La donna dei morti

“Ermesyn era una giovane donna dai lunghi capelli corvini e la carnagione chiara. La sua corporatura era così sottile e leggera da apparire eterea nascosta dai lunghi abiti che indossava. Trascorreva la sua vita abitando una piccola casa nel bosco, nutrendosi dei doni che la natura le concedeva e aiutando la gente del villaggio vicino in diverse mansioni.

Era buona, socievole, dolce ma, soprattutto, una bizzarra qualità la rendeva unica. Ermesyn avvolgeva con la sua pura compassione le anime dei morti.

Quando uno Spirito decideva di abbandonare quel corpo, utilizzato ormai da diverso tempo, e di prepararsi per una nuova vita terrena, anche l’anima di quell’essere doveva staccarsi da quella parte fisica per congiungersi alla prossima. Vagando nell’energia cosmica, in un primo momento, senza più una parte materiale con la quale coagularsi, l’anima attendeva la reincarnazione del Sé. Nel frattempo, volteggiando adagio accanto alla Fonte, attraverso un movimento vibrazionale delle grandi forze energetiche, poteva percepire in quali nuove missioni avrebbe dovuto aiutare il prossimo corpo. Quali demoni da sconfiggere, quale materialità ricondurre nell’Universo, quali prove da superare.

Era in quel mentre senza tempo che, Ermesyn, vibrando in totale armonia con essa, si trasformava per lei in una carezza d’amore.

Nel suo silenzio, la ragazza, pregava affinché nulla turbasse il cammino di quella scintilla di Dio. La sua preghiera era un decreto e non un bisogno. Ermesyn non chiedeva nulla, semplicemente parlava, accogliendo e accompagnando il dovere di quell’anima. Attraverso la delicata luce di una candela che accendeva appositamente, illuminava quel percorso e quello stato di apparente destabilizzazione, e con la sua generosa dolcezza, rendeva quell’angolo della Fonte un luogo sicuro dove riposare serenamente.

Come un Caronte, che però conduce al vero paradiso, Ermesyn, come una soffice coperta custodiva il travaglio del vagare rendendolo lieto. La sua pietà gentile nutriva d’amore il momento e il suo sorriso confermava la retta via. Regalava accompagnamento e la solitudine veniva distrutta.

Le sue onde vibrazionali erano così potenti che i corpi dei defunti apparivano come più belli e meno sofferenti e la gente tutta, che piangeva il caro scomparso, percepiva una sorta di sollievo nel cuore.

Per tre giorni e tre notti il lavoro di Ermesyn era questo. Un compito scelto che iniziava in modo potente  e persistente per svanire man mano che le ore passavano. Conclusa la notte del terzo giorno l’anima era più pacata e pronta ad avviarsi là, dove la Grande Madre la stava aspettando.

Vola serena, avvolta dalla mia protezione, verso i sacri corpi celesti! – diceva la ragazza.

Sapeva che nel suo volteggiare, quell’anima, avrebbe acquisito le qualità dell’atmosfera che le sarebbero servite per l’esistenza terrena futura. Qualità che potevano rivelarsi, nel mondo della materia, caratteristiche positive o negative con le quali il nuovo corpo avrebbe dovuto affrontare la vita trovando il divino equilibrio e riconoscendosi sempre di più nel suo Sé Superior.

Le braccia di Ermesyn si levavano al cielo, le sue mani erano aperte e le dita affusolate conducevano alla totale libertà. – Procedi anima! Abbandona ogni paura e ogni emozione deleteria. Corri tra le braccia della Sorgente dalla quale sei nata e preparati per il tuo nuovo ciclo. Non temere nulla, io sono qui con te -. La giovane donna sapeva bene che tutto le apparteneva. Tutto. Come quell’anima. E si faceva carico del fatto che tutto andasse per il meglio come il curare una delle sue tante cellule.

E l’anima andava. Nulla poteva eliminarle prove e sacrifici ma l’amore di Ermesyn era con lei”.

Questa è la favola della donna che coccola le anime di chi lascia questo mondo. È la storia di una Maga. È la storia di chi sa di essere Mago e tutto accoglie e niente abbandona.

