Alopecia – la drastica separazione

COME LA VOLPE IN PRIMAVERA

Esistono diversi tipi di Alopecia e sono diverse le cause che la provocano ma come ben sai io voglio accendere la luce su quella derivante dal Corpo Emozionale.

Il termine – Alopecia – deriva dal greco “Alopex” e cioè “Volpe” proprio perché si perdono i capelli a ciocche (nella maggioranza dei casi) proprio come accade alla Volpe quando perde il pelo dopo il freddo inverno.

Se per la Volpe però è un semplice rinnovo, che avviene ogni anno, per l’essere umano è differente perché i capelli potrebbero non ricrescere più. Posso assicurarti che ho visto casi gravi di Alopecia dove il capello ha ricominciato a crescere ma la persona ha dovuto fare un lungo e duro lavoro su di sé oltre al trattare, a livello topico, le zone interessate.

Questo perché l’Alopecia appare dopo che si è vissuta una – separazione -.

Tale separazione può essere di diversa natura. Perdere un genitore, perdere un figlio, perdere il lavoro, perdere dei soldi, perdere la compagnia… laddove, con il termine “perdere” non si intende per forza la morte dell’eventuale individuo, o animale, o evento ma anche solo un allontanamento percepito a livello sentimentale.

VARI TIPI DI SEPARAZIONE

Se ad esempio un bambino, si sente in qualche modo all’improvviso “abbandonato” dalla madre (anche se questa è sempre vicina a lui) può manifestare dopo un po’ l’Alopecia. Una madre che forse ha dovuto vivere un lungo brutto periodo, nel quale ha impiegato tutte le sue forze e le sue energie. Oppure un ragazzo che si sente d’un tratto, crescendo, svalutato dal padre, sente di non piacergli, sente che quel padre avrebbe voluto un altro figlio e lo sente separato da sé. Oppure ancora un uomo che, un bel giorno, sente di non piacere ai propri colleghi di lavoro e si rende conto che questi vogliono stargli alla larga. Cose che un tempo non accadevano poi, d’un tratto, succedono. Possono capitare per un nostro errore fatto nei confronti di qualcuno senza essercene resi conto, oppure per gli eventi che la vita ci obbliga e obbliga gli altri ad affrontare.

La separazione la si vive come una ferita che ha saputo squartare il benessere nel quale prima si stava.

L’Alopecia indica quindi che è avvenuta in qualche modo una separazione per noi dolorosa. Una separazione che abbiamo vissuto con dolore e paura. E’ venuto a mancare qualcosa che per noi era prezioso.

I capelli indicano la nostra forza, la nostra salute, il nostro affrontare la vita e il legame che abbiamo con la vita stessa e quindi anche con gli altri.

E’ difficile “curarsi” sotto questo punto di vista. Significa essere più forti e non provare malessere rispetto a quello che ci è accaduto ed è davvero dura. Si può però ricorrere ai ripari provando a illuminare il male che ci portiamo dentro e condividerlo con chi lo ha provocato. In realtà siamo noi ad avercelo auto-provocato perché noi abbiamo dato quel peso a quella situazione ma gli altri protagonisti possono sicuramente aiutarci.

SE SI DIVIDONO DA ME SIGNIFICA CHE IO NON VALGO

Ci vuole un po’ di coraggio perché occorre – chiedere – ma penso sia il minimo per provare a trattare un disturbo così fastidioso e antiestetico come quello dell’Alopecia. Pertanto bisognerebbe prendere la persona, o le persone, in questione e domandare loro cos’hanno che non và nei nostri confronti. Chiedere loro se possiamo migliorare e fare qualcosa per tornare ad essere ciò che eravamo prima. Offrir loro, su un vassoio d’argento, i nostri timori, il nostro dispiacere ed essere fiduciosi nella loro comprensione. Ricordiamoci che anche gli altri hanno le loro paure, a volte anche solo per parlare.

Questo stratagemma però non si può mettere sempre in pratica. Quando un individuo a noi caro lascia questa terra, o quando la nostra Alopecia è provocata dalla perdita di una sicurezza economica, o quando ci rubano il cane con chi possiamo parlare? Con nessuno se non con noi stessi.

Si tratta quindi di convincersi che, nonostante tutto, riusciremo comunque ad andare avanti. La separazione che stiamo sentendo è solo fisica, dolorosissima, ma non può nuocerci. Ci farà stare molto male per molto tempo, ci farà disperare, provare terrore ma in qualche modo andremo comunque avanti perché:

Metterò in pratica tutto quello che chi mi ha lasciato mi ha insegnato

Comunque non morirò di fame costi quel che costi

Troverò sicuramente un altro lavoro

Mi occuperò di altri cani e in onore al mio farò loro del bene

FORTE COME I CAPELLI

Non sto minimizzando il tuo dolore, un dolore che per un certo tempo devi vivere fino in fondo come meglio credi e nessuno può giudicare, ma passato il giusto tempo devi cercar di capire che non sei solo, che non sei un inetto, che non sei un povero. Nonostante la lacerazione del tuo cuore sei sempre lo stesso essere meraviglioso che eri prima. Per la tua natura intrinseca non è cambiato nulla. Hai ancora tutte le tue doti e ora è arrivato il momento di metterle in pratica.

Nei casi in cui riesci a lavorare un certo malessere e quindi sta a te valutare verso quale situazione o persona poterlo fare, prova ad accettare. Impara a coltivare la pregiata arte dell’Accettazione. Non è per niente facile ma se ce la fai ti fai un gran bene. Accetta quindi di non piacere più ad una persona ad esempio. Lo so, è straziante, e ci vuole molto tempo ma se ci ragioni esiste anche questa possibilità. La possibilità di non essere più apprezzati o stimati o amati da qualcuno. Come puoi continuare per tutta la vita a struggerti per questo? Cosa vuoi fare? Obbligare quel qualcuno ad amarti ancora anche se non vuole? Puoi farlo, certo, ma sarai tu a soffrire e ad ammalarti. Io non ti sto dicendo che è una passeggiata ma cerco di mostrarti come stare meglio anche se il mio può sembrarti cinismo, perché sarai tu a rovinarti la vita.

Impara a capire che vali lo stesso anche se tuo padre non ti apprezza più. Che sei comunque una bella persona anche se il tuo datore di lavoro ora ce l’ha con te. Che non hai colpe se tua madre è rivolta ad altro. Che forse meriti un uomo migliore se tuo marito ti ha abbandonata. Non considerarti un amputato se non lo sei.

Concentrati sul fatto che quella separazione, con il suo dolore al seguito, in quella quantità, è solo cosa tua. Tu la stai creando, l’hai creata, le hai dato una misura e allo stesso modo puoi fermarla.

TUTTO E’ UNO

La maggior parte delle separazioni che avvengono nella nostra vita arrivano per fare spazio e portare qualcosa di migliore ma noi non ci vogliamo credere. Abbiamo paura. Ci focalizziamo su quella perdita e non sul nuovo arrivo. Guardiamo la porta che si è chiusa e non il portone che si è aperto. E rimaniamo lì, a crogiolarci nel male, nel buio, nella disperazione. Questo indebolisce tutto di noi. Il nostro fisico, la nostra mente e la nostra spiritualità.

C’è anche però chi oggi è adulto e soffre di Alopecia da quando era bambino. In questi casi non riconosce il dolore, non sa neanche il perché soffre di questo inestetismo e, nel suo caso, l’indagine si complica. Quando accade questo solitamente si ricerca il problema nell’ambito familiare o scolastico che sono quelli che hanno più valore per noi in tenera età. Può comunque provare a ricercare il fatto che lo ha portato ad avere uno stop nella crescita dei capelli andando indietro nel tempo ma osservando il presente.

Ad esempio, se oggi non sopporti un qualcosa in tua mamma e non mi riferisco a un suo difetto o a un suo modo di fare. Mi riferisco al suo trattarti (ipotesi – ti fa sempre sentire un incapace o che sei un fastidio) da sempre. Significa che probabilmente fin da quando eri piccolino hai percepito questo provenire da lei e hai così percepito la separazione. Bene, prova a perdonarla e ad accettare questa situazione. Allenati nell’osservare che per tua madre sei “quello” ma per tutto il resto del mondo no. Prova a far luce in questa nicchia che non hai mai voluto illuminare. Tira fuori tutto quello che c’è da tirare fuori, guardalo e apprezzalo. Impegnati ad entrare in quell’angolo buio e convinciti del fatto che è una prova che devi superare.

Ricordati però che non è mai utile perdere troppe energie verso il passato. Fai la tua ricerca ma se vedi che non riesci a trarre un ragno dal buco fermati. Fermati e concentrati sul sentirti comunque completo. A mancarti è proprio la completezza del tuo Essere. Completo, perfetto, bello e utile a questo mondo. Altrimenti non saresti neanche nato.

