Il significato nascosto nella frattura del Femore

LA VITTORIA E LA SCONFITTA

Si tratta dell’osso più lungo del corpo umano.

Il Femore, osso della coscia, rappresenta a livello generico la nostra forza nell’andare avanti, nell’agire, nel fare, nel procedere in ogni senso. Ma c’è una cosa che più di tutte simboleggia e che ora ti spiego.

Ti ricorderai che nel post sulle cosce avevo già parlato di questo potere ( post https://prositvita.wordpress.com/2016/07/13/il-potere-e-nelle-cosce/ ) ma ora andiamo a vedere che significato si cela in correlazione al Femore e alla nostra potenza quando questo osso si rompe.

Ci si sente in pratica sconfitti. Essendo esso l’emblema della nostra potenza dell’agire, quando troviamo davanti a noi una persona, o un evento, o un qualcosa di più potente, cediamo in questo senso.

In qualche modo ci fratturiamo il Femore.

Ovviamente non accettiamo l’altrui potenza. Questa cosa ci fa sentire inferiori e ci rende rabbiosi e tristi.

Se immaginiamo di dover colpire qualcuno con un pugno, e ci mettiamo in posizione “da combattimento”, possiamo notare come una gamba starà in avanti, leggermente piegata, e sarà la gamba sulla quale faremo forza. Quella forza viene emanata dalla coscia, cioè dal Femore che diventa in questo caso l’organo propulsore. Ma chi abbiamo davanti al quale vogliamo tirare un pugno? E’ un “nemico” che possiamo facilmente sconfiggere, o è un “nemico” che valutiamo decisamente più forte di noi e sentiamo già pervaderci dalla sconfitta?

TRA POCO MORIRO’

Si può notare come siano le persone più anziane a rompersi sovente e facilmente il Femore. Le persone di una certa età hanno naturalmente le ossa più fragili. È purtroppo molto semplice per loro, cadendo, rompersi un osso. Più facile rispetto a un bel giovanotto agile e muscoloso.

Ma è anche vero che, inconsciamente, sanno di andare incontro a qualcosa di molto potente, troppo potente, totalmente impareggiabile: la morte.

Quando si è anziani questo pensiero è più costante rispetto a quando si è giovani. Il concetto della morte, che sopraggiunge alla vecchiaia, è una memoria molto antica dentro di noi. È una cosa che diamo per certa.

Man mano che si invecchia, questa paura si fa sempre più grande anche se non ce ne accorgiamo. Molti amici della nostra stessa età muoiono, gli acciacchi ci spaventano, il rendersi conto di fare più fatica ogni giorno che passa è una cosa che non ci piace per niente, si sa di avere meno tempo e tutte queste cose nutrono il Demone della paura della morte.

IL POTENTE IMPEDIMENTO

Come dicevo però, anche una persona può farci sentire impotenti anziché potenti. Un’autorità ad esempio, un qualcuno che ci sconfigge, ci annienta, non ci permette di ribellarci, di affermarci, di farci valere. Di essere quello che vorremmo essere.

Ritorno agli anziani perché dovete sapere che, per la maggior parte di loro, non è affatto semplice vivere. La società li riduce a dei micragnosi, i figli magari non guadagnano abbastanza, il Governo non permette loro nemmeno di arrivare a fine mese e, tutta questa vita così pesante, per loro è come un mostro potentissimo. Non sentono più le forze per combattere questa situazione, ci si sente già sconfitti in partenza. Ecco un altro motivo del perché, durante l’età senile, è facile rompersi il Femore.

Molto spesso si sente dire proprio questo. Tra tutte le ossa che abbiamo nel corpo (ben 206 in un soggetto adulto) sempre il Femore.

È anche vero che un vecchietto non ha i riflessi di un giovane. Non porta avanti le braccia e non rischia quindi rotture alle ossa degli arti superiori ma il Femore, bene o male, ci va sempre di mezzo.

L’AUTORITA’ DEVASTANTE

È chiaro che anche un giovane o un bambino possono rompersi il Femore e, in questo caso, è curioso vedere nella loro vita che cosa hanno riscontrato di più potente di loro. Un qualcosa che li ha fatti sentire inferiori, schiavi. Dovevano obbedire e sottostare a qualcosa di più autorevole! Una situazione o una persona.

Ho già spiegato spesso che le gambe, a livello generale, simboleggiano il nostro andare avanti nella vita ma se si parla di forza vera e propria occorre assolutamente chiamare in causa il Femore.

Vogliate bene alle vostre cosce, ai muscoli che le formano e al Femore soprattutto. In loro si nasconde la vostra poderosità.

Prosit!

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Un fatto assurdo: il ragazzo in motorino

PROVE PRATICHE

Ieri ho assistito ad una scena che, secondo me, ha avuto dell’incredibile. Non vorrei sembrare esagerata e quindi spero di riuscire a far capire bene che cosa mi ha lasciato senza parole.

Mi trovavo seduta nel dehors di un bar con degli amici e, nei tavoli vicino a noi, c’erano altri clienti. Eravamo in una zona tranquilla di quella cittadina. Non è una zona di passaggio. Il bar, l’unico in quel quartiere, rimane un po’ fuori il paese, tra le palazzine e le vie secondarie. Queste case hanno dei parcheggi e dei cortili, sotto di esse, dove i bambini possono ancora giocare a palla o andare in bicicletta ma a quell’ora della sera non c’era quasi nessuno. Era tardo pomeriggio, erano ancora tutti al mare probabilmente.

Ad un certo punto un ragazzino che avrà avuto all’incirca quattordici anni, passa con un motorino tipo “Scarabeo” per una via vicino a noi, entra in uno dei piazzali e se ne va. Dopo pochi minuti di nuovo. Passa dalla stessa via, entra nel piazzale, fa un giro e se ne va. Dopo un po’ di nuovo.

Insomma, era chiaro che stava girando con il motorino in quegli spazi che gli erano consentiti. Fece questo per circa mezz’ora ma voglio raccontarvi cosa accadde vicino a me in quel tempo. Premetto, prima di tutto, che quel motorino non provocava alcun rumore fastidioso e nemmeno ci stava affumicando perché, quando passava nella via parallela al bar, si trovava comunque a parecchi metri da noi.

LA RABBIA SALE

Come dicevo, passa la prima volta. Poi passa la seconda. Poi la terza. Già alla terza, uno dei miei amici esclama – Ma questo? Non sa che cavolo fare? -. E va bene.

Alla quarta iniziarono a lamentarsi anche altri seduti attorno a noi. Sempre di più, in crescendo.

