Andando contro Osho e Buddha usiamo i doni di Madre Natura

Possiamo prendere quello che Madre Natura ci offre? Sì, certo, ma prima c’è da fare una premessa. Una lunga premessa.

Tutto si basa da ciò che sei. Intendo dire cosa sei dentro non come appari. Quali emozioni e quindi quali energie ti appartengono in quel momento. Dentro… molto dentro.

Mi capita spesso di sentir dire che i fiori non si devono cogliere. Si parla solitamente di fiori selvatici, magari visti in montagna. Ecco, ora tutte le Guide Escursionistiche ce l’avranno con me ma che mi lascino spiegare.

Una bellissima citazione, che dicono appartenere al Buddha, usa proprio il “non cogliere un fiore” come metafora per spiegare cosa significa amare – Se ti piace un fiore semplicemente lo cogli. Quando lo ami, lo annaffi tutti i giorni -. Ci sta.

Anche Osho ha provato a spiegare questo concetto con la nobile frase – Se ami un fiore, non raccoglierlo altrimenti morirà e cesserà di essere ciò che ami. Quindi, se ami un fiore lascialo essere. L’amore non ha a che vedere con il possesso, ha a che vedere con l’apprezzamento -. Sono d’accordo con entrambe le citazioni, o meglio con il loro senso, ma possiamo provare ad andare oltre e diventare un goccio più esperti di quello che siamo. (Osho per primo raccoglieva fiori a tutto andare per preparare tisane, infusi e abbellire i luoghi in cui accoglieva i suoi ascoltatori ma ssssst…. non ditelo a nessuno!).

Dobbiamo imparare ad avere un rapporto diverso e migliore con la Natura, rispetto a quello che abbiamo solitamente. Un rapporto più fertile.

E’ giusto voler proteggere certi luoghi. Io per prima sconsiglio di cogliere fiori così, ad minchiam, come si usa dire elegantemente (ehm… mi si perdoni perchè così è chiaro) ma oggi voglio provare a spiegarti qualche differenza.

Infatti, possiamo fare tutto. Possiamo relazionarci in maniera ben diversa con la Natura, finendola di distaccarla da noi, e iniziare a comprendere che siamo un tutt’uno con essa. Se non vogliamo mancare di rispetto a noi, non dobbiamo mancare di rispetto neanche a lei: piante, animali, rocce, etc… E dobbiamo metterci in testa che il rapporto perfetto è quello del – dare e avere -.

Bisogna iniziare partendo da un basso bassissimo livello di umiltà che non significa mancanza di dignità ma considerazione verso quello che stiamo facendo e soprattutto verso il fatto che stiamo prendendo un qualcosa. Quel qualcosa è nostro, è lì per noi, ma per noi è stato creato e se, con umiltà, riconosciamo questo sacro fenomeno, possiamo facilmente accedere al gradino successivo e utile. Quello che ci porta all’interno della grande stanza della GRATITUDINE.

In questa stanza possiamo accogliere in noi ed essere permeati da una grandissima dose di gratitudine che è l’emozione più importante che possiamo e dobbiamo avere ogni volta che vogliamo usare qualcosa che ci viene offerto.

La Natura è ben felice se noi apprezziamo i suoi doni e li facciamo nostri e tutto è lì per noi in abbondanza divina. La Natura non ha paura di – restarne senza -, non ragiona e non vive come noi umani. Lei da’, regala tutto con tutto il suo amore, senza problema alcuno. Una generosità che commuove. Devi riuscire a connetterti a questa generosità mentre cogli quel ben di Dio. Qualsiasi cosa sia.

Così come prendiamo una mela dall’albero per nutrirci, o le uova di una gallina, o delle bietoline selvatiche, possiamo prendere anche un fiore per sfamarci, curarci o poterlo ammirare all’interno della nostra casa ricordando quanto è bello il mondo là fuori. Possiamo prendere un tronco o una pietra per realizzare componenti d’arredo in casa nostra e vivere il più possibile sentendo i materiali naturali vicini a noi. Per permettere alla nostra creatività di trionfare. Ce n’è un gran bisogno di fantasia. La Natura ne sarà lieta. Questo ci farà stare bene e, se stiamo bene, la Natura è contenta perché, automaticamente, la inondiamo di buone vibrazioni.

Cogliere un fiore è come tagliare la legna per affrontare l’inverno e poterci così scaldare grazie alla sua trasformazione.