Perché io sono. Ora stai calmo e ascolta: io sono Dio – (Conte di Saint-Germain).

Prosit!

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E ho ricevuto coccole nonostante tutto

RISVEGLI FUMOSI

Quella mattina mi svegliai incazzata. Ero nervosa e di cattivo umore. Non chiedetemi il perché. Presumibilmente, durante la notte, due miei neuroni litigarono di brutto tra loro andando a tirare fuori tracce mnestiche arcaiche non rimosse che ora facevano capolino nella mia mente e una parte di me non le apprezzava.

Mi alzai e andai a prepararmi il caffè. Nell’aspettare che la caffettiera svolgesse il suo ruolo andai in bagno a lavarmi. Mi accorsi che l’acqua calda non c’era e dovetti lavarmi con della neve sciolta che scendeva dal rubinetto. A causa delle imprecazioni contro la caldaia e il mio perder tempo alla ricerca di un tepore inesistente, il caffè fuoriuscì rovesciandosi sul piano di cottura ed emanando un disgustoso odore di bruciato. Odio il caffè tostato e odio non poter bere un buon caffè di prima mattina. La parola “odio” è pronunciata in stile Puffo Brontolone… ve lo ricordate? – Io odio quello… io odio questo… -.

Era il minimo che potesse capitarmi visto l’umore e le frequenze negative che stavo emanando. Lo sapevo. Mi complimentai tra me e me – Meg, lo sai che se continui così oggi sarà una bellissima giornata di merda vero??? -. Sì, lo sapevo, ma proprio non riuscivo a farci nulla. Mi sentivo addosso un’incazzatura incredibile. Come una seconda pelle.

ACCETTAR! MARSH!

Non mi rimaneva altro che accettare quella situazione con più gioia possibile (assai ostico) senza voler per forza cambiare gli eventi. Lo sforzo avrebbe reso tutto ancora più difficile e il risultato non sarebbe stato sincero. La resistenza, a quello stato d’animo, sarebbe stata deleteria. E’ l’attrito che ci condanna.

Pertanto pensai – Oggi è così. Sono arrabbiata. Bene, ok, oggi sono arrabbiata. Sono in possesso dell’emozione Rabbia. Lo accetto. È anche lei mia figlia come tutte le altre emozioni. Ci saranno giornate migliori -.

Detto questo, senza migliorare la situazione, uscii di casa per dirigermi al lavoro ma decisi di fermarmi prima in una pescheria che si trova a metà strada tra casa mia e la mia meta. Non vi dico il viaggio in auto. Fu disastroso. Impediti ovunque, coda, gente che si buttava in mezzo alla strada distrattamente o credendosi padrona del mondo, gente che imprecava. La realtà esterna stava manifestando perfettamente il mio stato d’animo, la mia collera, la mia stizza. Il nervoso saliva sempre di più e accettai anche quello. Cercai di viverlo e di lasciarlo sfociare consapevole che era come un bambino che pestava i piedi. Vivevo quel presente provando ad amarlo e solo dopo mi catapultai nel futuro immaginando il domani come un giorno sereno e felice.

QUANTI ETTI D’AMORE LE FACCIO?

Arrivai al negozio davanti al quale, ovviamente, non trovai parcheggio. Dovetti andare a mettere l’auto a Puttemburgo rischiando una multa che quasi sicuramente era già sul mio parabrezza. Nel correre verso la pescheria inciampai realizzando una delle mie solite figure ammalianti per i passanti e iniziò anche a piovere.

Che giornata “meravigliosa”! Ma che cavolo è successo nella mia testa stanotte? La terza guerra mondiale???

Entrai in pescheria mascherando l’ira che mi pervadeva e quando vidi che l’unica specie di pesce che volevo non c’era avrei voluto picchiare la pescivendola (vabbè… scherzo!).

Incarognita come pochi e con un tono per nulla educato (nel bene e nel male non riesco a fingere o trattenermi soprattutto in quello stato) chiesi – Acciughe non ne ha?