All’ottavo giro non vi dico che cosa stavano sentendo le mie orecchie. Alcune delle frasi udite sono state:

Deve avere benzina da consumare

Sarà un figlio di papà che non sa che c@@@o fare

I giovani di oggi si annoiano e sono dei rincoglioniti

Sai che bello se adesso ci prende uno stramazzo per terra

Almeno la pianta

Al decimo giro, la “bestia” che aleggiava attorno a me aveva ancora più fame. L’appetito vien mangiando. Quindi esplose:

Adesso stai a vedere se non mi picchia nella macchina

Tu dimmi se ora io mi devo alzare e andargli a tirare una testata a questo

Senti, fammi andare a spostare il motorino và 

Nella mia compagnia, erano in pochi (fortunatamente) quelli infastiditi da ciò che il giovane stava facendo e, a quei pochi, chiesi cos’era che disapprovavano. La loro risposta fu, secondo me, paradossale: – Niente, mi dà fastidio che continua a fare avanti e indietro! -… cioè, ci rendiamo conto?

TUTTO COSI’ ASSURDO

Io ero veramente allibita. Allibita. Avevo davanti a me un ragazzino, con tanto di casco in testa, che lentamente e innocentemente stava facendo dei giri con il motorino e, attorno a me, la folla, bramava il peggio, augurandogli il male e totalmente rapita dal panico che quel ragazzo potesse distruggergli i loro mezzi. Chi il mezzo lì non lo aveva semplicemente non voleva che quel tizio facesse avanti e indietro. E guarda un po’. Ma ci stiamo rendendo conto?

Il volto delle persone che avevo vicino era pieno di fastidio, di rabbia, di voglia di punizione, di giudizio… ma perché? Perché mi chiedo io?

“Osserva Meg” mi dicevo “osserva tutto”.

C’erano persone di ogni età. Maschi, femmine, ricchi, poveri, giovani, anziani. E ognuno aveva la sua brutta frase da dedicare a quel ragazzo.

Un ragazzo che, probabilmente, non poteva andare in strada perché i genitori glielo impedivano.

Un ragazzo che forse doveva imparare a usare il motorino che mamma e papà gli avevano appena regalato per la promozione.

Un ragazzo che forse ha paura ad andare nel traffico ma, per non stare chiuso in casa, scende nel cortile a farsi due giri in scooter.

Non oso immaginare se avessero visto uno scippatore in azione cosa sarebbe accaduto… Ah! No, nulla… giusto, omertà e indifferenza totale.

LA PAURA – SEMPRE PRESENTE

Non ho visto Satana nell’azione di quel ragazzo. Scusate ma, Satana, l’ho visto quando uno dei signori, seduti al bar, si è alzato ed è andato a spostare la sua moto per paura che quel giovane, al dodicesimo giro, gliela toccasse. E perché mai avrebbe dovuto toccarla? La paura su un qualcosa di non esistente che si traveste da “prevenzione”. Ma mi vien da ridere. Chissà quante volte questo ragazzo, che vive qui, gira e rigira tra questi cortili e tu, oggi, perché sei presente, vai a spostare la tua moto? Sposti la tua moto perché un individuo, a 15 km/h, ci passa di fianco più volte? Perché per la legge dei grandi numeri, prima o poi, ci deve obbligatoriamente picchiare dentro? Avevo un fisico di fianco a me e non me ne sono accorta.

Io non ho parole. Ancora oggi non ho parole. Io non so se riesco a passarvi l’assurdità di questa vicenda ma io sono attonita ancora adesso.

E queste persone si lamentano dei giovani d’oggi? Completamente governati da un fastidio più grande di loro. Da paure inesistenti. Da una rabbia e una voglia di punire che non ha eguali. Non stupiamoci se vediamo il male nel mondo perché ci sta solo rappresentando. Occorre accettarlo questo. Perché ieri, veramente, ho capito il perché sono esistiti ed esistono i tiranni. Forse si ha bisogno di una seria cura.

Voi che avete fatto il mondo. Voi che ai vostri tempi… Voi che, vestiti bene, con il vostro caffè davanti, avete detto le peggio cose verso un individuo, poco più che un bambino, che non stava facendo nulla di male.

SOGNANDO AD OCCHI APERTI

Quel ragazzetto ogni tanto si fermava, dava un piccolo colpo di clacson e poi ripartiva. Forse stava immaginando di essere nel traffico e qualche incosciente gli aveva tagliato la strada.

Quel ragazzetto stava giocando e potete essere con me o contro di me ma era una meraviglia da vedere. Forse era nel centro di Milano dove guidare è cosa ardua, o su una pista a gareggiare contro Dovizioso e Rossi, oppure ancora veniva fermato dalla Polizia. Era bellissimo guardare lui e i suoi sogni muoversi assieme.

Per quanto riguarda me ho anch’io ricevuto il mio messaggio. Il mondo non è solo il riflesso degli altri. È anche il mio riflesso. E ho visto il mio fastidio. Ho visto la bellezza di un giovane che giocava e fantasticava e ho visto paura, giudizio, punizione, intolleranza… tutto mi/ci appartiene. Tutto si mostra ai miei occhi per essere trasmutato. Il mio lavoro interiore c’è stato. Siamo un insieme di tantissimi piccoli frammenti che riportano ogni tipo di emozione e sta a noi scegliere di quali emozioni essere più colmi.

Così, dopo aver visto, mi sono mossa. Volevo però riportarvi un fatto davvero singolare, il quale mi ha dato l’opportunità di svolgere un buon lavoro dentro me e mi ha permesso di osservare come non voglio essere. Perché secondo me no; non dobbiamo essere così. Arrabbiandoci e maledicendo il nulla. Il nulla.

Prosit!

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Ho 40 anni e sono un pulcino

IN FONDO MICA MI DISPIACE

Guardando con gli occhi dell’amore niente appare brutto – (Meg)

Quando qualcuno prova a stabilire la mia età anagrafica sbaglia sempre, nel senso che nessuno mi da 40 anni dicendo che non li dimostro.

È vero che i caratteri fisiognomici o tratti somatici, i geni, la cura del proprio corpo (che mi trova pigra), etc… hanno la loro importanza ma, a parer mio, è vero anche (e forse molto più di tutto il resto) che conta come ci si sente dentro. Però…. cosa determina questo?

Io per prima rimango sbigottita quando penso di avere 40 anni e provo a ricontare per vedere se i calcoli sono giusti. Davvero! Dico sempre – 40?! Ma possibile? Allora ’78… ’88… ’98… perbacco! A momenti 41! Altroché! -.

Non è tanto questione del sentirseli o meno. Cioè, anche chi dimostra l’età che ha può sentirsi bene. Felice. Secondo me è più un fattore emozionale.

Un Maestro spirituale vi direbbe che: bisogna lasciare andare il passato, bisogna pensare positivo, bisogna fare respirazioni ogni giorno… tutte cose sacrosante e che condivido, ma continuo a dire che non è tutto.