Ma non dobbiamo approfittarcene. Con questo non significa che possiamo fare man bassa andando oltre il dovuto. Diventeremo egoisti e approfittatori non più esseri umani che vibrano in alte frequenze. Ecco quindi qualche accorgimento da tenere a mente se si vuole cogliere un fiore (o prendere qualsiasi altra cosa):

Innanzi tutto serve osservare se di quella specie di fiore ce ne sono molte altre nei dintorni. Non essere sbrigativo e affamato. Stai per compiere un’azione che rimarrà registrata nella memoria dell’Universo, esegui il tutto con equilibrio, centratura e sapienza. Se quel fiore particolare è l’unico nel raggio di parecchi metri, lascialo stare, il prossimo anno potresti trovarne due e poi tre e così via. Se invece quel luogo abbonda di quella specie allora puoi anche prenderne qualcuno.

Non esagerare con il numero di fiori. Per abbellire una stanza o per ricordare a te la bellezza che ti circonda fuori casa, ti basta un vasetto con dentro queste ricchezze, non devi addobbare una cattedrale, non ti stai sposando! E’ il senso ad essere importante, non dimenticarlo mai!

Non prendere un fiore durante un’escursione. Quando alla sera sarai arrivato a casa esso sarà morto o avrà patito tantissimo, che te ne fai? A che ti serve un fiore passo? Coglilo solo se vuoi tenerlo per ricordo, magari tra le pagine di un libro. Dai un senso alla tua raccolta, a quell’atto che compi, non pensare solo al “volere”. Cerca sempre di operare come se stessi realizzando una piccola cerimonia.

Ridona alla Terra ciò che è suo. Le mele che cadono da un albero vengono mangiate dagli animali del bosco, quindi sono utili come alimentazione, oppure marciscono e vengono assorbite dal terreno diventando humus, utili anche in questo caso. Alla Natura serve ciò che tu consideri una schifezza da eliminare. Lei lo lavora e lo rende utile sostanza. Pertanto, ogni volta che puoi, gli scarti, ridaglieli. Lei saprà cosa fare. Il fiore colto, e che ora consideri morto, adagialo in un prato.

Quando cogli un fiore lascia a terra l’apparato radicale. Tutta la parte più legnosa vicina alla terra, alla fine del gambo, quella delle radici e a volte con anche qualche foglia, lasciala dov’è. Tu non te ne fai niente. Madre Terra potrà più facilmente far sorgere da lì un nuovo fiore. Attraverso questa attenzione emani rispetto sia per il Pianeta che per gli insetti e sarà il rispetto a tornarti indietro.

Cogliere un fiore è un atto da benedire. Non prenderlo strappandolo come se fosse un foglio di carta soddisfatto di averlo ora tra le tue mani. Questa è avidità.

Avvicinati a quel fiore e benedici la sua bellezza, la sua ricchezza. Inchinati verso chi lo ha creato, ama te stesso e anche la Natura se nella tua mente queste due cose sono ancora divise. Ama la bellezza del creato e ringrazia, di cuore, il poter possedere ora quella creazione divina tra le tue mani.

Stai emanando energie bellissime, il mondo non potrà che esserti riconoscente. Gli stai facendo del bene e tutto quel bene tornerà a te. L’Universo, in queste situazioni, non distingue il cogliere un fiore dal dare una moneta ad un povero. A lui interessano le vibrazioni che stai elargendo, qualsiasi sia il tuo scopo.

Se prendi dell’acqua da un torrente devi cercare di provare le stesse sensazioni. In questo modo, utilizzando il grande tesoro che possiedi del “rispetto” saprai da te regolarti sulla quantità da ottenere senza rischiare di abbondare. Saprai dire basta al momento giusto.

Purtroppo, la maggior parte delle persone non pensa a tutto questo ed essendo che siamo in molti, senza alcuna educazione nei confronti di questi temi, qualvolta ognuno di noi decide di impadronirsi di un elemento naturale accade un pandemonio. Da qui ne deriva rabbia e giudizio da parte di chi sgrida chi non si attiene alle regole create dall’uomo e, alla fine, il risultato, è quello di un gran casino che non serve a nulla e a nutrire la Terra c’è soltanto un caotico movimento di energie negative che sono totalmente deleterie.

Prova ad operare in questo modo. La Terra risponde immediatamente e ti accorgerai subito che non stai provocando un danno bensì essa è contenta. Tratta quel fiore come tratteresti un qualcosa di molto caro per te. Usalo ma non sfruttarlo. Cogline la vera essenza che ti appartiene. Più tu ti ami e ti elevi e più la Natura tutta non potrà che trionfare seguendoti. Perché lei è il tuo riflesso.

Molti anni fa, un mio amico mi disse – Guarda Meg, se strappo il Timo in questo modo, le Api non lo considerano più. Se invece lo colgo in quest’altro modo, loro vanno ancora a succhiare il suo nettare anche se è dentro al cestino. Ti rendi conto? –. Sorrisi davanti alla sua ragione.

