è Dio, ed è ovunque. E’ quando non vai verso l’amore, verso qualsiasi sua forma che incontrerai ciò che stai incontrando. Che incontrerai punizioni al posto di compassione, vendetta al posto del perdono, bastonate al posto della dolcezza. E una delle forme più importanti è quella da rivolgere a te, perchè amando te ami Dio e ami il Tutto. Rispettati se vuoi che tutto l’Universo abbia rispetto di te –
L’abbraccio. Il silenzio.
Prosit!
photo coaching-espiritual.com