VECCHI RICORDI

Ricordo che a 20 anni avevo coetanee che vestivano e si sentivano o si atteggiavano a quarantenni. Le scarpe da ginnastica, ad esempio, mi dicevano che una “signora” avrebbe dovuto riporle e usarle solo in casi eccezionali come durante un’ora di attività fisica. Ehm… io devo riporle ancora adesso…

Ma un grazie secondo me va anche a mamma e papà.

MAMMA E PAPA’

I miei genitori mi hanno responsabilizzata velocemente.

Ricordo che mamma mi mandava in Posta a compiere missioni impossibili alla tenera età di 10 anni. Non arrivavo nemmeno allo sportello per parlare con l’impiegata, la quale doveva sporgersi in avanti per vedermi. A 6 anni mi faceva lavare i piatti facendomi salire su uno sgabello dicendomi solo – Per togliere l’unto l’acqua deve essere calda -.

Papà invece mi addestrava in stile Bear Grylls. A 10 anni oltre a saper fare un telegramma ero anche in grado di uscire da un bosco dopo essermi persa, sapevo arrampicarmi ovunque come un gatto e iniziavo a riconoscere in cielo alcune costellazioni.

Allo stesso tempo però, mangiavo pane e coccole. Oh beh, anche qualche scapaccione, è ovvio! Ma, dopo 40 anni, ancora non mi chiamano con il mio nome. Per Madre sono “Pulce” e per Padre “Passerotto“. E mentre mia mamma ancora mi accarezza e struscia il suo naso contro il mio viso, mio padre, quando mi faccio male, mi dice porgendomi la mano – Passalo a me – intendendo il dolore. E poi finge che inizi a far male a lui quella parte. Beh sì, insomma, avete presente quella citazione:

I bambini credono che un piccolo bacio su un graffio possa farlo guarire. E ci credono perché si fidano di chi si prende cura di loro. Non è ingenuità, è fiducia incondizionata -. (Anonimo)

Ecco… devo essermi fermata a quella fase lì.

GLI OCCHI GIOVANI, ANCORA DA RIEMPIRE, DEL BAMBINO

Quello che sto per dire potrà sembrare retorico ma, a volte, mi trovo davvero a guardare il mondo con gli occhi di un bambino.

Mi stupisco per un fiore, potrei passare un’ora intera a giocare con un insetto, rido come un’abelinata (tipico termine ligure che indica simpaticamente una deficiente) e mi faccio le trecce.

Lo so, non sono normale, ma mi chiedo “Forse è anche per questo che sembro più giovane”. Non penso sia solo questione di genetica, capite cosa intendo dire? E nemmeno intendo dire di essere meglio di un altro. Soltanto osservare il perché, alcune persone dimostrano meno anni e altre di più.

È assolutamente vero che il lavoro, le preoccupazioni, la paura, la lamentela, la rabbia e molte altre situazioni negative rendono l’invecchiamento precoce, ma posso assicurarvi che non sono stata immune da tutto questo. Quindi sono arrivata alla conclusione che, forse, una delle questioni fondamentali, risiede nel fatto di come si prendono certe cose.

Ossia aspettarsi il bello, pensare al bello, immaginare il bello… che arriva. Ma dietro al termine “aspettarsi” c’è molto di più e ve lo spiego tra poco.

Spesso mi rendo conto che molte persone hanno davanti due strade ma scelgono sempre quella negativa. Sempre il pensiero più ostile, come a dire – Almeno non rimarrò deluso quando accadrà -. Però non è detto che accada e, soprattutto, ciò che fa invecchiare è l’attesa non sana di quella risposta. Se poi davvero non accade forse è perché deve accadere qualcosa di più bello ancora. Non sono una farfallina ingenua. So bene valutare le preoccupazioni ma sono anche convinta che la vita non ci voglia male e che abbia in serbo per noi il meglio. Occorre solo non remarle contro e permettere a quel meglio di entrare in noi. Che ne dite? Non potrebbe essere un buon metodo questo per rimanere giovani più a lungo? Secondo me si. Ma non è solo questo. L’attesa di cui parlo è qualcosa che va oltre e più in profondità e che ora proverò a dirvi.

LA BELLEZZA DELL’ATTESA

L’Universo è pigro – (Cit.) …forse perché sa che tanto è immortale, penso io. Ha tutto il tempo che vuole, là dove il tempo non esiste. Tsè!

Ciccio Pasticcio… se ci riesci tu che sei l’Universo posso benissimo riuscirci anch’io!

E allora cosa mi ha aiutata in tutti questi anni? Eh sì. La parola è questa: l’attesa.

La pazza corsa all’oro che la maggior parte delle persone effettua, “per arrivare prima”, non lo trovo un buon mezzo. L’arrivare per primo. Mi laureo subito, prendo immediatamente la patente, faccio 3 anni in uno, voglio quel modello che ancora nessuno ha, voglia fare quella cosa che per adesso solo in America…. Il bisogno dell’originalità che stressa. A volte si può aspettare. Non siamo sempre presi dall’acqua alla gola. E una volta passata l’ondata, resti più originale tu, che ancora non sei, rispetto a tutti quelli che già sono stati.

Ad aspettare non si diventa vecchi. Saper aspettare significa dire – Tanto non devo morire domani, ho tutto il tempo che voglio. Sono giovane -. Questo messaggio, col tempo, si manifesta. Diventa concreto permeando, di questo percepire, ogni cellula. Inoltre si collega alla “leggerezza”. E ve lo dice una che ha iniziato a lavorare a 13 anni e alla quale non è stato regalato niente (ci fossero malpensanti con la scusa pronta, eh).

Vi siete mai accorti che gli anziani fanno tutto di corsa se non sono persone “spirituali”? Come se, appunto, dovessero morire da lì a poco. E infatti, inconsciamente, questo pensiero incombe su di loro. In fila devono passare per primi, si alzano alle cinque dicendo di avere mille cose da fare, quello che puoi fare oggi non aspettare a farlo domani, si buttano in mezzo alla strada per attraversare cercando di bloccare le auto con la sola imposizione delle mani… io dico, sei in pensione, santa persona, magari quella giovane mamma che ha lasciato il bambino in macchina per far veloce e deve andare a lavorare ha più fretta di te, falla passare! E invece no. Ma è normale, li capisco. Perché questo è alla fine: convincersi che il tempo non solo non esiste ma soprattutto non è il nostro padrone.

Prosit!

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Epistassi: la Gioia ha trovato una via d’uscita

IL SANGUE – FONTE DI VITA

Cosa rappresenta il sangue in alcune filosofie alternative?

Il sangue, trasportando ossigeno, elemento vitale per noi, è considerato la linfa della vita. Il sangue, inoltre, trasporta sostanza di scarto sostituendole con quelle nutritive in continuazione. Alimenta tutti i nostri tessuti e ci permette di essere vivi.