La meraviglia di un uomo che coglie un fiore per portarlo alla sua amata o della donna che lo usa per intrecciarsi i capelli con dolcezza… di questo ha bisogno la Terra in cui viviamo. Di questo si nutre felice.

Mantieni quel dono vivo. Non ucciderlo con metodi grezzi. Sii elegante e grato soprattutto. Usa la delicatezza, la parsimonia e, come ti ripeto, la gratitudine. Non puoi fare nulla senza di lei. E puoi fare tutto ciò che vuoi se la utilizzi.

Prosit!

CITAZIONI DISCUTIBILI 1° – Buddha, l’Ego e il Volere

Eccoci alla prima citazione, a mio parere, da smentire. E’ quella che potete leggere nell’immagine qui sotto:

Un uomo disse al Buddha – Io voglio la felicità –

Il Buddha rispose – Rimuovi IO, questo è egoismo, rimuovi VOGLIO, questo è desiderio… e quello che ti rimarrà sarà solo felicità –

Ad una prima occhiata sembra una bella frasona, di quelle che ti lasciano di stucco e ti spiegano molto sull’Ego e sul pretendere ma… beh… ecco, dubito fortemente possa aver detto questo Buddha e vi spiego il mio perché:

Partiamo da qui

“Togli – voglio – quello è desiderare”.

Ebbene no. Anzi… Ora vi mostro anche come, tutto questo, tra le altre cose, sia pure un controsenso.

Il verbo “volere” è proprio l’unico che funziona quando si “vuole” (appunto) qualcosa. La nostra educazione e la nostra cultura ci hanno insegnato che “voglio” è sbagliato, maleducato, supponente e arrogante anche se accompagnato da un – Grazie – o da un – Per favore -. Lo si è quindi trasformato in “vorrei” che suona più elegante e più umile ma che reca con se’ il – Se posso… se me lo merito… chissà… forse… -. Per tanto, in caso di “desiderio”, come si cita qui, puoi aspettare anche mille anni che comunque non otterrai mai nulla. Non otterrai mai nulla perché speri e sperare significa mettersi in attesa. Volere invece vuol dire agire e procacciarsi con determinazione quella cosa fosse anche solo con il pensiero/immaginazione. Che sia un bicchiere d ‘acqua, che sia un sogno.

Non per niente i bambini, fintanto che non vengono ammoniti, dicono – Voglio! -. E guarda un po’. Inoltre, se “voglio”, mi rendo più responsabile nei confronti di quella determinata cosa. Si intende una sorta di responsabilità positiva. Io la voglio, io la creo, io la ottengo. È merito mio. Soltanto chi si identifica con il suo Sé Superiore o, se preferite, con il suo essere Dio, può affermare tali considerazioni e gioirne per questo. Un po’ come non dare merito a terzi; destino o individui che siano: se posso, per favore, vorrei… se me lo concedi… Sentite come stridono queste frasi nella vostra parte intrinseca?

E poi ditemi, avete mai sentito un Mago dire “vorrei… per piacere…”. Vi immaginate Gandalf contro il Balrog chiedergli – Senti… per favore… potresti andare via? Vorrei te ne andassi… se puoi eh? -. Vi rimetto qui il video che mi piace assai e colgo sempre l’occasione per postarlo.

Beh, insomma, mi sembra abbastanza imperativo no? Non chiede mai – Per favore – al mostro. E lo so che state pensando che tutto questo è solo un film ma funziona così anche nella vita, non per niente J. R. R. Tolkien, l’autore, era un risvegliato.

Per Mago Merlino vale la stessa teoria, non l’ho mai sentito, quel vecchio bisbetico, dire – Vorrei -, in nessuna delle sue formule magiche.

In secondo luogo la parola “desiderare” è sbagliatissima, per questo ad essa si affianca il “vorrei”.

De – sidera significa Fuori – dalle Stelle. Al di fuori del disegno delle stelle. Cioè impossibile, o meglio non affine, al disegno universale. Al suo posto occorre usare “considerare” che si affianca al “volere” e che risuona nel con – sidera cioè all’Interno del disegno delle stelle.

L’Universo e la nostra parte divina non sono permalosi e nemmeno hanno la nostra morale. Non diventano quindi schiavi di sciocche emozioni come noi. Il “voglio” non offende proprio nessuno mentre si sta ordinando una commissione al Cosmo divenendone co-creatori. Ovviamente la si dovrà condire con gratitudine, fede e amore ma – io voglio la felicità -, al di là del fatto che è già dentro di te e devi solo spolverarla, (la felicità infatti, uno che già è Mago della propria vita, non ha bisogno di volerla) è una frase più che legittima, alchemica e spirituale ricca di profonda consapevolezza che un Buddha non avrebbe mai contestato.