Se sei qui e sei come sei è perché “servi” così. Individua la tua missione nella tua più totale integrità. Non sei separato da nulla. Tutto è Uno.

Prosit!

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Un fatto assurdo: il ragazzo in motorino

PROVE PRATICHE

Ieri ho assistito ad una scena che, secondo me, ha avuto dell’incredibile. Non vorrei sembrare esagerata e quindi spero di riuscire a far capire bene che cosa mi ha lasciato senza parole.

Mi trovavo seduta nel dehors di un bar con degli amici e, nei tavoli vicino a noi, c’erano altri clienti. Eravamo in una zona tranquilla di quella cittadina. Non è una zona di passaggio. Il bar, l’unico in quel quartiere, rimane un po’ fuori il paese, tra le palazzine e le vie secondarie. Queste case hanno dei parcheggi e dei cortili, sotto di esse, dove i bambini possono ancora giocare a palla o andare in bicicletta ma a quell’ora della sera non c’era quasi nessuno. Era tardo pomeriggio, erano ancora tutti al mare probabilmente.

Ad un certo punto un ragazzino che avrà avuto all’incirca quattordici anni, passa con un motorino tipo “Scarabeo” per una via vicino a noi, entra in uno dei piazzali e se ne va. Dopo pochi minuti di nuovo. Passa dalla stessa via, entra nel piazzale, fa un giro e se ne va. Dopo un po’ di nuovo.

Insomma, era chiaro che stava girando con il motorino in quegli spazi che gli erano consentiti. Fece questo per circa mezz’ora ma voglio raccontarvi cosa accadde vicino a me in quel tempo. Premetto, prima di tutto, che quel motorino non provocava alcun rumore fastidioso e nemmeno ci stava affumicando perché, quando passava nella via parallela al bar, si trovava comunque a parecchi metri da noi.

LA RABBIA SALE

Come dicevo, passa la prima volta. Poi passa la seconda. Poi la terza. Già alla terza, uno dei miei amici esclama – Ma questo? Non sa che cavolo fare? -. E va bene.

Alla quarta iniziarono a lamentarsi anche altri seduti attorno a noi. Sempre di più, in crescendo.

All’ottavo giro non vi dico che cosa stavano sentendo le mie orecchie. Alcune delle frasi udite sono state:

Deve avere benzina da consumare

Sarà un figlio di papà che non sa che c@@@o fare

I giovani di oggi si annoiano e sono dei rincoglioniti

Sai che bello se adesso ci prende uno stramazzo per terra

Almeno la pianta

Al decimo giro, la “bestia” che aleggiava attorno a me aveva ancora più fame. L’appetito vien mangiando. Quindi esplose:

Adesso stai a vedere se non mi picchia nella macchina

Tu dimmi se ora io mi devo alzare e andargli a tirare una testata a questo

Senti, fammi andare a spostare il motorino và 

Nella mia compagnia, erano in pochi (fortunatamente) quelli infastiditi da ciò che il giovane stava facendo e, a quei pochi, chiesi cos’era che disapprovavano. La loro risposta fu, secondo me, paradossale: – Niente, mi dà fastidio che continua a fare avanti e indietro! -… cioè, ci rendiamo conto?

TUTTO COSI’ ASSURDO

Io ero veramente allibita. Allibita. Avevo davanti a me un ragazzino, con tanto di casco in testa, che lentamente e innocentemente stava facendo dei giri con il motorino e, attorno a me, la folla, bramava il peggio, augurandogli il male e totalmente rapita dal panico che quel ragazzo potesse distruggergli i loro mezzi. Chi il mezzo lì non lo aveva semplicemente non voleva che quel tizio facesse avanti e indietro. E guarda un po’. Ma ci stiamo rendendo conto?

Il volto delle persone che avevo vicino era pieno di fastidio, di rabbia, di voglia di punizione, di giudizio… ma perché? Perché mi chiedo io?

“Osserva Meg” mi dicevo “osserva tutto”.

C’erano persone di ogni età. Maschi, femmine, ricchi, poveri, giovani, anziani. E ognuno aveva la sua brutta frase da dedicare a quel ragazzo.

Un ragazzo che, probabilmente, non poteva andare in strada perché i genitori glielo impedivano.

Un ragazzo che forse doveva imparare a usare il motorino che mamma e papà gli avevano appena regalato per la promozione.

Un ragazzo che forse ha paura ad andare nel traffico ma, per non stare chiuso in casa, scende nel cortile a farsi due giri in scooter.

Non oso immaginare se avessero visto uno scippatore in azione cosa sarebbe accaduto… Ah! No, nulla… giusto, omertà e indifferenza totale.

LA PAURA – SEMPRE PRESENTE

Non ho visto Satana nell’azione di quel ragazzo. Scusate ma, Satana, l’ho visto quando uno dei signori, seduti al bar, si è alzato ed è andato a spostare la sua moto per paura che quel giovane, al dodicesimo giro, gliela toccasse. E perché mai avrebbe dovuto toccarla? La paura su un qualcosa di non esistente che si traveste da “prevenzione”. Ma mi vien da ridere. Chissà quante volte questo ragazzo, che vive qui, gira e rigira tra questi cortili e tu, oggi, perché sei presente, vai a spostare la tua moto? Sposti la tua moto perché un individuo, a 15 km/h, ci passa di fianco più volte? Perché per la legge dei grandi numeri, prima o poi, ci deve obbligatoriamente picchiare dentro? Avevo un fisico di fianco a me e non me ne sono accorta.

Io non ho parole. Ancora oggi non ho parole. Io non so se riesco a passarvi l’assurdità di questa vicenda ma io sono attonita ancora adesso.

E queste persone si lamentano dei giovani d’oggi? Completamente governati da un fastidio più grande di loro. Da paure inesistenti. Da una rabbia e una voglia di punire che non ha eguali. Non stupiamoci se vediamo il male nel mondo perché ci sta solo rappresentando. Occorre accettarlo questo. Perché ieri, veramente, ho capito il perché sono esistiti ed esistono i tiranni. Forse si ha bisogno di una seria cura.

Voi che avete fatto il mondo. Voi che ai vostri tempi… Voi che, vestiti bene, con il vostro caffè davanti, avete detto le peggio cose verso un individuo, poco più che un bambino, che non stava facendo nulla di male.

SOGNANDO AD OCCHI APERTI

Quel ragazzetto ogni tanto si fermava, dava un piccolo colpo di clacson e poi ripartiva. Forse stava immaginando di essere nel traffico e qualche incosciente gli aveva tagliato la strada.

Quel ragazzetto stava giocando e potete essere con me o contro di me ma era una meraviglia da vedere. Forse era nel centro di Milano dove guidare è cosa ardua, o su una pista a gareggiare contro Dovizioso e Rossi, oppure ancora veniva fermato dalla Polizia. Era bellissimo guardare lui e i suoi sogni muoversi assieme.

Per quanto riguarda me ho anch’io ricevuto il mio messaggio. Il mondo non è solo il riflesso degli altri. È anche il mio riflesso. E ho visto il mio fastidio. Ho visto la bellezza di un giovane che giocava e fantasticava e ho visto paura, giudizio, punizione, intolleranza… tutto mi/ci appartiene. Tutto si mostra ai miei occhi per essere trasmutato. Il mio lavoro interiore c’è stato. Siamo un insieme di tantissimi piccoli frammenti che riportano ogni tipo di emozione e sta a noi scegliere di quali emozioni essere più colmi.

Così, dopo aver visto, mi sono mossa. Volevo però riportarvi un fatto davvero singolare, il quale mi ha dato l’opportunità di svolgere un buon lavoro dentro me e mi ha permesso di osservare come non voglio essere. Perché secondo me no; non dobbiamo essere così. Arrabbiandoci e maledicendo il nulla. Il nulla.

Prosit!

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A volte guardo le Persone

A volte guardo le persone. Quante sono…! Tutte diverse tra loro eppure tutte così uguali.

Camminano veloci, muovendosi tra loro senza nemmeno osservarsi. Si passano davanti, o accanto, senza notare a chi si sono avvicinate. Tutte così prese dal guerreggiare contro l’uno o contro l’altro, oppure nella totale indifferenza senza comprendere e senza sentire quanto invece si è utili per gli altri. Ognuno di noi.

Non si percepisce l’immenso disegno universale che ci vede tutti uniti a lavorare assieme come le cellule del nostro corpo. Come se fossimo cellule di un grande corpo.

Si sottolinea la differenza tra il mendicante e il riccone e non si nota come collaborano invece le particelle del nostro fegato e quelle dei nostri reni.