Molte volte ho parlato della differenza tra il semplice esistere (o sopravvivere) e il vivere pienamente la propria vita e, tra le due cose, c’è una significativa differenza. Il semplice esistere è dato da una prassi quotidiana nella quale si compiono le solite azioni, si formulano i soliti pensieri e si è governati dalle solite emozioni. Non c’è brio, non c’è follia vista come la capacità di vedere oltre. Non c’è un impetuoso sentimento di goduria verso il miracolo più grande tra tutti: quello di essere vivi.

Tutto questo è definito da un’emozione simbolo, emblema della bellezza del vivere e sto parlando dell’amore vista come la forza più potente all’interno di tutto il disegno cosmico e che appartiene anche a noi. L’amore è però rafforzato da una sua importante figlia, forse la prediletta, emozione basilare nello stato di quello che dovrebbe essere il percepire tale miracolo. Sto parlando della gioia. La gioia, vista in questo contesto, è l’ingrediente principale quindi del nostro vivere – appieno – la vita.

Pertanto, riassumendo il concetto, il sangue rappresenta la gioia. La gioia che attraversa ogni nostra parte del corpo, che ci riossigena, che ci nutre, che ci permette di alzarci tutte le mattine e affrontare la nostra giornata. La gioia, antagonista indiscussa della tristezza. La gioia che ci permette di condurre i nostri giorni nell’appagamento totale e nella beatitudine.

LA TRISTEZZA TRASBORDA

È infatti quando coviamo in noi molta tristezza che la gioia, come a non “avere più spazio”, prima o poi, deve uscire. Possiamo tagliarci, ferirci in qualche modo, perdere sangue… perdere un po’ della nostra gioia. Un avviso ben visibile, di un bel rosso intenso, “alarm!”, che ci grida – Alt! Guarda! Stai perdendo felicità! Fa’ qualcosa! -. Un pianto interiore che alla fine fuoriesce.

Nel caso dell’Epistassi, e cioè la perdita di sangue dal naso, occorre osservare in primis che cosa rappresenta il naso per noi. È la parte che ci accomuna al mondo esterno. Percepiamo attraverso esso gli odori del mondo. Di cosa sa quella cosa? Il famoso fiuto animalesco, senza barriere.

Fiutare, indagare, conoscere… di primo acchito, quasi senza rendercene conto. Ad esempio, non riconosciamo di percepire i ferormoni di un’altra persona, eppure lo facciamo.

Il fiuto visto come il nostro intuito, ossia la capacità di riconoscere subito un qualcosa e la sua energia. La filosofia alchemica, che racconta come l’esterno sia il nostro interno, ci suggerisce quindi come non accettiamo quello che ci circonda o persino noi stessi e anche come non ci sentiamo accettati (riconosciuti, amati).

ACCETTAMI PER COME SONO

Accettami per come sono! – è il principale messaggio che grida tristemente la persona che soffre di epistassi. Ma le sue urla soffocate possono anche voler intendere: questa non è vita, la vita non mi ama, sono poche le cose che mi rendono felice a questo mondo… etc…

A soffrire maggiormente di epistassi sono infatti i bambini e gli anziani, anche perché hanno dei capillari più sottili e delicati. Per i primi, parecchio sensibili e assorbenti come delle spugne, è molto semplice e assai frequente non sentirsi amati. I secondi, invece, alla loro età, si sentono stanchi della vita che conducono oppure trovano questa vita difficile e faticosa da vivere visti gli acciacchi, la paura della morte che si avvicina, la perdita di persone care, gli impedimenti.

Modificando il proprio pensiero, e di conseguenza l’emozione che ne scaturisce, ossia – sorridi alla vita se vuoi che ti guardi sorridendo -, si può guarire dal fenomeno dell’epistassi soprattutto quando questo si rivela frequentemente.

Finchè non ci si sente amati e non si conducono le giornate nella gioia, purtroppo essa in qualche modo deve uscire per lasciare il posto alla tristezza. Ma si fa bene vedere e quindi possiamo porre rimedio.

Prosit!

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Storia di un Salto di Qualità

SEMPRE SOLDI SONO MA…

La mia amica M. ha un bar, un bar frequentato prevalentemente da persone anziane. Spesso, come accade a qualsiasi esercente, si trova senza monete da uno e da due euro ritrovandosi così obbligata a dare il resto con monete da 50 o 20 o 10 centesimi. Per i suoi clienti questa è una tragedia. Le trovano da ridire e si arrabbiano perché tutto quel “ciarpame” in tasca non lo vogliono. M. allora, quando può, cerca di tenere le monete dal valore più alto per loro e le altre le usa con i giovani che, in questo frangente, si mostrano più comprensivi rispondendo con – Non preoccuparti, sempre soldi sono! – alle sue scuse.

Il fatto è che la persona anziana, solitamente, non ci vede bene, e aver a che fare con tutte quelle monetine è per lei un patimento. Ogni volta che deve pagare qualcosa impiega mezz’ora, faticando, per riuscire a capire di quale moneta si tratta. Se poi ha anche vissuto la povertà della guerra, non intende, comprensibilmente, regalare nulla a nessuno; l’essere avari è un retaggio del non avere avuto nulla e quindi, rischiare di dare più del dovuto, all’eventuale commerciante ed essere ingannati, non piace proprio.

LE NOSTRE CAPACITA’

Gino è un vecchietto un po’ particolare. È simpatico, paziente, alla buona. Molto istruito e sempre molto disponibile con tutti. Anche a lui, con l’avanzare dell’età, si è abbassata la vista ma, per sentirsi sempre centrato e non inferiore, ha deciso di utilizzare altri mezzi. Si tratta di strumenti dati dalla società e sensi che ci appartengono da quando siamo venuti al mondo.

Gino è un vecchietto in pensione. Si alza molto presto al mattino e, pur coltivando diverse passioni, ha parecchio tempo libero. Ha iniziato a studiarsi bene le lineette attorno alla circonferenza delle monete. Le righe dei bordi. Ognuna diversa per moneta perché create proprio per i non vedenti. Questa soluzione, assieme al preciso tatto di cui siamo dotati, ulteriormente allenato, è diventata per Gino un risultato sorprendentemente utile e comodo.

Per chi sta già sbuffando, insinuando che la cosa sia troppo lunga e difficile, dichiaro che il signor Gino ha impiegato appena una ventina di giorni, facendo anche molto altro durante questo periodo, per imparare a riconoscere le monete senza nemmeno guardarle.

Automaticamente, attraverso questa precisa osservazione fatta con occhi ma soprattutto dita, le monete hanno iniziato a distinguersi tra le sue mani anche attraverso peso e grandezza.

Insomma, Gino, come prende un soldino nel palmo della mano, sa precisamente e velocemente di che soldo si tratta. È anche più veloce di molti giovani dotati di vista da falco.

OTTIMI RISULTATI

Questo comportamento io lo definisco un salto di qualità. Un bellissimo balzo in avanti. E, dietro questa storia, c’è un messaggio che può tornare utile in molte occasioni che si presentano nella vita di chiunque, anziani o meno.