E chi la vuole questa felicità? Io. Certo! Che Ego? L’Ego si presenta in moltissime altre occasioni ma se tu sai ben dividere il tuo io materiale e schiavo dal tuo io spirituale e libero… beh, io è e io ti chiami. È naturale che il secondo modello, cioè Mago, come ho detto, non dovrà neanche volerla la felicità. Se è in quel riconoscimento ne sta già godendo. Così come è naturale che per educazione, ormai, se si entra in un negozio occorre dire “vorrei, per piacere” ma è il senso che mi premeva spiegarvi.

Credendo a questa citazione e che così stanno le cose purtroppo si rimane “bassi”, con pesanti palle di ferro attaccate alle caviglie, anziché darsi la possibilità di volare.

Ho voluto spiegare questo perché molte persone prendono queste citazioni e le usano nella loro vita come massime indiscutibili, credendoci e volgendo le loro azioni in base a ciò che hanno letto. Mica dovete pensarla come me! Ma per lo meno adesso, se prima non le avevate, possedete due visioni e potete scegliere. Riflettete sempre, prima di fare vostra, la frase di qualcun altro.

Io voglio la felicità! Ditelo ancora! E’ bellissimo! Io voglio la felicità! Io voglio la felicità!

Prosit!

photo me.me – imperodisney.com

Giordano Bruno, Cartesio, Fabio Marchesi, Gregg Braden… ma chi gliel’ha fatto fare?

Possiamo credere come no a certe teorie, possiamo essere d’accordo solo in parte, possiamo anche detestarle e andarci contro ma io mi sento in dovere di dire – Grazie! – ad alcune persone.

Alcuni, dopo aver letto questo articolo, potrebbero divergere dal mio pensiero e affermare persino  – Ma chi gliel’ha fatto fare? – e a questa domanda rispondo con un – Non lo so, ma ciò che dicono è capace di farci stare bene e, soprattutto in passato, ci sono stati soggetti che hanno compiuto per l’umanità opere grandiose -.

Persone dalle visioni affascinanti, dai poveri mezzi, attraverso i quali sono riusciti a capire che in questo Universo non siamo solo osservatori ma partecipanti assoluti. Interagiamo con lui, siamo parte di lui, possiamo anche modificare l’andare delle cose.

Persone che hanno scoperto la vera entità Divina ossia, semplicemente e incredibilmente, un’espressione di gioia assoluta e travolgente. Senza dottrine, senza religioni. L’Amore puro in ogni sua forma.

– L’amor che move il sole e l’altre stelle… – (Dante Alighieri)

IL POTERE DELLA SCRITTURA. Scripta manent – Gli scritti rimangono. (Evviva!).

Pensiamo a Giordano Bruno, padre del libero pensiero, che accettò la sua condanna al rogo dopo che gli venne proposto, dall’Inquisizione, di abiurare la sua ideologia cioè che l’anima continua a vivere perciò è immortale. – Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam – (Forse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io nell’ascoltarla) rispose dopo aver sentito l’accusa contro se stesso e morì bruciato vivo, il 17 febbraio del 1.600, dopo aver dedicato l’intera vita a studi su un Dio, inteso come Infinito e come Tutto, completamente diversi dalla dottrina Cattolica soprattutto dell’epoca. Fortunatamente tutti i suoi trattati furono ritrovati e custoditi cari. Molte le sue ricerche, tante le sue teorie, ognuna volta alla comprensione dell’infinita potenza che risiede in ognuno di noi pari a quella universale.

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Pensiamo a Isaac Newton il quale, trovandosi a vivere nel bel mezzo della peste che non aveva pietà per nessuno, che stava decimando l’umanità del 1.600, si preoccupava di conoscere la luce e capire la forza gravitazionale universale, che amava studiare la natura collegandola all’uomo e le sue filosofie, mentre la gente gli moriva di fianco. Lui non ha badato a questo, non ha badato alla malattia e non ne è stato colpito. Lui voleva andare avanti, voleva conoscere, inventare, scoprire. Voltaire, presente al funerale del genio, disse – La natura e le leggi della natura giacevano nascoste nella notte. Dio disse: “Che Newton sia!”, e luce fu -.

Pensiamo a Cartesio che, nel 1.500, ha rischiato ogni giorno della sua vita di essere ucciso se trovato in possesso di un libro vietato e, ai tempi, erano veramente tanti i testi proibiti. Pensiamo alla sua vita passata di nascosto, in buie stanze, con la voglia di trascrivere per i postumi le sue verità e le sue scoperte. Padre della famosa citazione – Ego Cogito, ergo sum, sive existo – (Io penso, dunque sono, ossia esisto), nella quale è trascritto tutto il senso e l’onnipotenza dell’essere umano. – Solleciterò la mia immaginazione per conoscere meglio chi io sia -, disse anche. Il termine “immaginare”, come vi ho già detto diverse volte, deriva dalle parole In Me Mago Agere, ossia In Me c’è un Mago capace di Agire. Immaginando possiamo creare la nostra realtà.