A volte guardo le persone. Sono tutte belle. Ognuna di loro ha una particolarità unica, fisica o meno, che la rende irresistibile. Le guardo e ne noto la bellezza. Un duro allenamento, non lo nego, soprattutto per una sociofobica e misantropa come me. Ma da cosa dovevo fuggire in fondo? Come potevo non amare chi è come me e chi mi sta accanto, ogni giorno, anche al supermercato? Di cosa avevo paura in realtà?

La meraviglia del creato sta anche in questo e in tutte loro. Non si manifesta soltanto in un bosco, in un’alba, in un animale dai colori sgargianti.

L’umanità è la creazione più affascinante dell’Universo, dalla bellezza nascosta. La più difficile da vedere. Una bellezza da scorgere con altri occhi, oltre al fastidio, l’offesa, il timore e quant’altro ancora può regalarti.

Le persone sono me, come potrei non piacermi? Sono io. Come potrei non amarmi? Come potrei non perdonarmi? Accompagnarmi una vita intera avendocela con me stessa come se fossi la mia più grande nemica. Giungere qui per trascorrere un’intera esistenza nel rancore e nell’astio.

Io sono la gente e la gente è me. Io sono l’uomo arrabbiato, il bambino capriccioso, la donna innamorata. Io sono il vecchio che soffre, il giovane che ride, la vedova che tace, il medico che cura, lo sportivo che suda.

Io sono le loro espressioni stanche, il loro viso corrucciato, le loro preoccupazioni. Sono la loro voce che canta, le loro labbra che baciano, i loro sorrisi. Le loro ambizioni.

La gente così assente, che cammina dormendo, che se nota qualcosa lo osserva con circospezione. La gente che porta luce, che balla in piazza, che insegna.

Il riconoscersi è la scoperta che più stupisce. Il perdersi, il trovarsi.

A volte penso a cosa accadrebbe se ognuno di noi si mettesse realmente al servizio degli altri offrendo il proprio talento, mostrando la sua parte più irresistibile. Cosa accadrebbe se ogni uomo si rendesse conto che il suo scopo qui è proprio quello. È proprio bello.

A volte guardo le persone e attraverso loro vedo me. Come mi sono comportata? Cosa ho dentro? Di cosa ho bisogno? Quali doti nascondo?

Gli altri… nella magnifica legge dell’Uno.

Gli altri… per leggere le pagine della mia vita.

Prosit!

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Mio Padre mi faceva Cantare

Quand’ero piccola mio padre voleva sempre ch’io cantassi ogni volta che andavo a farmi il bagno o la doccia e io, obbediente, per tutto il tempo dedicato all’igiene personale, sfoderavo le mie prodezze canore per la gioia di tutto il vicinato. Le canzoni duravano dall’inizio alla fine del lavaggio cioè, vale a dire, due ore abbondanti circa.

Amavo stare nell’acqua calda, immergermi, giocare con lei, fantasticare e impersonare eroine che combattevano battaglie sotto una pioggia incessante. E, nel mentre, cantavo e cantavo. Come mi era stato chiesto, senza smettere.

Mio padre pretendeva questo quando, lui e mamma, non potevano stare assieme a me avendo dei lavori da sbrigare in casa.

Le mie canzoni lo facevano stare più tranquillo. La mia voce gli diceva che stava andando tutto bene, che non mi stava succedendo niente.

Un giorno, come se le sue paure decisero di prendere forma, piano piano, smisi di cantare…

Lui mi chiamò dalla cucina ma io non risposi.

Mi richiamò ma di nuovo non ricevette risposta da me.

Corse in bagno e quando mi vide ero già svenuta sott’acqua, bianca come un cencio e uscivano dalla mia bocca piccole bollicine. Il livello dell’acqua nella vasca era anche più alto di quello che mi era stato concesso altrimenti Barbie e Ken non potevano fare i tuffi che piacevano a loro.

Posso proprio dire che, quel giorno, mio padre, mi salvò la vita. Poi, grazie a mamma, ripresi i sensi e iniziai a sputacchiare acqua e a respirare.

Finii all’ospedale in quanto mi ero praticamente avvelenata con i fumi di scarico dello scaldabagno a gas, oggi forse addirittura vietato all’interno del bagno, se non erro. Mi è mancato l’ossigeno nella stanza, ho perso i sensi e stavo annegando… quando si dice – Non mi faccio mancare niente! -.

Crebbi e divenni mamma. Dopo i primi anni anche mio figlio iniziò a lavarsi da solo mentre io mi occupavo delle mansioni in casa.

Canta! – gli dicevo. Proprio come mio papà chiedeva a me. In fondo, se ero ancora viva, era anche grazie a quell’abitudine di papà e il tarlo nel cervello ti suggerisce che, facendo allo stesso modo, puoi salvare la vita dei tuoi figli. Ti suggerisce di non cambiare metodo.

Solo con il tempo e dopo varie docce pensai “Ma perché mai dovrei salvare la vita di mio figlio? Mio figlio sta bene, non sta per morire!”.

Porre un occhio di riguardo nei confronti di un bambino piccolo che sta facendo qualcosa da solo è più che giusto ma vivere temendo per la sua incolumità è diverso e lo trovo sbagliato. Ossia, focalizzarsi sul peggio è sbagliato. Concentrarsi sul “potrebbe” (che poi è un “sicuramente”) succedergli qualcosa di male non è bello e non è giusto. Significa aspettarsi il male.

Era lui spesso a chiedermelo – Mamma, vado a lavarmi… canto? -. Lo stavo sobbarcando di una grande responsabilità: quella di tranquillizzarmi.

Si stupì il giorno in cui gli risposi  – No tesoro, se preferisci, puoi giocare tranquillo, tanto mamma ti sente lo stesso -.

Naturalmente, le prime volte, durante i suoi attimi di silenzio, correvo alla porta del bagno (rigorosamente  aperta) e con qualche scusa lo consideravo o stavo ad osservare di nascosto che tutto andasse bene. Poi, pian pianino, mi liberai di questa preoccupazione convincendomi che, mio figlio, sotto la doccia, era sano, felice, giocherellone e stava benissimo.

Sono grata a mio padre, a tutti i suoi insegnamenti, e ho sempre potuto godere del suo amore ma non volevo cedere alle grinfie della paura.

Pensare che un figlio sta bene e starà bene non vuol dire fregarsene di lui; significa solo non farsi sottomettere dal demone della pre-occupazione (occuparsi in anticipo di una cosa che ancora non esiste e… brutta per di più). Significa vivere più leggeri e alleggerire gli altri.

Spesso si entra in circoli viziosi e subdoli senza neanche accorgersene e che inoltre ci appaiono utili e positivi mentre invece sono logoranti.

Forse, non per tutti può avere valore l’esempio che ho raccontato del “cantare sotto alla doccia” ma è il senso che volevo trasmettere, con la speranza che possa allietare un po’ di più le vostre giornate. Questo perché, durante il giorno, di pre-occupazioni come questa ne creiamo un mucchio e, alla sera, o dopo mesi, o dopo anni, siamo stanchi, stressati, storditi.

Siamo focalizzati lì, senza ricordarci chi siamo, chi siamo davvero.

Proviamo, dove possiamo a liberarci da queste catene.

Prosit!

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Quando la Mamma è contro il Papà

Senza nessuna voglia di polemica ho deciso di scrivere questo articolo con la speranza che possa aiutare a riflettere su alcuni punti fondamentali nella vita di un bambino.

Da donna e da mamma ho sempre dovuto ammettere che, purtroppo, in caso di separazione, sono molto più spesso le madri, che non i padri, a fare guerra all’ex consorte, utilizzando, ahimè, come strumento, proprio il figlio, il quale si trova così a vivere situazioni drammatiche e davvero spiacevoli.

Alcuni uomini ne fanno di cotte e di crude, mi sembra ne parlino tutti i mass-media, e riconosco il comportamento deplorevole di alcuni padri ma, la mia intenzione oggi è diversa, perciò spero di non attirarmi addosso l’ira funesta delle signore che si sentono accusate.

Anche perché non è mia intenzione accusare nessuno, semplicemente, senza dare colpe a uno o all’altro, intendo spiegare, a modo mio, che cosa un bambino può provare quando si trova a vivere tali vicende e determinate emozioni.

Nessuno è un santo e nessuno è un demone, maschio o femmina che sia ma, purtroppo, alle donne dobbiamo sovente dare il ruolo di – manipolatrici – nei confronti dei figli e dell’ex coniuge.