La pescivendola, una donna sulla cinquantina, mi rispose con un tono dolce e cordiale che mi destabilizzò – Certo che le ho! Le chiedo scusa ma sono appena arrivate e non sono ancora riuscita a metterle in esposizione -.

Quella signora stava chiedendo scusa a me per non essere riuscita a mettere a posto tutto il pesce. Mi sentii una merdaccia ma ciò non bastò a farmi cambiare tono. Ero colpita dal suo modo di fare gentile e non mi soffermai sulla mia intonazione che uscì uguale a quella di prima – Me ne dia un chilo per favore – proferii piatta.

Subito! – rispose lei e, colmo dei colmi, mi sorrise. Io invece mi sarei presa a schiaffi da sola. Non mi sopporto quando sono così, anche se faccio di tutto per accettarmi. Quel suo sorriso mi fece sprofondare sotto alle piastrelle umide. Mi vergognavo di me stessa e del mio comportamento davanti a quella persona che era l’emblema della gentilezza. Parlai a me stessa immediatamente “Meg? Adesso basta! Vedi di cambiare maniere perché così non va bene per niente!“.

VA TUTTO BENE

La signora tornò dal retro sbucando da una tenda plastificata color verde smeraldo e arricchita di campanellini. “Dlin dlin dlin!” fece al suo passare. Campanelle! Le mie eggregore dell’amore si stavano facendo sentire. Ero circondata dalle mie energie buone (normalmente la gente le chiama “angeli“). Una metaforica doccia fredda mi fece trasalire. Respirai e guardai la donna che mi sorrise ancora e mi chiese – Gliele pulisco? -.

No no no… la ringrazio, faccio io non si disturbi – ora il mio tono era decisamente diverso. Non meritavo tanta reverenza.

Desideravi altro? – mi diede del “tu” all’improvviso. Per farmi perdonare avrei voluto comprare tutta la sua merce.

Sì grazie. Tre tranci di spada, grazie – “grazie”. Come a volermi far perdonare, quel “grazie”, lo dissi più volte. Sembravo un’ebete.

Pagai e uscii. Un’anziana coppia stava guardando la vetrina indecisa se mangiare pesce quel giorno o che altro. Esclamai in modo che i due mi sentissero – Oh! Finalmente del bel pesce fresco come non si vedeva da tempo! -. Ovviamente, i due, entrarono a comprare mossi dalla mia frase e dalla mia energia. Era il mio modo per ripagare la pescivendola.

Quando salii in macchina ero diversa. La pioggia che mi bagnò durante il ritorno non la sentii nemmeno. Qualcosa di nuovo stava crescendo dentro di me. Un nuovo stato d’animo, più leggero e gioioso, stava prendendo il posto di quello precedente. Non ero felice del tutto ma non importava, il cambiamento era tangibile. Che bellezza! Era come respirare meglio. Una pace bellissima ora mi cullava e mi sentivo come una farfalla. “Grazie signora” pensai dentro di me. Le sue frequenze mi avevano aiutata e “curata”. Erano state terapeutiche. Grazie a lei, la mia giornata si sarebbe migliorata perché adesso anch’io emanavo vibrazioni differenti.

COSA OCCORRE TENERE DA CONTO:

Cosa è accaduto? Come dico sempre, quando si emanano frequenze negative si riceve negatività ma, quel giorno, in quel momento della mia vita, dopo tempo passato a vivere in un certo modo (come potete leggere ogni giorno su questo blog) io avevo dentro di me parecchi mezzi che hanno evitato questo.

1 – dentro di me, nonostante quel brutto risveglio, vivevano onde vibrazionali positive in quanto le coltivo e le nutro ogni giorno. Questo fa sì che, non può una sola giornata rovinare il lavoro di tutti gli altri giorni, mesi, anni passati. Le frequenze negative di quella mattina erano solo una goccia a confronto dell’oceano di positività che mantenevo e mandavo solitamente.

2 – Non feci attrito cercando di accettare quella giornata, me stessa e quelle mie sensazioni.

3 – È l’impegno del cammino a ripagare non il risultato dell’arrivo. La caffettiera, la caldaia, la pioggia, la gente in macchina, mi avevano “fatto torto” ma la pescivendola mi diede il premio che comunque meritavo visto quello che da tempo coltivavo.