Mi sento davvero di complimentarmi con il signor Gino che ha deciso, per suo libero arbitrio e diritto, di non rimanere uno schiavo bensì di tirare fuori nuove armi per essere sempre più entusiasta e positivo.

Gino ha deciso di vedere la bellezza dove pochi la vedono e, anziché lasciarsi crogiolare dal fastidio, la lamentela e l’invalidità di una vista poco buona, ha deciso di rifiorire in un nuovo argomento della propria vita.

Oggi, si sente un gran figo ogni volta che deve pagare, soprattutto quando si trova davanti agli amici ed è una persona felice anche per questo.

Bravo Gino, hai tutta la mia stima! Di certo, una persona come lui, non “farà mai la muffa” per capirci. Non farà mai del vittimismo e nemmeno si farà rabbia inutile. La rabbia – un’energia che può essere trasformata in CREAZIONE.

Gino ha fatto anche un’altra cosa bellissima: si è amato. Ha posizionato la sua persona in una condizione ottima per vivere e affrontare la vita e la società.

Prosit!

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I Problemi alle Anche possono significare…

Come ho già spiegato diverse volte, le gambe simboleggiano il nostro andare avanti nella vita, suddividendosi poi, più precisamente, nelle loro varie parti, dal Bacino ai piedi.

Per quanto riguarda le Anche, si parla di quella parte del corpo che rappresenta la DETERMINAZIONE nell’avanzare, nel progredire, nel nostro cammino durante l’esistenza. Perciò, avere un disturbo in questa zona, significa appunto essere INDECISI. Tale INDECISIONE non è però da confondere con il senso simile conferito da malattie a denti e gengive, infatti, mentre per i problemi alla bocca si parla di indecisioni di qualsiasi genere, anche inerenti ad altre persone che hanno a che fare con noi, per quel che riguarda le Anche si tratta prevalentemente di indecisioni nel muovere “il giusto passo” nella vita.

Come spiega bene Claudia Rainville, è un po’ come se una parte di noi volesse andare avanti e l’altra invece volesse indietreggiare o rimanere ferma. Si parla quindi di paura nell’incedere. Dubbio, preoccupazione, avere o non avere coraggio, timore, perplessità, mille domande e pensieri confusi, trovano quindi, nelle Anche, il palcoscenico per esibirsi concretizzandosi in veri e propri disturbi fisici.

E’ proprio il Bacino a mantenerci in equilibrio ed è da lui che parte la spinta del passo. La rigidità che spesso lo coinvolge è pari così alla riluttanza nell’incedere, in quanto, la rigidità fisica mostra quella mentale. Davanti a un dubbio infatti, mentalmente ci si blocca, fermi e indecisi, ed ecco che la stessa sensazione la si percepisce proprio in una delle articolazioni più importanti del nostro corpo sottoposta, tutta la vita, a grande stress.

Una delle patologie più diffuse che riguarda le Anche è l’Osteoartrosi vale a dire un’alterazione della cartilagine. La cartilagine, che ricopre le estremità delle ossa come un cuscinetto in grado di attutire lo sfregamento tra osso e osso, si modifica e si deteriora, cosicché, l’articolazione risulta non solo più rigida ma anche dolorosa in quanto viene a mancare la giusta protezione.

Quando si parla di Artrosi si intende, nella Psicosomatica, essere troppo critici con se stessi e, da qui, si capisce anche come fare una scelta diventi così uno scalino quasi insormontabile perché si vuole prendere la decisione più giusta, perché si è troppo severi con se stessi, perché si ha troppa paura di stabilire l’opzione sbagliata (…e chissà poi gli altri cosa pensano… o quali conseguenze drammatiche questo porta).

Essere giudici poco clementi, nei confronti di noi stessi, naturalmente ci “blocca” anziché permetterci di fluire con più leggerezza negli stadi della vita.

Altre conseguenze di questa severità sono il risentimento e il senso di colpa perché, ovviamente, non si perdoneranno molto facilmente gli eventuali errori commessi. Occorre approvare maggiormente ciò che siamo e amare di più i nostri errori, soprattutto se non voluti. Osservarli semplicemente come esperienze di vita e possibilità in meno che otteniamo di sbagliare in futuro. Ogni errore commesso preannuncia un miglioramento. Impariamo a focalizzarci sul buon proposito che avevamo per aver scelto quella mossa piuttosto che un’altra. Il nostro scopo era buono ed è quella onestà che dovrebbe colmare i nostri sensi.

Bisognerebbe imparare ad imitare Thomas Edison. Durante una conferenza stampa un giornalista gli chiese – Dica, Mr. Edison, come si è sentito a fallire duemila volte nel fare una lampadina? -. Ebbene, la risposta di Edison fu – Io non ho fallito duemila volte nel fare una lampadina; semplicemente ho trovato millenovecentonovantanove modi su come non va fatta una lampadina – (da impresapratica). Geniale non trovate?

Troppa severità non serve a niente. Ci immobilizza in un binario dal quale abbiamo paura di uscire ma, purtroppo, dobbiamo capire che le risposte giuste non sono sempre all’interno di quelle rotaie che stiamo percorrendo. Sono anche attorno, serve coraggio, allungare le mani e afferrarle. Così facendo, stando immobili intendo, non risultiamo dalla mente aperta e non risultiamo “elastici” con noi stessi e nemmeno le nostre articolazioni lo saranno, mentre invece, devono essere ben mobili, flessuose e snodate.

Naturalmente è proprio durante l’età più avanzata che questi disturbi si annunciano. Ci sono sempre correlazioni con l’orologio biologico o anche di carattere ereditario ma, nonostante tali fastidiose manifestazioni possono presentarsi anche in soggetti più giovani, il divenire anziani comporta anche avere più timori nei confronti dello spingersi in avanti nella vita. Sono maggiori le paure che colpiscono, non si può più scegliere come un tempo, spesso, le decisioni che prendiamo riguardano i nostri parenti, dai quali dipendiamo vista proprio la nostra età. Non solo ma, inconsciamente, riconosciamo di non avere più i mezzi e gli strumenti di un tempo e, in particolar modo, vediamo che stiamo andando verso la fine della nostra esistenza piuttosto che verso un inizio. Questo fa si che vorremmo fermarci, non proseguire, non andare verso quello che segnerà prima o poi il nostro “The End”. E tutto, comporta al risultato di queste scocciature al Bacino.

La parola “Evviva!” all’inizio di ogni giornata e “…che vada come vada”, penso sia la prevenzione migliore in questo caso. Leggerezza e serenità sono gli ingredienti più opportuni e, nel rispetto di chi ci sta attorno, ogni nostra decisione può avvenire portando con sè tutte le migliorie o gli errori del caso. Siamo umani e, proprio per questo, ci è stata data la possibilità di sbagliare. Per poter ARRIVARE.