Naturalmente anche molti padri si comportano così, ma sono in minor numero, in quanto la legge, solitamente, tutela di più la mamma visto il legame che la unisce al proprio figlio e perché l’uomo, predilige altre azioni. Ha un’altra mente, un’altra personalità, un altro comportamento. Grazie al Signore ci sono poi anche genitori, di entrambi i sessi, intelligenti e comprensivi che come strumento usano solo il “buon senso”.

Or dunque, rivolgendomi alle mamme che ho appena descritto, mi sento di dire che sarà inutile partire a spada tratta riferendo che – LUI è uno stronzo, Lui è senza palle, LUI è bugiardo, LUI qui e LUI là… -, tutto questo ad un figlio non interessa. Se anche l’ex marito avesse dovuto apostrofarvi con le peggio parole sappiate che, in tenera età, fondamentalmente, a vostro figlio non può fregargliene una cippa. Perciò, anziché cercare nel piccolo erede un complice e una sorta di spalla alleata sulla quale piangere oltre che cercare favoreggiamento, rivolgetevi agli amici e lasciate al bambino il suo sano menefreghismo ed egoismo.

E’ ovvio che questo che sto scrivendo, non trova senso in caso di situazioni gravi, derivanti da abitudini riprovevoli ed illegali ma, finchè questo non sussiste (e non serve fare il diavolo a quattro per un bicchiere spaccato che lo abbiamo spaccato tutti almeno una volta nella vita – non è istigazione alla violenza questa, ma potrebbe essere uno sfogo personale a patto di non frantumarlo in testa a qualcuno o davanti al minore) finchè quindi, a governare, è soltanto un odio personale, un rancore privato che urla vendetta (spero abbiate capito di cosa sto parlando) mi spiace, ma non è bene allontanare il piccolo bambino dal papà. Si, lo avete capito senz’altro a cosa mi riferisco, perché accade nell’80% delle famiglie.

Solo alcuni esempi tra i tanti:

1) Nonostante siete “mamme”, non potete essere voi in grado di giudicare se un uomo è adatto o non è adatto a fare il padre valutando il comportamento che ha avuto nei vostri confronti. Ci sono diecimila persone che detesto e alle quali io stessa vorrei tirare un calcio nel sedere, alcune molto vicine a me, ma questo non vuol dire ch’io non sia idonea come madre per mio figlio, o che non lo merito, o che non lo amo.

2) Togliere ad un figlio la possibilità di vivere il padre è come amputarlo. E’ la stessa cosa. Prendete pure una sega in mano e tagliate a lui un braccio o una gamba. Davvero, non sto esagerando. Solo che, mentre un arto, oggi, grazie alla tecnologia e ai passi da gigante della medicina, si può sostituire con un pezzo di plastica, purtroppo… senza metà cuore, non si vive ancora. Care mamme, mi spiace deludervi ma no, non potete riempire solo voi il cuore dei vostri amati bambini. Non lo possedete tutto. Fatevene una ragione.

3) Il fatto che sia una madre a parlare male del padre per un bambino è UN TRAUMA! Ossia, la persona che per lui è la fonte della verità assoluta, il Sacro Graal delle relazioni sociali, colei che tutto può creare e tutto può distruggere, gli sta dicendo che….. suo padre è un mostro. E’ nato da un mostro e quasi sicuramente, se porta lo stesso sangue, diventerà un mostro anche lui. (I bimbi crescono e le memorie rimangono… attenzione!). Gli state facendo male. Gli state facendo capire che se ama quella persona, ama una cacca d’uomo e, quando a me dicono che sto amando una cacca d’uomo mi sento piccola come un lombrico e mi sento di non valere niente, perché se valessi qualcosa, amerei un uomo che merita di più. Quindi, è una cacca lui e lo sono anch’io.

4) State privando vostro figlio di quello che voi non potete dargli. Ci sono molte sante madri che hanno fatto anche da padre e hanno fatto un ottimo lavoro ma, qualsiasi cosa abbiano potuto dare al piccolo, non hanno potuto donare alcuni aspetti che solo un uomo può conferire. E’ la natura, non lo dico io. Nel bene e nel male, l’uomo e la donna sono diversi e, diversamente, offrono. Forse anche cose spiacevoli ma che comunque insegnano.

5) Dovreste capire che vostro figlio è dotato di un suo cervello e di sue emozioni che non sono le vostre. Ora, è vero che un figlio va protetto dai pericoli e che un genitore deve scegliere per lui, ma è totalmente sbagliato insegnargli ad odiare il padre o la nonna o lo zio o la cugina solo perché stanno sulle balle a voi. Arriverà il momento in cui il bambino penserà “Boh? Mia madre mi ha sempre detto che questa è una persona disgustosa ma io la trovo invece così simpatica…” e così, partiranno i dubbi nei confronti della mamma stessa, il rammarico per il tempo perso, un boom di seghe mentali infinito, la non-fiducia e… riempiendo la testa dei propri figli di pensieri confusi e poco piacevoli, non si può pensare che questo sia amore.

6) Lo obbligate ad accontentarvi. Mai e poi mai un figlio farebbe qualcosa per rattristare la mamma quindi, “se mamma non vuole che vado con papà, io mi metterò a piangere così mamma è contenta”. Evviva! Complimenti! Avete ottenuto un gran risultato! Ossia un figlio che, al 90% dei casi, quando la gente lo vede con il proprio padre, lo nota sereno e tranquillo ma che al momento della consegna (manco fosse un pacco) sembra l’icona della locandina del film “L’Ultimo Esorcismo”. Mi è capitato, tempo fa, di sentire una bimba di tre anni che, girato l’angolo, ha chiesto a suo padre – La mamma ora non mi vede più? – e finì di versare lacrime già inesistenti. Questo è drammatico, sono rimasta scioccata nonostante la simpatia della piccola.

7) Perché far capire ad un bimbo che deve scegliere? Non è neanche in grado di scegliersi una maglietta. Secondo voi può davvero scegliere tra un padre e una madre? Ma poi che senso ha? I genitori devono essere un tutt’uno non una divisione. Sono le fondamenta e le colonne portanti per un bambino. Se ne manca una, o una non è adatta (questo è quello che gli si fa credere) la destabilizzazione diventa tanta.

Infine: so già che esistono mille e ancora mille situazioni differenti da quelle che ho citato, ed è normale sia così, ed è anche normale che ogni caso sia a sé e che non sta a me giudicarlo o anche solo raccontarlo. Mi auguro solo che questo articolo possa aver semplicemente dato spunti di riflessione a chi agisce e/o reagisce senza probabilmente pensare a qualche tassello in più perchè preso da altre emozioni.

Vedete, dire ad un figlio – Amore papà non ti ha potuto chiamare perché ha lavorato ma so che ti vuole bene e magari domani lo chiamiamo noi – è diverso dal dire – Tuo padre non chiama perché è un menefreghista, non gliene frega niente, non sa nemmeno di avere un figlio -. Avete tolto l’amore dal bambino in questo modo. Ma chi siete per poterlo fare? La madre? La madre riempie d’amore i cuori, non li svuota. E se neanche l’indomani quel padre chiama, e se sparisce dalla faccia della terra, inventatevi la qualunque, fate quello che volete, è vostro dovere proteggere il bambino con tutti i mezzi che avete-e-non-avete ma non dovete immettere, nel figlio, il senso del non-amore.

Si accorgerà da solo, crescendo, nel caso, che quel padre non vale niente. Da solo elaborerà il suo dolore e capirà senza che siate voi ad ergervi a giudici. La natura vuole che un bimbo, per piccolo che sia, abbia i suoi scudi, le sue difese, e solo il vostro infinito amore potrà essere per lui la culla migliore. Non gli farete sentire meno dolore parlandogli male del padre anzi, glielo aumenterete, e non otterrete nulla di buono paragonandolo al padre in senso negativo.

Quante volte si sente dire la frase – Sei come tuo padre! – piena di rabbia e rancore. Siate semplicemente il Sole per lui e il Sole nutre la vita. Se diventate sorgente d’angoscia, con tutto il bene che vostro figlio può volervi, come potrà vivere davvero bene vicino a voi? Vicino alla vostra rabbia e alla vostra tristezza? Un bambino sente il vostro stato d’animo anche se tentate di nasconderlo. Non abbiate paura di perderlo e siate gioia. In questo modo, con tutti gli errori che potete fare, non lo perderete mai. L’alienazione genitoriale non serve davvero a nulla. Molto spesso si agisce così per paura. Una paura intrinseca che neanche si riconosce ma, dare potere a questa paura, è a mio avviso, deleterio.