4 – I campanelli, o chi per essi, mi hanno detto che non dovevo essere arrabbiata perché c’erano loro con me; che tutto stava andando per il meglio e non dovevo preoccuparmi.

5 – La gentilezza della donna stava rispecchiando la mia dolcezza soffocata quel giorno dalla rabbia e così io potei vederla. Vedendola l’ho potuta afferrare, aggrapparmi a lei come se fosse un aiuto. Mentre una mia figlia (rabbia) quella mattina, stava facendo i capricci, l’altra mia figlia (dolcezza) mi stava dicendo – Non preoccuparti mamma, ci sono io, sono qui, guardami. Penserò io a mia sorella Rabbia e anche a te -. Meno male che Dolcezza l’avevo fatta crescere forte e robusta!

Se si vive coltivando certe emozioni e sviluppando certe frequenze si arriva ad un livello in cui la negatività non ha più potere perché è nettamente inferiore rispetto alla positività. Non dico che non possano accadere più brutti eventi ma, nel nostro quotidiano, c’è più serenità. Avete presente quelle persone che ogni giorno, dovunque vanno, incontrano difficoltà, o maleducazione, o nessun aiuto, o mancanza di rispetto? Quelle che ogni volta che tornano a casa hanno un episodio spiacevole da raccontare? Quelle che gliene succede sempre una? Bene. Per evitare questo tipo di esistenza occorre dar da bere alle piante giuste dentro di noi, facendole crescere più grandi delle altre. E sarà davvero soddisfacente.

Prosit!

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Orecchie a sventola: io dono ma tu guardami

OLTRE LE VALUTAZIONI

Sono parecchie le persone, bambini compresi, con le orecchie a sventola. Una caratteristica che dice tanto di una persona e che racchiude, in sé, indizi di ricchezza. Personalmente la trovo una caratteristica che sa di tenerezza ma questo è un gusto che appartiene a me e non ha nulla a che vedere con l’articolo. La società, però, ha deciso di giudicare negativamente questa qualità e molti decidono quindi di intervenire chirurgicamente per ottenere i canoni che la nostra cultura vuole.

Chi ha le orecchie a sventola è destinato ad essere preso in giro, considerato ridicolo, bruttino e disarmonico, laddove si osserva solo la confezione e non si riesce ad osservare un corpo come un traduttore di messaggi importanti. Capelli e cappelli diventano quindi i migliori amici per nascondere quello che viene considerato un – difetto – peraltro molto evidente e, si soffoca così, inconsciamente, anche una natura splendida.

Premetto che la fisiognomica non può essere presa singolarmente. Un viso lo si deve guardare nel suo insieme ma si può comunque provare a dare nozioni inerenti ad un carattere fisiognomico molto accentuato.

UN ESSERE PIENO DI VIRTU’

Detto questo, e tornando al discorso della splendida natura chiusa in quelle orecchie, “sgradevoli alla vista” della maggior parte delle persone, bisogna proprio ammettere che chi ha le orecchie a sventola è un individuo ricco di virtù.

La sua più grande dote è quella della generosità, anche se purtroppo può essere difficile da vedere il suo altruismo a causa della riservatezza nella quale questa persona viene obbligata poi a cadere, per non essere additata. È generosa e si interessa del bisogno degli altri.

La forma delle sue orecchie serve a trasformare queste parti del corpo in vere e proprie antenne, perché è interessata a capire se qualcuno può aver bisogno, per poterlo così aiutare velocemente. Cerca di captare se ci può essere necessità di un suo intervento, negli eventi della vita che le scorrono attorno, e prestare così il suo operato.

Queste “antenne”, però, hanno anche il compito di avvisarla in caso di pericolo. Le persone che hanno le orecchie a sventola sono sensibili e quindi si sentono facilmente attaccabili e vulnerabili. Non hanno una forte corazza, non vogliono o non vorrebbero averla, visto che il loro intento è quello di unirsi agli altri ma, rendendosi conto di essere quindi più attaccabili, hanno bisogno di sentire un eventuale pericolo arrivare da lontano. Come se le orecchie, per loro, fossero un radar.