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Immaginatevi Cartesio, di notte, da solo, in un umido locale, nel silenzio più assoluto alla fievole luce di una candela. Quando al primo rumore nascondeva tutto, si fermava, bloccava anche il respiro, mentre il cuore accelerava il battito. Aspettava, ascoltava e poi, riprendeva lentamente tutto in mano continuando dal punto in cui aveva dovuto fermarsi all’improvviso.

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Pensiamo a Gregg Braden, a Roy Martina, a Salvatore Brizzi, a Jiddu Krishnamurti, a Fabio Marchesi, a Eckhart Tolle, a Louise Hay e potrei andare avanti all’infinito. Medici, filosofi, scienziati, fisici, casalinghe… persone che hanno deciso di dedicare tutte le loro conoscenze, tutta la loro vita o gran parte di essa, al benessere dell’umanità. Ognuno a modo suo. Ognuno regalando gli strumenti che possedeva.

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Che hanno deciso di dedicare le loro ricerche, i loro studi, tutto il loro sapere, a farci capire l’onnipotenza divina dell’essere umano. La nostra. Ognuno di loro svela ciò che può funzionare, perché con esso così è andata, e vuole regalare tale gioia e soddisfazione a tutti gli altri. E allora scrivono libri, pubblicano video, organizzano corsi.

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Questo è altruismo. Non significa basarsi sulla veridicità delle loro filosofie (nonostante sia davvero ben difficile attaccarle) o meno, parlo del loro impegno, per molti addirittura non retribuito. Per altri invece si, ed è giusto che sia così. Il denaro non è il male; è come ce l’hanno mostrato, come ci hanno obbligato ad usarlo che è diventato – il male –. Inoltre, se per conoscere e diffondere determinati concetti, ci si ritrova a spendere, è giusto venir ripagati e riuscire così a scoprire ulteriori informazioni da diffondere ancora.

E allora un – Grazie! – glielo vogliamo dire? Io si, io mi sento di dirglielo e lo considero il minimo. E se non siete d’accordo con me, provate, prima di giudicare, ad ascoltare le loro parole, ad interpretare il loro messaggio perché credetemi, loro, in un modo o nell’altro, riescono a farci stare bene. Il Telegiornale, che sono così felice di vedere alla sera perché almeno rimango costantemente informata su quello che accade intorno a me…. Bhè… ho smesso di guardarlo da parecchi anni.

C’è una rivoluzione che dobbiamo fare se vogliamo sottrarci all’angoscia, ai conflitti e alle frustrazioni in cui siamo afferrati. Questa rivoluzione deve cominciare non con le teorie e le ideologie, ma con una radicale trasformazione della nostra mente – (Jiddu Krishnamurti).

E chi ha riportato le parole di Gesù, di Buddha, di Maometto? Chi si è preso la grande rottura di balle di trascrivere tutto quello che questi individui dicevano e facevano… chi? Per poi essere pure “interpretati male” (mio umile pensiero). Chi ha pensato a noi? A noi che oggi leggiamo e nemmeno poniamo attenzione a quello che stiamo apprendendo. Nemmeno ci poniamo la semplice domanda del – Perché? – sono state scritte cose di questo genere e tramandate per anni, per secoli.

Favole… come se i fratelli Grimm non fossero bastati. Oppure pazzi! Si. Con questo aggettivo ci mettiamo il cuore in pace.

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E gli artisti? Cantanti, pittori, scrittori, registi che hanno fatto di tutto, sottilmente, per aprirci gli occhi, per farci pensare, per allargare le nostre menti. Ma poco abbiamo saputo ascoltare e vedere.

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Bhè, è poco, si, ma un – Grazie! – a queste persone voglio dirlo.

Come affermava Nicola Tesla – La scienza è solo una perversione, se non ha come fine ultimo il miglioramento delle condizioni dell’umanità – e parecchi di loro hanno provato.

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Sei divino*, non lo dimenticare mai – (Giordano Bruno).

Prosit!

*Divino – in te risiede il potere di vivere nella totale gioia, nell’estasi; è la mente che ti impedisce di vederlo.

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Perdonare un Assassino

Ti perdono per non morire

Se hai spento il sorriso di mio figlio non puoi più permetterti di ridere

Ogni giorno qualcuno viene ucciso per mano di qualcun altro e ogni giorno la notizia viene trasmessa dai telegiornali ammazzando anche un pò ognuno di noi dal grande dispiacere.