E per concludere sul serio, rivolgo due parole anche ai papà. Alcuni di loro indietreggiano davanti ad ex mogli aggressive o particolarmente stressate e strambe. E, per non creare casini, e per non far piangere il bambino, e per non sottostare a ricatti vari, evitano il rapporto con il proprio figlio. Queste sono situazioni molto delicate e piene di sfaccettature, controllate da professionisti molto più adatti di me, ma con il cuore, vorrei consigliarvi di essere e rimanere sempre il più presente possibile nella vita dei vostri figli.

Prosit!

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Sei Asmatico o… troppo Amato?

Ebbene si, secondo alcune filosofie, il senso di soffocamento che si prova avendo l’asma è da correlare al soffocamento del troppo amore che un’altra persona riversa su di noi. Nessuna colpa, nessun messaggio negativo e nessun giudizio, ma soltanto una semplice riflessione.

Vedete, nel momento in cui io amo “troppo” una persona, soprattutto un figlio (non per niente sono molti i bambini piccoli asmatici) automaticamente e inconsciamente, senza rendermene conto, lo rendo responsabile del farmi felice. Il senso è “non devi rendermi triste perché lo vedi che ti amo da morire!”. Questo è il messaggio che viene recepito.

In questo caso si parla di un amore particolare. Di un amore che sfocia anche in bisogno sempre senza nessuna colpa.

Vi voglio raccontare la storia di C.

C. è una grande mamma, ha quattro figli, uno più bello dell’altro, e fortunatamente tutti e quattro sani. Solo il secondo ha dato un po’ di problemini, e ha fatto preoccupare i parenti, proprio a causa di attacchi d’asma già da quando era molto piccolo.

C. ha avuto il primo figlio in giovane età e, questo figlio, quando nacque, nonostante si dica che i bambini appena nati sono tutti belli, di bello aveva ben poco ad essere onesti. Il viso magrissimo, lungo e storto a causa della giovane ostetrica inesperta, un eczema rosso sulla parte destra del viso e un’espressione da tapino lo rendevano ben poco piacevole alla vista e C. si accorgeva bene che la gente, quando lo guardava, non provava una sincera ammirazione.

Ci tengo a dire che oggi, questo bimbo, che ha dodici anni, è stupendo e perfetto.

Le impercettibili espressioni delle persone rattristavano C. che potè però prendersi una grande rivincita grazie al secondogenito. Quando nacque, lui, era meraviglioso. Sembrava un bambolotto, poteva essere chiamato da Anne Geddes per qualche sua immagine pubblicitaria da tanto che era bello. C., fiera e soddisfatta di quella sua creatura, che ora suscitava invidia nelle altre mamme anziché tenerezza, iniziò già da quei primi momenti, a riversare un amore esagerato, rappresentato da baci multipli, su quel bambino, gongolando sul fatto che, quella rara bellezza, era il suo bambino. Se tutti avessero voluto sbaciucchiare quelle morbide e paffute guanciotte, ebbene, rimarcava con i suoi gesti che soltanto lei poteva farlo perché, dopo quelle che aveva ritenuto “offese” nei confronti del primo figlio, ora si stava riscattando alla grande.

Una notte, il bellissimo piccolo, a causa di un raffreddore molto forte, iniziò a respirare poco bene intasato completamente dal muco. C. si spaventò perché anche se lo prendeva in braccio e lo faceva stare ritto, il piccino, non riusciva a respirare. Aveva preso una bella bronchite. La Guardia Medica e il ricovero, fortunatamente breve, di quel bambino, fecero preoccupare molto C. che affrontava la situazione riversando su suo figlio tutto l’amore che aveva. Se lui non riusciva a respirare lei respirava al posto suo, se lui faticava a stare bene, lei lo ricopriva di coccole e carezze. E’ ovvio che una madre si comporti così, l’avrei fatto anch’io. Vedere il proprio figlio soffrire è devastante per un genitore e, non potendo fare altro, lo si ama, se è possibile, più di prima.

Dopo quella avventura, naturalmente a C. rimase la preoccupazione nei confronti dell’apparato respiratorio del suo secondogenito che i medici dichiararono “delicato” da quel punto di vista, perciò, se il bambino, correva, sudava o aveva un rantolo, le attenzioni di mamma si moltiplicavano. La sua bellezza inoltre continuava ad eccellere tra tutti i bambini del paese e, per via di una cosa e per via di un’altra, quel bimbo era sempre e costantemente al centro dello sguardo di sua madre. Una bella responsabilità per lui! C. non ha fatto nulla di male, ci mancherebbe, ma senza rendersene conto, e passatemi il termine, “ha soffocato di troppo amore” suo figlio. Vedete, per C., era inconsciamente anche l’appagamento di un suo bisogno. Baciarlo davanti alle altre mamme che non avevano un figlio bello quanto il suo (ovviamente questa era un’idea di C. avvallata dal giudizio della gente, è ovvio che ogni scarrafone è bello a mamma sua) le permetteva di primeggiare e ricevere sempre un mucchio di complimenti. Coccolarlo mentre lui stava male le permetteva di dire – Sto facendo il possibile per te, non preoccuparti ci sono qui io – il suo ruolo di madre lo stava svolgendo al meglio.

Ebbene, oggi questo bimbo soffre d’asma. Fortunatamente crescendo gli attacchi si sono calmati e sono diventati più leggeri. Gli altri due figli, successivi a lui, non patiscono di questo. Quel bambino era sempre al centro dell’attenzione e, nemmeno i fratelli minori ebbero tanta dedizione rivolta a loro, perciò non si ammalarono.

Come dicevo prima, con questo comportamento, quello che si trasmette al figlio, sono i seguenti messaggi:

mi raccomando stai bene, non farmi preoccupare!

guarda quanto ti amo, non deludermi!

sei la mia vita, vivo grazie a te! (….azz!)

Riuscite a immaginare l’enorme responsabilità che si butta addosso ad un esserino di pochi mesi o pochi anni il quale percepisce, a modo suo, il risultato di quel comportamento? Lo so che sembra impossibile ma è così.

Devo far di tutto affinchè mamma non stia male! Devo stare bene, devo essere bello, devo fare il bravo…. Devo, devo, devo…. altrimenti la deluderò e forse… forse non mi amerà più…” è normale non riuscire a respirare bene con ‘sto peso sul petto!

Il bambino percepirà di essere amato perché è bello o perché non sta bene (tant’è che molti individui esprimono sofferenza per ricevere considerazione e affetto).

Questo accade anche tra adulti, davanti ad un marito opprimente ad esempio, o una moglie asfissiante, piena di paure o esageratamente affettuosa.

Purtroppo, anche se quello che facciamo lo facciamo per amore, il troppo stroppia sempre e può divenire un problema. Le difficilissime – mezze misure – sono alla base di un rapporto sano ed equilibrato perché l’equilibro è la forza che muove l’intero Cosmo: il male e il bene, il freddo e il caldo, il giorno e la notte, il bello e il brutto. Senza una di queste cose non ci può essere nemmeno l’altra, il suo contrario, e il tutto forma la vita.

Amate, amate, più che potete ma cercate di lasciar andare il messaggio di un semplice e genuino amore puro e incondizionato senza nessun ritorno, perché pure se può essere incredibile, anche vedere il proprio figlio stare bene è un ritorno. Un ritorno che ci rende felici perché, senza quello, saremmo tristi e angosciati. Ma come si fa? Mica si può star sereni davanti alla malattia di una persona a noi così cara? No. assolutamente. E, a venirci ulteriormente contro, sono le idee e l’educazione che ci hanno inculcato attraverso la nostra cultura oltretutto. Per cui, come ripeto, le sfumature di grigio sono alla base. Bisogna essere forti e coraggiosi. Quando un nostro caro sta poco bene, e ci vede soffrire a causa di questo, si preoccupa ulteriormente di essere la causa del nostro dolore perché come noi vogliamo bene a lui, lui ne vuole a noi e non vorrebbe vederci così. Proviamo a rifletterci. Forse, basta non essere troppo estremisti.

Amiamo lasciando all’altro la piena libertà. La libertà anche di soffrire. Senza fargli sentire questo un peso o un danno maggiore. La libertà di scelta. Scegliere di fare anche quello che può non essere per noi un idillio. 

Il respiro è alla base di tutta la vita. Se stiamo male a causa di questo, e destiamo preoccupazione in coloro che amiamo, è come vedere tutta la vita andare male a causa nostra. Ci si sente indegni, non meritevoli di affetto e si respirerà sempre peggio.

Se ho esagerato con qualche concetto è stato per far capire bene il senso di questo articolo.

Prendiamo la vita più alla leggera e permettiamo a chi ci è vicino di fare altrettanto. Anche il respiro ne gioverà e sarà più fluido e “leggero” anche lui.

Prosit!