UN CARATTERE E UN CORPO

Per questo, io personalmente, sono contraria alla chirurgia in questo tema. Il corpo e la psiche sono un tutt’uno. Se si ha un determinato temperamento, o carattere, è anche giusto avere gli strumenti di difesa e di allerta più adatti. Ognuno nasce perfetto con un corpo adatto all’evoluzione che la sua anima deve compiere.

Si parla quindi di persone timorose che vivono nella paura di essere traditi, di ricevere del male ma, nonostante tutto, propensi ad avvicinarsi al prossimo e accoglierlo.

A me, tutto questo, sembra un nobile atteggiamento e per il soggetto in questione è sicuramente un’evoluzione che deve compiere nella sua vita attraverso la consapevolezza.

Costui è anche un soggetto ben poco aggressivo ma ha un grande bisogno di essere visto. Bisogno di essere riconosciuto. Bisogno di valere, di essere amato, in pratica, per quello che è.

Un difetto? A volte può sembrare un saputello. Deve pur celarsi dietro a qualcosa, scegliendo sovente l’istruzione come arma per incantare o zittire l’”avversario”.

SIAMO ESSERI LIBERI

Ama smisuratamente la libertà propria e degli altri. Difficilmente giudica e, spesso, può ambire così tanto al suo essere libero da sembrare irresponsabile e superficiale. Occorre poi anche vedere come il contesto familiare o sociale lo hanno educato, plasmato, modellato, ma la sua natura è questa descritta. Non capisce infatti come sia possibile che, molte persone, siano attaccate al giudizio negativo delle sue orecchie anziché vivere facendosi i cavoli propri.

È assai difficile andare contro il giudizio degli altri e sentirsi superiori per come si è ma penso sia utile insegnare ad un figlio ad essere forte e rimanere se stesso prima di acconsentire debolmente alla modificazione di una parte del corpo. Gli amici dovrebbero ritenersi fortunati nell’avere al proprio fianco quello che nominano “Dumbo”, perché hanno un tesoro che difficilmente li abbandonerà nella vita. E poi, Dumbo, era o non era dolcissimo? Ci sono le eccezioni naturalmente. Ho conosciuto gente con le orecchie a sventola antipatiche a dismisura.

Non vergognarti delle tue orecchie, sfoderale come se fossero le ali di una farfalla. E, se ti deridono dicendoti che spicchi il volo, rispondi che tutti dovremmo spiccare il volo anziché stare attanagliati a questa realtà come schiavi debosciati, e tu puoi farlo più facilmente.

Prosit!

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Il Tarlo e la bellezza del Contrario

PUNTI DI VISTA

Fino a qualche tempo fa cercavo di evitare i discorsi che andavano verso una strada differente dalla mia. Non per presunzione o supponenza, o voglia di avere sempre ragione, lo giuro. Semplicemente avevo paura del confronto. Mi spaventava, mi destabilizzava, non mi trovava pronta. Mai. Non avevo i mezzi per reggere la mia tesi, o meglio… li avevo eccome, ma nascosti da un mucchio di paura che non mi permetteva di vederli e di usarli. Era invalidante.

Chi mi conosce sa quanto scrivo, quante cose ho da scrivere o da dire e mi tarpavo le ali da sola, evitando di esporre alcuni concetti che mi avrebbero portato punti di vista diversi dai miei.

Che poi, i punti di vista diversi, sono così belli! Conosci nuovi mondi, hai l’opportunità di crescere, impari a dare diverse risposte al prossimo giro e impari anche a saper valutare in modo più olistico. Impari ad avere ancora più ragione su alcuni aspetti o capisci, in altri, quanto male puoi fare agli altri… o quanto bene!

Ma… nulla. Nulla di tutto questo poteva appartenermi perché io, il confronto, lo evitavo a priori. Se poi, chi avevo davanti, si rivelava una persona arrogante e boriosa, per me era ancora peggio! Dovevo “combattere” tenendo conto pure di quella strana forma di aggressività altrui.