Molto spesso, alcuni assassini, mentre vengono inquadrati dalle telecamere che, ammanettati salgono o scendono dai veicoli della Polizia, ridono e sogghignano mostrando spocchia e sarcasmo a chi da casa, sconvolto, sta guardando.

antimafiaduemila.com

Al di là della reazione che comporta questo modo di fare, le frasi che escono dalla bocca del pubblico sono sempre le stesse e sovente si sente dire – Hai ucciso una persona e ti permetti di ridere? Maledetto!- oppure – Col ca..o che ridi ancora, hai spento il sorriso di quello che poteva essere mio figlio e ridi? Io andrò in galera ma tu non ridi più te lo dico io! -.

Ecco, ora senza entrare nel tema dell’essere favorevoli o meno alla pena di morte, quel ghigno, in faccia di chi ha ucciso viene davvero preso, ed è comprensibile, come una beffa insopportabile, gravissima dal punto di vista della morale umana. Un’umiliazione senza eguali. Quasi più dell’omicidio stesso che, per alcuni, l’atto in sé, a seconda dei parametri può anche essere compreso, non giustificato ma compreso.

Ecco, è proprio questo il tema, la comprensione e di conseguenza l’eventuale perdono. Parlando chiaro, senza buonismo e falso moralismo, c’è una cosa che mi sballonza in testa da qualche anno, una riflessione nata da una strage e, volevo condividere con voi le considerazioni che questa vicenda ha suscitato in me. Mi riferisco al pensiero, o meglio al sentimento, germogliato nel cuore di uomo che non mi ha lasciata indifferente.

Sto parlando di Carlo Castagna sapete chi è? Detto così forse no ma se invece vi nomino – La Strage di Erba – andate automaticamente tutti al punto.

ilgiorno.it

Si ma Carlo Castagna chi è? E’ il nonno del piccolo Youssef Marzouk ucciso violentemente, nonchè il padre di Raffaella Castagna ammazzata anch’essa assieme ad altre persone dagli ormai, ahimè, famosissimi coniugi Rosa Bazzi e Olindo Romano (almeno stando alla decisione della Suprema Corte di Cassazione di Roma).

newspage.it

Ridevano anch’essi, attraverso le sbarre della cella in Tribunale, ve lo ricorderete.

Nella precisione, al signor Castagna, sono venuti a mancare quindi: la figlia Raffaella, il nipotino Youssef di soli 2 anni e la moglie, presente anch’essa quella sera, Paola Galli. Sono venuti a mancare per mezzo di mani che non li hanno soltanto uccisi ma massacrati, sgozzati, bastonati e infine bruciati.

Ebbene, che sia vero o meno (ma le sue stesse dichiarazioni dicono così e ne è stato scritto anche un libro “Il perdono di Erba” Ed. Ancora), pare che il signor Castagna abbia deciso di perdonare i due assassini (che, tra l’altro, non hanno accettato questo perdono accolto come un gesto del quale se ne poteva fare a meno).

Non c’è la giusta concezione di perdono a mio avviso.

Di tale decisione se ne è fatto un gran tam tam e, se ai tempi avessi avuto già questo blog, forse ne avrei parlato anch’io. Lo faccio ora perché quest’uomo mi ha sempre dato da pensare.

Nel momento stesso in cui ha proclamato di voler perdonare (e addirittura abbracciare per alcuni siti) gli uccisori della sua famiglia, l’Italia si è divisa in due in una frazione che vedeva molto più ampia la parte di coloro che non condividevano questa intenzione.

Quando si parla di perdonare un atto così indegno sembra quasi che, automaticamente, nulla importi della vittima che l’ha subito ed è secondo me proprio questo il fulcro del concetto.

Se perdono chi ha ucciso mio figlio allora vuol dire che di mio figlio non me ne fregava nulla -, o meglio – No, non posso perdonare chi ha ucciso mio figlio perché mio figlio lo amavo più di qualsiasi altra cosa al mondo e lui me l’ha tolto -. Anche detta all’incontrario però il significato non cambia e riporta alla stessa teoria.

Perdonare il criminale è pertanto come mancare di rispetto alla vittima. Dimostrando invece il nostro odio, il nostro rancore e la nostra sete di vendetta, spesso confusa con il “fare giustizia”, dimostriamo che di quella vittima ce ne importava assai e vogliamo restituirle la dignità devastata da qualcun altro.

La cosa assurda è che a volte, anche se volessimo assolvere in cuor nostro, non lo facciamo per non sentirci mal-giudicati dal resto della popolazione.

Perdonare però non significa condonare anche se è visto come suo sinonimo. E’ un qualcosa di molto più profondo, un misterioso meccanismo che accade solamente dentro noi stessi e solo noi stessi riguarda, non ha niente a che vedere in realtà con l’eventuale colpa affidata al criminale.