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Parenti-Serpenti per fortuna Presenti

La Legge della Risonanza o dell’Attrazione dice (e dimostra) che noi otteniamo ciò che sentiamo. Vale a dire che se io mi sento veramente ricco, nella parte più viscerale di me, provo davvero, realisticamente, la sensazione che la ricchezza può donare (cosa veramente difficilissima da sentire), qualche strano meccanismo universale mi darà abbondanza a profusione affinchè, il mio stato d’essere e di percepire, si possa concretizzare divenendo realtà.

Non si otterrà pertanto ciò che si pensa o ciò che si desidera, ma ciò che si prova proprio nel profondo che è, solitamente, molto diverso da quello che la mente vuole farci credere.

Questo è naturalmente un lavoro molto faticoso per noi, sentirsi ricchi intendo, perché se siamo poveri o se ci hanno insegnato che per essere ricchi occorre essere fortunati e nascere in una ricca famiglia, il nostro inconscio risulta inquinato da queste affermazioni e… ciao Pippo!

Sul vero o sul falso di queste teorie e sul come fare per allenarsi in tali dinamiche, ho già scritto diverse volte quindi, oggi, passerò oltre, andando a toccare un altro tasto.

Supponiamo quindi che, dopo varie ed estenuanti esercitazioni, si riesca davvero a credersi così e si possa quindi iniziare a ricevere. Ad un certo punto riusciamo realmente ad avere fiducia nell’Universo e a percepire una sorta di ricchezza in noi comportandoci come se avessimo un mucchio di soldi. Ecco che, a quel punto, dopo tutto il gran lavoro svolto, proprio mentre stiamo mettendo il piede nella casella “arrivo”, giunge il parente di turno e, tutto preoccupato, ci dice: – Guarda che devi cercare di guadagnare di più perché altrimenti così non puoi farcela! -, – Spegnila ‘sta luce in sala se sei in cucina che poi devi pagare una cara bolletta! -, – Ne hai appuntamenti in ‘sti giorni? Riesci ad arrivare a fine mese? -, – Per il bambino hai tutto? Ti serve qualcosa? Dimmelo eh! Che te li do io i soldi -.… Azz…. E si ricade giù, al punto di partenza.

Benedetti parenti!

Ovviamente la loro è pura e sincera preoccupazione, senza colpa alcuna, dettata dall’affetto che provano per noi ma, così facendo, non sanno che stanno alterando il nostro stato d’essere. Lo stanno alterando perché ci intossicano di frequenze negative, perché contribuiscono a formare per noi un futuro povero, perché nutrono verso di noi pre-occupazione anziché abbondanza e armonia, etc, etc…

Ho fatto l’esempio dei soldi ma vale per qualsiasi cosa. Per la salute, per i rapporti sociali, per la vita di coppia, per tutto.

Non mi se ne voglia per il titolo. Anche i miei parenti si comportano in questo modo e li amo sopra ogni cosa, a dismisura, e guai non li avessi nella mia vita.

Il Serpente è stato identificato come simbolo delle tentazioni. Le tentazioni sono maliziose, s’insinuano, nella nostra zona più intrinseca, senza che noi nemmeno ce ne accorgiamo. Strisciano proprio silenti come una serpe. La tentazione del lasciarsi andare, di cadere nel tranello del “Cavoli… non ho abbastanza soldi” oppure “Cavoli, se mia madre è preoccupata forse è bene che inizi a preoccuparmi anch’io” è davvero molto molto inequivocabile.

Posso resistere a tutto tranne che alle tentazioni – (Oscar Wilde)

E’ una tentazione perché tenta di portare ad una tranquillità che, fisicamente ed economicamente, si può anche trovare ma, se si fossero seguiti altri impulsi, forse, si poteva stare ancora meglio. Diecimila volte meglio. Ma la paura a livello generale, e la paura del dolore, sono enormi.

Lo capisco bene. Sono umana anch’io. Dico solo che bisognerebbe difendersi da certe negatività e continuare a pensare positivo.

Sorridi e la vita ti sorriderà – (cit.)

Non si può certo zittirli o maltrattarli. Il loro modo di fare è tanta manna, siamo circondati da persone che ci vogliono bene ed è bene essere grati a loro di conseguenza. Sono le nostre colonne. E saranno loro, sempre ben disposti, a darci una mano qualora gliela dovessimo chiedere. L’unica cosa dunque, che possiamo fare, è proteggerci. Proteggerci dalle loro onde. Sempre che, parlandoci insieme, non capiscano che sarebbe più salutare per noi un altro tipo di comportamento.

Far capire a chi ci sta vicino di non sovraccaricarci di timori e di ridere lietamente e con serenità, immaginando il nostro futuro rosa, non è offensivo, e sicuramente farà bene anche a loro, oltre che a noi, e si acquieteranno i loro animi.

Si può davvero comunque, nell’eventualità, creare una specie di scudo con la nostra immaginazione. Uno scudo “vero” che, come una coperta atta a proteggere, non lascia passare quelle frequenze e, naturalmente, ci si deve allenare in cuor nostro a risalire di frequenze dopo che il parente è andato via.

Ciò che le nostre orecchie ascoltano, o i nostri occhi vedono, viene immagazzinato nel cervello e finisce nell’inconscio. A noi sembra non vederlo più, non percepirne l’esistenza e crediamo sia andato via da noi. Crediamo non ci abbia neanche sfiorato. Ma invece è lì. Latente. Ormai c’è. E inizia lentamente a lavorare come un semino. Attraverso i nostri modi, del vivere la vita, possiamo nutrirlo e farlo crescere oppure, appunto, possiamo ridimensionarlo, facendolo diventare sempre più piccolo, o facendolo scomparire davvero del tutto, prima o poi.

Nel momento quindi in cui qualcuno ci dice – Per il bambino hai tutto? Ti serve qualcosa? Dimmelo eh! Che te li do io i soldi – s’innesca in noi una specie di ordigno che, come la goccia cinese, ogni giorno ci suggerirà “ Sei sicuro che a tuo figlio non manchi nulla? Ce la farai a comprargli sempre tutto quello che gli serve? E un imprevisto? Riusciresti ad affrontarlo?” fino allo scoppiare della bomba che potrà essere anche solo un malessere che percepiamo e che non riusciamo a riconoscere ma che comunque non ci farà vivere bene.

In ultimo, qualche suggerimento ai parenti. Le frasi migliori da dire sono:

– Ah! Che meraviglia! Tutto è perfetto e va’ alla perfezione –

– Se c’è un problema c’è anche una soluzione altrimenti non c’è nessun problema –

– Devo andare al negozio, ti serve qualcosa? –

– Quanti clienti hai questa settimana? Due? Allora non c’è il due senza il tre! –

– Avevo pensato di prendere al bambino un paio di pantaloni blu che mi piacciono molto, secondo te possono piacere anche a lui? –

Insomma, inventate. Inventate sempre al positivo, e senza mai usare termini di negazione o che inducano a pensare alle negatività. E cercate di mantenere sempre un’espressione sorridente e allegra.

Prosit!

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E’ solo una Carezza…

Dovremmo essere spontanei come i bambini che, quando vogliono una carezza, ti prendono la mano e se la mettono sul viso – (Mesmeri, Twitter)

Quando sei un fiore, ti basta una carezza.

Quando sei un animale, ti basta una carezza.

Quando sei un bambino, ti basta una carezza.

Quando sei un anziano, ti basta una carezza.

Cos’hai di più, rispetto a loro, ora che sei adulto, non più piccino ma nemmeno vecchio, e una carezza non ti basta?

Cos’hai di meno?

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Una carezza denigri, reputi un povero gesto.

Con una carezza non diventi ricco, non mangi, non acquisti l’abito che fa tendenza.

Una carezza non ti dona la gloria, la fama tanto ambita e quanto è inutile riceverla, tanto è faticoso darla.

Cosa c’è in fondo in una carezza? Un contatto, un po’ di pelle, una sinapsi, cose così, banali.

Troppo banali per viverle.

Quel tocco lieve, così presente, così profondo.

Quel patetico sfioramento che penetra nelle viscere e le scuote.

Cos’è mai una carezza? Un gesto così inutile che preferisco privarmene, che non ricevo, che mai offro.

Palpare il viso di un altro, tastargli il cuore. E’ il nulla.

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Quante carezze hai ricevuto oggi?

Quante ne hai fatte?

Non ai tuoi figli, non al tuo cane, non a tua madre. A quelli come te.

Ho imparato che ogni giorno dovresti spingerti a toccare qualcuno. La gente ama una carezza affettuosa, o soltanto un amichevole pacca sulla schiena – (Maya Angelou)

Ma dire che una carezza può addirittura avere un potere terapeutico, è ormai scontato, non ci si fa nemmeno caso. Quanta buona energia possa essere racchiusa in un solo gesto sembra impossibile o da non tenere a mente. Queste sono cose che dice lo psicologo, la persona spirituale, il credente che ripete le parole del suo Dio. I fanatici del Peace&Love, della New Age.