Non mi stavo accorgendo però che, tutto questo, nel mio inconscio, stava allevando un tarlo. Un tarlo già esistente e che ora pranzava ogni giorno, di nascosto, diventando sempre più pasciuto e risoluto. Era il tarlo della svalutazione.

IL MANGIAPOLPA

Era il tarlo del: non riesco a… ho paura… e se poi?… non valgo… non ce la faccio… etc…

La cosa bella fu che lo vidi. Per questo promuovo sempre l’autosservazione. È un’arma meravigliosa che abbiamo “tra le mani”… anzi no, nel cuore.

Vedendolo, e vedendo che rosicchiava ogni giorno di più, sempre più bramoso di me, decisi di dichiarargli guerra, una guerra priva d’odio (come potevo avercela con un “figlio” creato da me?) ma determinata e allo scopo di liberarmi.

Iniziai piano piano, incerta, muovendo piccoli passi come a camminare sulle uova. Provai il primo tentativo. Parlare apertamente di un argomento. Un tema assai banale che ora non ricordo, ma ricordo che aveva molti punti di forza a mio vantaggio. La prima volta dovevo – vincere facile -. Il più sta nel proseguire più avanti, e mettersi in gioco calibrando le difficoltà, cercando di ascendere.

Andò ovviamente benissimo e questo mi diede la forza di provare un secondo giro di giostra appena più difficile del primo. Ricordo il brividino nello stomaco. Il tarlo probabilmente si stava sfregando le zampe, pronto a cibarsi, ma non glielo permisi e rimase a bocca asciutta. Con la terza e la quarta prova superata, l’insetto iniziò ad avere fame e si stava innervosendo non trovando più la pappa alla quale era abituato. Quello era il momento del “o molli, o prosegui verso il colpo di grazia”.

Sì, perché la sua fame inizia a intimorirti. Inizi a vedere lo spessore della cosa e quella cosa diventa sempre più ostica.

A VOLTE, MEGLIO BOIA CHE GIUDICE

Decisi di scegliere la via del colpo di grazia. Lo feci postando su un social una riflessione che andava contro un cliché e canoni sociali verso i quali, molti burattini (senza offesa), si muovono. Desideravo far vedere il mio punto di vista e avevo l’ambizione di trasformare quelle marionette in esseri umani pensanti, roba che Collodi mi fa un baffo!

Il tarlo iniziò ad agitarsi esageratamente. Pungeva con le sue piccole zanne ricurve alla ricerca di pezzi di cibo. Scalpitava, correva veloce sbattendo le sue zampe contro il mio cervello. Mi sembrava di essere in un’altra dimensione. So che per alcuni di voi tutto questo può sembrare esagerato ma per certe persone, forse anche traumatizzate dal non poter dire la propria versione, esagerato non è.

Ascoltai il tarlo e mi centrai. Cercai di separarlo da me. Di separare me stessa dal mio corpo, dalla mia mente e, per qualche minuto, non lo sentii più. Silenzio. Il tempo di recuperare le energie. Mi ci volle poco a godere di ottimi risultati che arrivarono subito. C’erano persone che la pensavano come me! Che bellezza! Ma… ma allora non era proprio tutto sciocco quello che dicevo! Ma… ma allora potevo dirlo!

Sì, ok, potevo anche trovare chi era contrario ma se in gran numero mi davano ragione potevo affrontare bene chi era contro di me. Stavo prendendo coraggio. Sempre di più. E se fossi stata l’unica persona a pensarla in un certo modo? Beh… che dire? Meno male no? Il mondo è bello perché é vario… Oh certo! Insomma, nel limite. Mi premeva ovviamente non offendere, non mancare di rispetto, non fare male e anche non impedire niente a nessuno.

Fatto sta che oggi non ho problemi a dire quello che penso e a padroneggiare il mio discorso. E ne sono felice. A volte, qualcuno mi scrive “…perdonami se non sono del tutto d’accordo con quello che dici ma…“. Non devo perdonarti! È un piacere oggi confrontarmi. Sono proprio curiosa di sentire cos’hai da dire, magari imparo quel che non sapevo.