Prosit!

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Semplicemente come io la penso

“Mi hanno insegnato a pregare sperando in una grazia, ad essere buona per non andare all’inferno, ad essere sempre educata perchè “chi più ce n’ha ce ne metta”, che il riso abbonda sulla bocca degli sciocchi, che se prendi 4 a scuola vuol dire che non hai studiato e -guarda invece la tua compagna di banco com’è brava-, che non dovevo correre sempre perchè le femmine devono essere composte, che dovevo rispettare sempre e comunque una marea di gente dagli anziani ai neonati e tutto il vicinato, anche se mi avessero preso a bastonate perchè gli altri avevano sempre ragione, che il lavoro nobilita e la vita è fatta di sacrifici, che dovevo avere sempre una camicia da notte nuova nell’armadio nel caso mi fossi ammalata e avessi dovuto andare all’ospedale, che siamo tutti vittime del destino e quando meno te lo aspetti può capitarti la qualunque senza che tu possa farci niente.

E io ci ho creduto”.

Questo post l’ho condiviso dal blog L’universo nel mio silenzio e capendo perfettamente cosa intende l’autrice ho deciso di riproporlo e spiegarlo. Bhè, sicuramente anche voi avrete già capito, ma forse non tutti sanno che cosa invece sarebbe meglio fare, almeno a mio parere, anziché rimanere attanagliati a ciò che appunto ci hanno insegnato. Premetto subito che quando si parla di educazione e quindi per la maggior parte, di genitori, non si parla di “persone che hanno sbagliato a dirci o a farci determinate cose”. Essi sono stati prima di noi, delle vittime (perché questo è secondo me il termine adatto in questo discorso) che hanno semplicemente cercato di farci vivere nella miglior maniera possibile. Ma è possibile vivere benissimo anche esattamente al contrario di questi insegnamenti? Ebbene, io credo di si. Partendo dal presupposto che quello che l’autrice scrive è tutto vero per la maggioranza delle persone, e tutti noi ne siamo testimoni, proviamo a stravolgere il tutto e vediamo cosa succede. Iniziamo con il suddividere queste frasi:

  • Mi hanno insegnato a pregare sperando in una grazia.

Ecco. Questo primo metodo nel quale, come prima cosa, ci stanno dicendo – Prega, chiedi pure, ma guarda che non è detto che avvenga -. Gente che passa ore e ore a pregare per una grazia e non la riceve, mentre invece il suo vicino di casa si, lui si, lui l’ha ricevuta. Qui ci sono delle discriminazioni belle e buone! Forse lui è stato più umile di me? Ha fatto più sacrifici? Ha pregato di più? E allora sgraniamo rosari, stiamo ore senza mangiare, evitiamo quel determinato alimento, sacrifichiamo i nostri e non simili, e chi più ne ha più ne metta. Diventiamo pazzi nel cercar di far esaudire il nostro desiderio perché attenzione… è solo un desiderio. Non è una pretesa. Non è una cosa ovvia. E qui casca l’asino. Povero asino. E perché non può essere una pretesa? Io non ho forse il diritto di pretendere un qualcosa di mio, che mi apparterrebbe, che non può nuocere a nessuno? Ma allora scusate, e la nostra infinita potenza di cui vi parlavo giorni fa? La possibilità che noi avremmo di poter ottenere ogni cosa ma inquinati fin dalla nascita da questi pensieri non l’avremmo mai? Vi sembra impossibile quello che dico, lo so. Eppure ci sono casi che confermano ciò che sto dicendo, quelli che ci hanno insegnato a definire “sogni che si realizzano”. Che solo alcuni sono in grado di realizzare. E se invece, anziché chiedere, non chiedessimo nulla e pensassimo semplicemente che così è e così dev’essere? E se invece che desiderare e sperare non dessimo quella cosa semplicemente come certa e poi magari ai nostri Dei, per chi ha piacere di averne, raccontassimo semplicemente cosa ci piacerebbe fare una volta che questa cosa certa si è concretizzata? Deve solo concretizzarsi attraverso forse un milione di passaggi ma c’è già. Sta arrivando. E’ nostra, ci appartiene. E’ nostra perché noi l’abbiam voluta. La grandezza che è in noi l’ha voluta, non un Dio o chi per lui. Un Dio non può far altro che accompagnarci in questa avventura e godere della nostra felicità perché questa è l’unica cosa che un buon Dio, chiunque esso sia, vuole. E’ per questo che non dico a mio figlio “chiedilo a Gesù”. Posso dirgli “raccontalo a Gesù” ma chiedilo a te stesso e l’otterrai. E’ un discorso lunghissimo lo so, ma non posso scrivere un libro oggi, posso solo dirvi che questo meccanismo ha un nome, si chiama “legge dell’attrazione”. A vostro gradimento, ci ritorneremo. Passiamo all’altra frase:

  • Ad essere buona per non andare all’inferno .

Bhè, su questo immagino ci sia davvero ben poco da dire. Si, è così. Se non si è buoni si finisce all’inferno. Un inferno personale che ti aggredisce le viscere dal quale difficilmente potrai liberarti. Il più perfido inferno che esista. Questo è l’inferno. Una coltre di tristezza e infelicità che ti avvolge, ti soffoca, ti uccide giorno dopo giorno. Ti spegne. Questo è l’inferno delle persone “cattive”. Che la mia stessa vita, le mie stesse scelte mi diano sempre la sana forza di stare lontana da certe tentazioni. Mai far del male agli altri, mancar loro di rispetto, approfittarsi del prossimo. Invidia, egoismo, opportunismo, superbia, tutte emozioni che affossano in un baratro buio e profondo. Nessun diavolo ad aspettarci, nessun fuoco, nessun urlo solo ed esclusivamente il vuoto, la solitudine, la disperazione più totale. Questo è l’inferno. Ma mica ce l’hanno detto. Ci spiegavano semplicemente che in punto di morte avremmo dovuto chiedere perdono e tac! Se non ricordo male si poteva finire in purgatorio per essere purificati. E’ questo il punto. L’inferno di cui parlo io non arriva dopo la morte. Arriva molto prima. E’ peggio ancora. Ci devi convivere insieme. E li soffrirai come non mai. L’intenzione però c’era. Bisogna comportarsi bene nella vita.

  • Ad essere sempre educata perché “chi più ce n’ha più ce ne metta” .