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Bisogna sempre trovarsi in determinate situazioni e non si può parlare se alcune cose non si sono subite, ma una cosa è certa, ed è quello che mi ha sempre fatto riflettere: Carlo Castagna ha deciso di perdonare per poter continuare a vivere.

Detta così, che buffo, sembra quasi un’opera di egoismo ma, secondo me, è la realtà. Ha trovato il mezzo per poter sopravvivere a tanto dolore, altrimenti sarebbe morto anch’esso. Al di là di dove la fede di quest’uomo sia diretta, quella stessa fede, gli ha suggerito la misericordia e la compassione.

E’ possibile questo?

Non è tanto il capire come abbia fatto a perdonare, mi viene molto più difficile concepire come avrebbe fatto a continuare a vivere se non avesse perdonato.

Pare essere l’ultima cosa che ci rimane da fare ma in pochi, pochissimi, la eseguono. Cioè, riescono a eseguirla.

E’ come se questo perdono mi avesse suggerito che, fondamentalmente, – la Strage di Erba – siamo noi. Qualsiasi omicidio siamo noi. Non siamo solo le vittime con le quali ci immedesimiamo ma siamo anche gli assassini. E non perdonando è come se non perdonassimo noi stessi.

Alla faccia che argomento duro! Lungi da me suggerire il fatto che potrei riuscirci ma sapete cosa vi dico? Che forse, forse vorrei riuscirci.

Conferma Castagna di essere giunto a questo stato di spiritualità dopo strazianti vicissitudini passate con se stesso circondato ormai soltanto da innumerevoli fotografie dei suoi cari sparse per casa. Non gli rimaneva nient’altro, solo immagini e ricordi. Visioni stampate nelle sue retine persino dei cadaveri stessi.

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Ma il perdono non è una scelta, è una grazia – Carlo Castagna.

E’ come se ad un certo punto, il suo cuore, la sua mente e il suo fisico si fossero spenti inermi, senza più farcela e, a parlare, abbia iniziato la sua anima. Che a noi piaccia o meno l’anima perdona.

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Tu non hai un’anima. Sei un’anima. Hai un corpo – C. S. Lewis.

Tutto quello che accade ad ognuno di noi è di responsabilità di ognuno di noi. Perché ognuno di noi appartiene al Tutto. E se ognuno di noi si amasse e si perdonasse forse questo Tutto sarebbe migliore di come lo vediamo. Siamo responsabili di un omicidio così come di una vita che nasce, di un sorriso che appare, di un bacio che altre due persone si scambiano. La tristezza e l’angoscia che hanno governato dall’alto il fattaccio di Erba erano le esternazioni di un dolore latente che tutti abbiamo provocato.

In fin dei conti, che cosa comporta il NON perdonare nel nostro cuore? Riporta in vita l’innocente? No. Provoca maggior malessere nel killer? No. E’ possibile condannare ma bisognerebbe farlo senza rancore in noi.

intemirifugio.it

Quello che vorrei dire al signor Castagna è che non posso permettermi di pensarla come lui pur credendo di farlo, ma di una cosa vorrei ringraziarlo: mi ha insegnato una teoria che si tende a celare. Ha fatto emergere un concetto che raramente viene a galla, raramente tocca così tanto un cuore.

Mi ha permesso di riflettere.

Voi cosa ne pensate?

Prosit!

photo laparola.info – ilgiorno.it – newspage.it – intemirifugio.it – antimafiaduemila.com – medicinalive.com

Tu sei un peccatore

Tempo fa un amico che si era da poco convertito al Buddhismo mi espresse questa riflessione

– Io non ho nulla contro le altre religioni, ognuno è libero di pensarla come vuole, io mi sono rivolto al Buddhismo perché contiene una forma a me più consona ma ogni dottrina ha le sue costrizioni, le sue sane filosofie e i suoi principi, c’è una cosa però che non capisco e poco accetto della Religione Cattolica ed è quella che definisce i Cristiani come Peccatori. Prima di tutto sei un Peccatore, nato attraverso sofferenza dopo il Peccato Originale. Lo trovo un termine distruttivo -.

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Capendo il senso che il mio amico dava a quelle parole non potei dargli torto e ho voluto utilizzare questa sua riflessione come introduzione di questo articolo. Non sono qui oggi a parlare di una religione piuttosto che un’altra ma, diciamolo, questa parola fa nascere un profondo stato di malessere, un senso di colpa e un giudicarsi negativamente. Quello che credo però è che ci sia stata una traduzione sbagliata verso di essa.