Mi da persin fastidio accarezzare qualcuno. Toccare quella pelle che non mi appartiene sotto nessun punto di vista. Mischiare le mie cellule epiteliali alle sue. Al suo sudore, al suo odore. A sentire sotto al mio palmo una consistenza che non mi è familiare. Ne ho quasi paura, e se non è timore è ribrezzo.

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E poi, cosa mai potrà pensare di me quel qualcuno? Quel qualcuno al quale ho invaso la zona più intima tra le distanze prossemiche interpersonali? Al quale ho effettuato un’incursione nello spazio vitale senza permesso.

Per alcuni è persino un fastidio essere toccati, sfiorati, baciati. Il loro scudo protettivo non dev’essere oltrepassato e vanno rispettati.

I dinosauri si sono estinti perchè non li accarezzava nessuno – (Anonimo)

Cos’è questo contatto? Non siamo scimmie! Cos’è questa confidenza?

Quante carezze hai ricevuto oggi?

Quante ne hai fatte?

A chi è come te, uguale a te.

Quante carezze hai custodito dentro senza mostrarle? E sono ancora lì, ad ammuffire, come le radici di una pianta avvolte dentro ad un retino di plastica, sotto terra, nascoste, affinchè la pianta possa morire e tu spendere ulteriori soldi per comprarne un’altra senza saperti dare una spiegazione.

Eppure, le davo l’acqua… Eppure le davo il sole…. Eppure l’ho protetta dal vento… – ma la sua parte più preziosa è morta, perché nascosta, nessuno ha potuto vederla.

Nascosta dentro, al centro, come il cuore di ognuno di noi.

La carezza è questo. E’ lo strumento che ci permette di guardare sotto terra, di liberare radici che soffocano costrette. E’ il proiettile di un cecchino che colpisce nel punto più esatto senza fare male.

L’unico dolore che si prova è quello della nostra stessa paura, ed è dolce, insinuante, affilato come una katana.

La carezza non fa male. Brucia sui graffi mandando in estasi. La carezza è l’atto più amorevole che le nostre mani possono compiere.

Se non sai che fare delle tue mani, trasformale in carezze – (Jacques Salomé).

Prosit!

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L’ago di Garda…

Avendo come molti un profilo FaceBook anche personale, oltre alla mia pagina di Prosit, mi capita spesso di leggere naturalmente quello che conoscenti o sconosciuti postano di tanto in tanto.

Tempo fa, in quanto ci sono quelli che potremmo definire “tormentoni” anche lì, in parecchi si sono accaniti contro l’uso errato della lingua italiana. Alcuni, probabilmente molto devoti, o molto pignoli, o bisognosi di far valere la loro dote, nominavano addirittura le accento come errori madornali di sgrammatica. I classici insomma che, a sentir dire persino dall’Accademia della Crusca, commette il 90% delle persone.

Avete presente: va – và, sta – stà, li – lì, ne – né. Accento e apostrofi per giunta.

Ecco, io sono tra quel 90% tanto per cominciare. Provo ad allenarmi, ma la mia memoria mi gioca sempre tiri mancini. Premetto che io per la prima sopporto poco chi storpia di molto la nostra lingua. Ad esempio quelli che scrivono utilizzando la k al posto del ch e così via ma, alla fine, dico io, è un linguaggio inventato dai giovani e, i giovani, hanno il potere di cambiare il mondo. Perciò lo accetto e sorrido.

Insomma, per farla breve, mi sta bene non devastare l’amatissimo italiano, lingua tra le più belle del mondo, ma le “ossessioni” non mi piacciono da nessuna parte.

Mi dicevo, quando leggevo certi post o certi commenti, che probabilmente bisognava fare lo stesso pandemonio anche per il contenuto di quel testo (al positivo intendo) mentre, quest’ultimo, passava inosservato e l’errore grammaticale invece veniva condiviso a più non posso girando virtualmente per tutto il Bel Paese.

Finalmente però un giorno, io aspettavo perché sapevo che prima o poi arrivava (il rovescio della medaglia c’è sempre), ecco spuntare una bellissima storiella che ha sicuramente fatto riflettere molti. In disaccordo o meno, è carina da leggere e quindi, per chi non la conoscesse, la ripropongo qui:

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“Un grande professore universitario, docente di filosofia, un bel giorno, scrive alla lavagna:

COME O AMATO TE

NON O MAI AMATO!!!

Con una voce triste come non mai, chiede ai suoi alunni – Cosa ho scritto? -.

Tutti imbarazzati tacciono.

– Dai -, dice il prof – è facile da leggere -.

Una ragazza si alza e legge:

– COME HO AMATO TE

NON HO MAI AMATO!!! –

– Bene -, dice il professore – ieri sera ho invitato a cena una donna che è stata capace di farmi sentire nel profondo del mio cuore queste parole. Ci siamo frequentati per 2 mesi. Le nostre anime hanno vibrato insieme, tutto era meraviglioso. Ieri volevo chiederle di sposarmi. L’ho portata a cena. Tutto era favoloso. Lei era favolosa. Sentivo la mia voce strozzarsi in gola. Ho tirato fuori il mio quaderno, ne ho strappato un pezzetto e, come si faceva da bambini, le ho scritto:

COME O AMATO TE

NON O MAI AMATO!!!

Come un bambino appunto, mi aspettavo di vedere sorgere un sorriso sulle sue meravigliose labbra. Il suo viso si è spento però. Ha iniziato a piangere. Si è scusata perchè non riusciva a trattenersi ed è andata via. Incredulo, l’ho rincorsa. Volevo, DOVEVO sapere il perchè di quella reazione. Alla fine mi ha risposto:

– Tu sei un grande professore di filosofia. Io una stimata professoressa di lettere. Come puoi aver commesso quell’errore? Non riesco a crederci, non riesco! –

Avrei potuto spiegargli che lo avevo fatto consapevolmente solo per fingere di essere tornati bambini. Per dimostrarle che l’amore che provo per lei è capace di trasportarmi a quando non sapevo distinguere una O da una HO. Ma… in quell’ attimo ho capito. Amarsi non è essere perfetti. Amarsi non è fare sempre la cosa giusta. Lei cercava un amore perfetto. Io non l’avrei mai resa felice. Sono stato zitto. RAGAZZI CERCATE DI NON AMARE LA FORMA, AMATE IL CONTENUTO!!! –“.

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Quell’amore intrinseco, sviscerato come solo un bambino poteva fare, è passato in secondo piano quindi davanti ad un errore di ortografia.

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Diciamolo, tutti noi avremmo pensato male. Avremmo pensato all’ignoranza di quella persona, avremmo storpiato il naso davanti ad un asino simile così come lo avremmo storto se quella persona si fosse presentata al nostro appuntamento vestito in modo malconcio (ma oggi tranquilli perché è uscita la moda “Clochard Style” e quindi va bene!).

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Già. Quanto è importante la forma?

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Quanto lo è l’apparenza?

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Sapete qual è a mio avviso la cosa peggiore? E’ che finchè le cose non diventano una moda, una tendenza, vengono giudicate negativamente, salvo poi essere collocate su un piedistallo da coloro che si considerano fighi nel momento in cui vengono riconosciute come: cose “da fighi”.

Andare in giro con un abbigliamento non stirato era, fino a qualche tempo fa, un’eresia, una bestialità. Oggi invece è glamour (e meno male vi dirò)…

L’esperimento sociale che ha visto il noto attore americano Richard Gere come protagonista vestito da barbone per le vie della Grande Mela, fa capire bene il senso – La gente mi ignorava completamente – affermò il sex symbol. Un esperimento che la dice lunga se si pensa alla masnada di persone che solitamente gli impediscono il passo ogni qualvolta mette piede fuori di casa. Un test che ha comunque ben fatto ragionare l’attore il quale ha proclamato – Non dobbiamo mai dar per scontate le nostre benedizioni, ora so cosa significa – e ben venga.

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E allora penso che quelle persone siano le stesse che possono giudicare un errore grammaticale e forse troppo vittime dell’apparenza. Si, vittime. Mentre vittima ci si sente colui che per la società ha sbagliato, in realtà, a mio avviso è un vincitore.

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Non dico questo con giudizio, ognuno ha i suoi puntigli; io ho il mio: sono infastidita dalle ossessioni come ho detto prima. E ultimamente sono molte, si sente il bisogno di aggrapparsi a qualcosa? E’ solo che non spiegano amorevolmente, sembra abbiano un piglio anche poco simpatico. Perché?