Eh… e questa ce la siamo sentiti dire in tanti non ne dubito. La sopportazione. Ecco il vero scopo dell’essere umano. Anche se quella cosa da fastidio bisogna sopportare. Per che cosa? Ah! Si! Per il famoso “quieto vivere”, ve lo ricordate anche voi. Aaah! Il quieto vivere. Io e lui alla fine siamo diventati amici. Eravamo spesso in disaccordo. Non sopportavo il suo vivere opprimente sulle mie spalle giorno e notte, notte e giorno. Per colpa sua, io dovevo farmi andar bene qualsiasi cosa. Altrimenti era come se il signorino se ne andasse offeso da qualche parte e non tornasse più. Se, se ne fosse andato lui, saremmo all’improvviso stati sommersi da uno tzunami di catastrofi come litigate, risse, urla, botte e avremmo vissuto nel bailamme più totale per tutta la vita. No, no, caro “quieto vivere” rimani qua. Farò qualsiasi cosa perché tu rimanga qua. Figlio del gioco dei potenti. Quello che –attento a come parli altrimenti ti buco una gomma– o peggio ancora. Quello della paura. Non abbiate paura. Siate più forti. Non dovete permettere a nessuno di offendervi. Rispondete a tono, urlate, mandate a quel paese. Sapete dove stà il segreto? L’unico grande segreto che non ci hanno detto? Nell’amore. Amate il vostro avversario con tutto il vostro cuore. Si. Mentre lo state insultando perché vi ha veramente rotto, dopo tutto ‘sto tempo, amatelo. Ma non è l’amore che v’insegna il parroco. E’ l’amore che vi fa vincere. L’amore che non vi fa trovare la vostra gomma bucata perché più forte di qualsiasi altra cosa sulla faccia della terra e dell’immensità. E’ davvero la forza che smuove il mondo e il mondo potete farlo smuovere/muovere, come volete voi. Non è per nulla semplice e sembrerà ridicolo ma provateci. Un consiglio: iniziate con un avversario di basso calibro. Quello che ad esempio vi scrolla la tovaglia sopra la testa. Di basso calibro nel senso che vi sta mancando di rispetto ma fondamentalmente non fa nulla di eccessivamente grave. Ossia, sarete d’accordo con me che ci sono cose molto più terribili. Vogliategli bene. Aiutatelo. Sorridetegli. Amatelo realmente con il vostro stomaco. Dopo ovviamente avergli detto quello che si merita. Tutto cambierà. La magia. Così la chiamano.

  • Che il riso abbonda sulla bocca degli sciocchi .

Oh! Bene. Questa mi piace. Mi piace perché se voi sentiste la mia risata vi mettereste le mani nei capelli. Ebbene è con mia grande soddisfazione che gli studi che ho fatto mi hanno portato a comprendere che una risata, quando è veritiera, sana e spontanea è sempre sguaiata. Davvero! Porca miseria non mi ricordo più su quale libro avevo letto questa cosa, devo andare a spulciare la mia libreria. Ma è così! Uno sbadiglio è forse fine? E uno starnuto? E un rutto? Siamo noi che li trasformiamo, ovviamente dal momento che condividiamo le nostre giornate con altri, in esplicazioni più fini e gentili. Ma sono spontanee e, in natura fini non lo sono per niente. Pensiamo agli animali. Mica si fan tanti problemi loro. La risata, quella di pancia, è la stessa cosa. Anzi, vi suggerisco, diffidate da chi ha sempre una risata controllata e da Galateo. E mi dispiace per quelli che non si lasciano mai andare. E poi, cosa vuol dire “riso che abbonda”. Ma santi numi, dovremmo ridere da quando apriamo gli occhi al mattino a quando li chiudiamo alla sera! Tutto il giorno! E anche la notte! Perché saranno i nostri sogni a farci ridere! Il riso allunga la vita, allontana le malattie! Insomma ormai lo avrete letto anche voi da qualche parte. Fortunatamente questa cosa sta diventando famosa negli ultimi anni! Anzi, non fortunatamente, forse se ne sentiva così tanto il bisogno che hanno deciso di dargli il via a ‘sto benedetto riso! Per cui, ridete! Ridete! Ridete!

  • che se prendi 4 a scuola vuol dire che non hai studiato e “guarda invece la tua compagna di banco com’è brava”.

Bhè, io sinceramente, detto tra noi, tutti questi 4 a scuola vorrei proprio studiarli un pò. Si, si è vero, lo so, ci sono i nullafacenti, gli svogliati, quelli che fanno ben altro anziché studiare ma ne vogliamo parlare? Come mai ci sono questi bambini o ragazzi qua? La società ci ha insegnato a identificarli in due modi o asini (povero asino ancora!) o fannulloni. Oh! E basta. Non ti piace studiare? Sei una cacca. Non parliamo poi se rimani bocciato!!! Ho conosciuto madri che per la vergogna non sono uscite di casa per due anni mentre le madri dei primi della classe, quelle si che erano veramente felici. Mmmh… Ecchisenefrega se quel bambino è contento, ha la gioia dipinta sul viso, ha voglia di correre e di saltare! Hai preso 4? In castigo! Prima il dovere e poi il piacere. Perché sennò da grandi diventano dei debosciati. Regole e disciplina. Ho visto con i miei occhi in Africa, bambini felicissimi di andare in una scuola senza voti e felicissimi di poter giocare dopo. E non venitemi a dire che in Africa i bambini non fanno il loro dovere! Eccoli qua, i nostri primi piccoli scarti della società. Quelli che a 6-7 anni capita che la maestra, ahimè, dice ai genitori – E’ intelligente ma non si applica. Non ha voglia di fare niente. E’ sempre con la testa tra le nuvole -. Brutto bambino cattivo. A quell’età ancora con la testa tra le nuvole! E intanto gli altri, i piccoli soldatini, invece vanno avanti. Quelli che realmente amano o lo studio o vogliono solo vedere un sorriso sul viso della loro mamma, vanno avanti e gli altri, rimangono sempre con la testa fuori dalla finestra. E dopo 5 anni, sono ancora lì, su quel davanzale, tra quelle 4 mura e quelle 100 regole. Seduti per 8 ore. In silenzio per 8 ore. Ad ascoltare per 8 ore. Quelli che quando arrivano a casa non si sentono dire – Com’è andata a scuola oggi?- bensì – sei felice?-. Per non parlare della famosissima vicina di banco. Quella che invece lei si che è furba, brava, intelligente, persino bella diventa, perché prende sempre 10. Guardala lì. Struggiamoci già da bimbi, mentre la nostra bocca sta lottando per cambiare tutti i denti che abbiamo, nella disperazione del non essere come lei. Eh no. Io non diventerò mai un grande avvocato, un grande medico, un grande commercialista. D’ora in poi cari bimbi quando vi chiedono – Cosa ti piacerebbe diventare da grande?- rispondete così – Mi piacerebbe diventare felice-. Senza 8, senza 4, senza 10.

  • che non dovevo correre sempre perchè le femmine devono essere composte.