Quando, chi esercita il Cattolicesimo, prega e dice frasi come – abbi pietà di me peccatore – s’immagina inconsciamente di aver combinato qualcosa di brutto e offensivo nei confronti del Dio al quale rivolge la sua preghiera.

Se posso permettermi, l’unico peccato che abbiamo commesso è stato quello di allontanarci dal senso cosmico dell’Uno. Uno come Universo. Universo (Universus) come Univertere*  – essere rivolti all’Uno – cioè a Dio (questo Dio) che non dev’essere per forza Buddha, o un animale, o un vecchietto con la barba bianca, o un talismano. Può anche essere, “semplicemente”, il Tutto. E per giunta e soprattutto anche noi stessi.

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Inquinati probabilmente dal preferire la forma piuttosto che il contenuto, l’aspetto estetico piuttosto che la spiritualità, il soldo piuttosto che la ricchezza d’animo, la tranquillità piuttosto che il coraggio e via discorrendo, è come se, col passare degli anni, ci fossimo allontanati dal disegno cosmico che ci era stato regalato. Noi siamo Figli di Dio (Universo – ossia composti dalle stesse sue molecole) ma, questa visione, sembra appartenere solo ad un concetto prettamente Cattolico o comunque Religioso quando, a mio avviso, la forma più completa e unica di religione dovrebbe chiamarsi semplicemente Amore.

Il peccatore dunque è colui che si è allontanato da questo Dio, colui che ha, in pratica, mutato la sua vera natura, vale a dire quella di essere vivente perfetto e libero.

E’ diverso dal pensare di aver mancato di rispetto a quello che consideriamo nostro Giudice e nostro Mentore. Al massimo abbiamo mancato di rispetto a noi stessi, offendendo sì il potente miracolo che ci ha creato, che se potesse parlare ne direbbe di ogni, ma non dice nulla in realtà, perché fondamentalmente non giudica.

Il termine peccatore si è poi fatto strada nella comunità trovando diverse postazioni a lui congeniali: se fai del male a qualcuno sei un peccatore, se non paghi le tasse sei un peccatore, se tradisci sei un peccatore, se invidi altri sei un peccatore, se non frequenti il Tempio del tuo Dio sei un peccatore, ma mai è stato considerato peccatore colui che ha fatto del male a se stesso. Colui che non si è rispettato e considerato parte integrante del Cosmo. Colui che per la felicità di altri si è rovinato la propria vita. Lui non è un peccatore, è un Santo. Il martire che cammina a testa bassa e tanto piace, soprattutto a chi preferisce mantenerci nell’ignoranza piuttosto che nella saggezza in modo da governarci al meglio.

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Ma l’Universo non vuole questo. Non ci ha messo al mondo per sacrificarci. Non ha bisogno di sacrificare nessuno. Se sei figlio di Dio (Universo) sei Dio. Dio non può provare ansia perché convinto che altri bisogni arrivino prima dei suoi. Dio non può deprimersi per il giudizio altrui. Dio non può nemmeno peccare. E allora perché si diventa peccatori? Perché non ci siamo più riconosciuti come Dio. E non uso il termine Dei perché non lo trovo appropriato, userei Dii potessi. Mi piace di più.

Tu sei un peccatore, pur non avendo mai commesso peccato. Gran parte della “Parola del Signore”, così la chiamo per essere compresa, è stata mal tradotta. Ovunque, persino dai Sacri Libri. Il suo senso però non è sbagliato. Il germoglio che l’ha fatta nascere è esatto. Coloro che l’hanno concepita in realtà dicevano cose – buone e giuste -. L’importante è capirlo.

Old Book. Selective focus

Se proprio abbisogna addossarsi un senso di colpa che sia nei nostri confronti. Ma il senso di colpa è la sensazione più maligna che può vivere in noi, perché nutrirla? Perché istillarla quotidianamente dentro al nostro inconscio?

– Ah! Padre (Dio mio)! Perché mi hai abbandonato? -. No, non ti ha abbandonato, sei Tu che hai lasciato Lui. Ma di Lui fai parte e puoi tornare quando vuoi tra le Sue braccia.

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Studiare, istruirsi, o anche solo seguire quello che ci suggerisce il cuore, in questi casi, penso sia la cosa migliore. Provare a far davvero nostra quella – Parola del Signore – che tanto recitiamo a memoria credendo che il suo significato sia solo quello che appare. Andare a fondo. Aver voglia di tradurre certi testi considerando il loro significato più intrinseco senza accontentarsi di chi la interpreta al posto nostro.

Un significato che, in verità, reca gioia, entusiasmo, benessere. L’esatto contrario di quello che abbiamo percepito finora.

Prosit!

*termine citato da Luigi Castaldi e Salvatore Brizzi i quali espongono come il nome “Università” si dichiara – Universo del Sapere –

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