Quello che mi piacerebbe, è che comunque ci sia in loro felicità. Ma di ossessionati felici, ne ho incontrati pochi. Se basassero i loro movimenti, anche belli e utili, su basi d’amore anzichè di giudizio e spesso rabbia o critica, riuscirebbero ad essere veri Maestri a parer mio.

L’ago di Garda:

C’era una volta un lago, e uno scolaro

un po’ somaro, un po’ mago,

con un piccolo apostrofo

lo trasformò in un ago.

“Oh, guarda, guarda –

la gente diceva

– l’ago di Garda!”

“Un ago importante:

è segnato perfino sull’atlante”.

“Dicono che è pescoso.

Il fatto è misterioso:

dove staranno i pesci, nella cruna?”

“E dove si specchierà la luna?”

“Sulla punta si pungerà,

si farà male…”

“Ho letto che ci naviga un battello”.

“Sarà piuttosto un ditale”.

Da tante critiche punto sul vivo

mago distratto cancellò l’errore,

ma lo fece con tanta furia

che per colmo d’ingiuria,

si rovesciò l’inchiostro

formando un lago nero e senza apostrofo”.

(G. Rodari)

La scelta di Rodari:

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– Se un bambino scrive nel suo quaderno “l’ago di Garda”, ho la scelta tra correggere l’errore con segnaccio rosso o blu, o seguire l’ardito suggerimento e scrivere la storia e la geografia di questo “ago” importantissimo, segnato anche nella carta d’Italia. La Luna si specchierà sulla punta o nella cruna? Si pungerà il naso? –

Non lo pensate anche voi?

Prosit!

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Consiglio: Scrivere cosa ci ha fatto stare male

Il consiglio che vorrei darvi oggi probabilmente lo conoscete già ma io posso testimoniare che funziona davvero. E’ una tecnica che uso anche con chi mi chiede aiuto e noto che pure queste persone, eseguendola, trovano un giovamento. Si tratta di scrivere/descrivere, una situazione “brutta” che avete vissuto. d

Ci troviamo a volte a dover affrontare avvenimenti davvero spiacevoli per noi, traumatizzanti, che lasciano ferite aperte per molto, molto tempo, divenendo sovente, persino inguaribili. Questa è in realtà la parte più negativa. Il ricordo. Il ricordo che continua a vivere in noi. Durante il fattaccio, costi quel costi, siamo in grado di affrontare ciò che arriva, siamo in grado di reagire, siamo in grado di pregare per trovare la forza e ovviamente, non possiamo pensare in quel momento o in quel periodo, quanto male quella situazione sta facendo a noi stessi, nella nostra parte più viscerale. Non è un problema, la risaneremo appena riusciremo a tranquillizzarci ma come? Si crede sovente di riuscire a dimenticare. Attenzione, non è sempre così. Purtroppo, i fatti che ci scuotono particolarmente rimangono impressi in un cassettino del nostro cervello senza abbandonarci del tutto. Altre volte invece rimangono letteralmente, ben visibili, e possiamo vederli affacciarsi ogni giorno nella nostra testa. Cerchiamo di sconfiggerli sia che siano piccini, sia che siano enormi. Sono state esperienze della nostra vita che oggi non devono più esistere, non devono più continuare a farci male. Se avevano da insegnarci qualcosa, prendiamo quel qualcosa e abbandoniamo tutto il resto. Ci sforziamo con il pensiero di lasciar andare, proviamo a perdonare chi ci ha fatto questo, a  capire noi stessi, a giustificarci o a coccolarci, pur di “guarire” da quel tarlo che rosicchia ma non ce la facciamo. Dobbiamo allora quel tarlo, prenderlo e darlo a qualcun’altro travestito da foglio bianco o da schermo di pc. Scriviamo bene, per filo e per segno, con molto impegno, quel che ci è successo. Scriviamo con l’anima. Scriviamo il perchè è accaduto secondo noi, cosa abbiamo subito, cosa avremmo voluto fare, cosa abbiamo fatto e non. Chi ha partecipato insieme a noi a quella vicenda, come vorremmo vivere ora, insomma… tutto. Tutto quello che ci viene in mente ma facendo parlare il cuore. Nessuno dovrà leggerlo, per cui potrete davvero mettere nero su bianco ogni cosa. Sfogatevi in tranquillità visto che probabilmente non avete potuto farlo prima. Dovrete scrivere un libro. Ovviamente, più l’evento è stato traumatico e destabilizzante e più sarà lungo da descrivere perciò non abbiate paura di stilare un vero e proprio romanzo se dovesse servire. Nel caso decidiate di buttarlo giù tramite computer, vi consiglio di stamparlo poi e tenerlo in un angolo della vostra libreria. Una volta terminato, rilegatelo magari e catalogatelo bene come se fosse un fascicolo a sè e sistematelo dove meglio credete. Dateci anche un titolo e abbellitelo esteticamente. Quello è il vostro libro, uno dei tanti, un episodio della vostra vita. alai.it

Sono sicura che con il tempo, il ricordo di quella negatività vi abbandonerà e potrete trovare la serenità che meritate. Non è più in voi ora. Sarà solo tra quelle pagine, e siete padroni di tenerle, o buttarle, o bruciarle, come meglio credete, ma sarete voi a comandare, non più loro. Ora, sono “solo dei pezzi di carta“. Vi consiglio di aspettare almeno un anno prima di prendere la decisione di liberarvene perchè sovente ci vuole davvero molto tempo prima di dimenticare ma soprattutto perchè se riteniamo di aver compiuto degli errori che non vorremmo più ripetere, in quei fogli, rileggendoli, riusciremo sicuramente a trovare le giuste soluzioni. Riusciremo inoltre a mettere ben a fuoco cosa davvero di quell’avventura ci ha logorato e spaventato e, in principal modo, riusciremo a leggere il suo insegnamento. Un pezzo della nostra vita ora ben tangibile, palpabile, concreto. E se prima non sapevamo, nei meandri della nostra mente, dove andare a cercarlo, eccolo… sul terzo piano dello scaffale in salotto. E se prima era edulcorato o inquinato da altri mille pensieri, riuscendo a celarsi bene per non essere trovato, adesso eccolo… è lì.

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Grande come un quaderno, ben chiuso dentro ad una cartellina. Completamente inoffensivo. Completamente vostro. Non può più farvi paura. Dovete sapere, che addirittura, ci sono traumi vissuti nell’infanzia che riaffiorando nell’età adulta, mascherati da nuovi avvenimenti, possono provocarci lo stesso dolore di un tempo, trasformato talvolta anche in disturbo fisico. E’ ovviamente un episodio lontano ciò che ci ha causato quel malessere, neanche lo rammentiamo, ma è rimasto lì. Questo per farvi capire che non muoiono mai. Continuano a vivere dentro di noi e si nutrono della nostra quotidianità, saltando fuori all’improvviso, nel momento stesso in cui un minimo campanellino d’allarme trilla nel nostro inconscio mosso dalla nuova situazione simile, appena vissuta. Per simile intendo che riporta allo stesso risultato. Vi faccio un esempio: se un bambino è stato abbandonato dal padre in giovane età, vivrà la sua vita nell’ansia che anche altri possono abbandonarlo. Come l’ha fatto il padre, perchè non potrebbe ora farlo la mamma, l’amico, la fidanzata, il datore di lavoro? Non c’è differenza. Ora, è ovvio che quel bambino, divenuto uomo, non avrà più un padre che lo abbandona, questo è già avvenuto, ma gli basterà sentire una frase tipo – Mi dispiace, non posso aiutarti – per fargli rivivere l’incubo. E’ una frase normalissima ma, per lui, è un punto debole. E’ una ferita aperta. Quando una ferita è aperta, anche solo l’aria che ci passa sopra può far male. Quella frase, viene tradotta come “Non posso starti vicino, devi cavartela da solo, ti abbandono, io non sono lì con te“. Proprio come ha fatto suo padre. Lui non riconoscerà il collegamento con il padre ma, in un modo del tutto inspiegabile, inizierà a star male. Come farà a cavarsela da solo? Inizierà a provare ansia, paura, destabilizzazione, tristezza, inquietudine. Tutte emozioni che logorano, che causano danni. Il consiglio che vi ho dato, potrebbe non essere una risoluzione totale. Non m’innalzo al livello di psicologi e neuropsichiatri ma so che può aiutare. E poi, i medici di questo settore, non vi fanno forse parlare, giustamente, per buttare fuori quel che v’inquieta? Come vi ripeto, date ad altri il vostro problema. Cercate di eliminarlo da voi. E, un primo step, potrebbe proprio essere questo.

Prosit!

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