Oppure – Non correre che sudi!- (o peggio ancora –che ti sporchi-). Allora, io queste non me le sono mai sentita dire, nessuna delle due. Sfido mia madre a fermarmi quando mi arrampicavo sugli alberi ad esempio o correvo come una pazza. Però si, mi è capitato di sentirle dire ad altri miei compagni e ancora oggi mi capita di sentirle dire agli amici dei miei figli. E qui si litiga. Qui so già che si entrerà in polemica. Questa è un po’ come quella frase che dice così: “Un bambino, per rimanere sano, dovrebbe mangiare ogni giorno 1kg di terra”. Qualche madre vorrebbe già uccidermi. L’igiene prima di tutto. Si, quel bimbo, se suda, poi si ammala. Per cui, caro bimbo, rimani fermo a guardare gli altri tuoi compagni che corrono e si divertono. Ebbene ad alcuni parrà strano ma il sudare è un atto fisiologico del nostro organismo che avviene prevalentemente per eliminare le tossine in eccesso e in seguito, per regolare la temperatura corporea. Si suda quando ad esempio ci si surriscalda. Per raffreddare il corpo, le ghiandole sudoripare si mettono in funzione. E’ tutto calcolato. Si espelle quindi una gran quantità di liquidi che dovremmo rimettere all’interno del nostro organismo con nuove fonti idratanti e pulite. Ossia, non bisogna tenersi i vecchi liquidi ma sostituirli con dei nuovi. Altrimenti non si farebbe nemmeno la pipì. Per cui il problema non è sudare. Il problema è non bere oppure non mangiare alimenti idratanti. Se suda prende freddo. No, non è vero. Prende freddo se non viene coperto e si permette che il liquido sul suo corpo si raffredda. Allorchè le ghiandole cercheranno a quel punto di riscaldare, senza riuscirci perché è troppo per loro, ed ecco prendere i malanni. Aiutiamole con un golfino. Asciughiamo il bimbo. Portiamoci in borsa un asciugamano. – Ma come faccio, devo correre a far la spesa -. Per cui evitiamo a un giovane di giocare perché si deve andare a far la spesa. Finisco dicendo che, potete credermi, tutti i bimbi più malaticci che ho visto nella mia vita, erano proprio quelli che meno potevano correre, meno potevano sporcarsi, meno potevano sudare. Ora ditemi, avete mai sentito di un figlio di nomadi con la febbre?

  • che dovevo rispettare sempre e comunque una marea di gente dagli anziani ai neonati e tutto il vicinato, anche se mi avessero preso a bastonate perchè gli altri avevano sempre ragione .

Bhè, le bastonate mi sembrano eccessive, ma il senso l’ho capito. E gli anziani perché sono anziani, e i piccoli perché son piccoli, e le donne perché son donne, e l’uomo perché è uomo, insomma, ma a me, chi mi rispetta? E questo è un po’ il discorso che ho fatto prima sul “chi più ce n’ha, più ne metta” quindi andrei oltre.

  • che il lavoro nobilita e la vita è fatta di sacrifici.

Oh! E di qui non si scappa. Ricordate che siete nati per soffrire. Punto. Per lavorare. Per morire per due lire. Siete nati peccatori e partorirete con grande dolore. E se non avete avuto la fortuna di nascere in una famiglia berlusconiana dovete sacrificare tutta la vostra esistenza. I potenti ci sono riusciti e i nostri poveri mamma e papà ci hanno semplicemente insegnato ciò che è toccato a loro fare. E io son l’unica idiota che sta qui a pensare che no, non è così, non deve essere così. Mica possiamo dire che questa vita ce la siamo voluta noi? E ma altrimenti come facciamo a sfamare i nostri figli con uno Stato che ci mangia tutto? Ok. Ma a nobilitare una vita forse è qualcos’altro. E se invece tutti inseguissero i loro sogni? Cosa accadrebbe? Che non si mangia più. Ne siete sicuri? Le mie sono solo utopie. Questo non vuol dire non lavorare. Vorrebbe semplicemente dire farlo in modo diverso. Pensate davvero che sono loro, quelli che oggi si chiamano “i potenti”, ad avere il coltello dalla parte del manico? Certo. Finchè tutti ce lo lasciano per la paura. Immaginiamo per un attimo di togliere tutti i nostri soldi dalle banche ad esempio, così per giocare un po’ con l’immaginazione. Tutti. Ognuno di noi. Cavoli…. Che macello! E poi bhè… poi finchè c’è gente che i “sacrifici” li fa, compresi di mutuo, per comprarsi l’ultimo telefonino uscito, certo, non si va proprio da nessuna parte. Ma c’è gente che si sacrifica anche per un pezzo di pane e non per un cellulare. Ma chi ha voluto tutto questo? Sinceramente, ragioniamoci un po’ su.

  • che dovevo avere sempre una camicia da notte nuova nell’armadio nel caso mi fossi ammalata e avessi dovuto andare all’ospedale.

Antica usanza che si protrae dai secoli dei secoli. Perché prima o poi ti serve. Prima o poi in ‘sto cavolo di ospedale ci devi andare e non c’è santo che tenga. E la camicia da notte dev’essere nuova di pacca mica già usata, scherziamo? C’è gente che ha più calzini bianchi nuovi nel cassetto che desideri. Sarà giusto? Sarà giusto aprire ogni giorno l’armadio e vedere quella borsa li, nell’oscurità, che aspetta solo arrivi il suo momento? Sarà giusto notare quella valigia che in modo subliminale ci dice : – un giorno o l’a’tro dovrai usarmi, perché un giorno o l’altro tu starai male -. Ma che roba! E se starò male vorrà dire che la prima cosa che trovo mi metto e chiamo il 118. Oh bella lì! E se non avrò la tutina nuova e firmata farà lo stesso tanto, in quel momento m’interesserà soltanto che mi facciano stare meglio. In un ospedale non hanno certo solo me da dover guardare e se anche dovessero mai trovar da dire alla mia camicia da notte, bhè, dopo cinque minuti – avanti un altro! -. Non sono Brigitte Bardot, non rimarrò certo nelle loro memorie. E quando apro l’armadio voglio trovarci dentro un cartello che io ho appeso e sul quale ho scritto “Perché tu vali!”. Ecco, questo no, questo non me l’hanno mai detto di prepararlo e tenerlo lì.

  • che siamo tutti vittime del destino e quando meno te lo aspetti può capitarti la qualunque senza che tu possa farci niente.

Su questo penso di aver già dato ampio spazio prima e sul mio articolo riguardante la fortuna, quindi sorvolerei. Userei queste ultime righe di oggi per dirvi che si, lo so bene, molte cose sono probabilmente davvero assurde e fanno sicuramente parte di un mio personale pensiero che ho tradotto qui “ad alta voce”, ma se tutto questo, o anche solo in parte, può servire a toglierci da tante cavolate opprimenti con le quali siamo cresciuti bhè, le riscriverei altre mille volte. Perché in realtà, siamo nati liberi. E sfido chiunque a dire il contrario. E questo non ce l’ha mai detto nessuno.

Prosit!