Anche perché, alla base, non ho nessun problema a chiedere scusa qualora mi facessero notare che ho scritto, o ho detto, o ho pensato una grandissima cavolata. E allora, che liberazione! Sono diventata così brava da combattere anche contro gli albagiosi ma… sinceramente non ci trovo molto gusto. Oggi, preferisco lasciar perdere, soprattutto contro quelli che, con arroganza, vogliono obbligarti a parlare. Oggi, preferisco comunque sempre la dolcezza, nonostante le doti acquisite, e sorrido ricordando quella che ero e quella che, “aggredita” dal primo spocchioso che passava, andava a zittirsi in un angolo. Oggi, il mio tarlo è morto dopo lungo digiuno. Ha provato con l’alimentazione pranica ma non c’è riuscito. Era proprio un tarlo creato da me: il mangiare prima di tutto.

Prosit!

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Il Cavagno dell’Intelligenza (per me)

SOLO L’OMBRA DI UNA GRANDE FAMA

Ho conosciuto e frequentato per diverso tempo una persona, a mio avviso, molto intelligente o per lo meno così sembrava. Era un uomo anzi… lo è ancora, ma parlerò all’imperfetto in quanto non condivido più il mio tempo con lui.

Era una persona affascinante e sempre capace di risolvere qualsiasi problematica trovando soluzioni perfette, e in breve tempo, che sollevavano l’animo di chi era in difficoltà. Astuto, lungimirante, acuto, aveva secondo me un’intelligenza fuori dal normale e, quando parlava, m’incantavo ad ascoltarlo. Sembrava un’enciclopedia vivente. Conosceva ogni cosa, di qualsiasi argomento.

Capace, per nulla stupido, appariva supponente a volte ma solo perché non aveva paura di affrontare gli altri e il loro giudizio, e questo, agli occhi della gente, lo faceva passare per uno che guardava tutti dall’alto in basso. Inoltre… non sopportava i tonti e nemmeno le decisioni tonte o i metodi tonti quindi, questo, ai tonti, non piaceva.

Con la sua parlantina e la sua abilità da gran paroliere mi rapiva e, spesso, sentendomi piccola al suo cospetto, lo innalzavo dove pochi erano arrivati nelle mie valutazioni.

M’incuriosiva stuzzicando la mia sete di sapere. Ogni mia domanda aveva una risposta. Ogni mia frase una sua quotazione. Ogni mia riflessione un suo giudizio. Mi accorsi poi, col tempo, che ogni suo giudizio però era contrario (sempre) a tutto quello che io dicevo o esprimevo. Dapprima in modo dolce, come a volermi spiegare e far crescere, poi sempre più tagliente e in opposizione tanto da farmi, col passare dei giorni, sentire una stupida. Errore mio naturalmente.

Oggi so che era solo un suo bisogno. Il bisogno di dimostrare che lui sapeva anche altro. Non gli bastava dire – Sì è vero -, lasciando soltanto a me la soddisfazione, doveva per forza far vedere che lui riusciva ad andare oltre . Era un suo bisogno/demone. Doveva dimostrare che era più che adatto (si sentiva inadeguato e non all’altezza intrinsecamente: un insicuro cronico).

SEMBRAVA UN’INTELLIGENZA INVECE ERA UN CALESSE

Iniziai a pormi delle domande e, scrutandolo più accuratamente, ebbi modo di notare che non faceva così solo con me ma anche con molti altri. Gli unici che avevano per lui ragione e che anche se dicevano enormi castronate godevano della sua stima erano persone verso le quali lui pendeva dalle loro labbra. Un’assurdità che non stava in piedi al vederlo così austero e tutto d’un pezzo, quasi granitico nei suoi discernimenti e nel suo modo di ragionare mentre conduceva la propria vita.

Riconobbi anche due caratteristiche che ben poco mi piacquero e mi fecero drizzare le antenne. A lungo andare, infatti, vidi che questa persona:

1) non mi chiedeva mai – scusa

2) non ammetteva mai di aver sbagliato

Aveva sempre ragione lui. A costo di arrampicarsi sui vetri, di offendersi, di rigirare la frittata (e chi più ne ha più ne metta) lui doveva averla vinta.

A quel punto mi ci volle poco a comprendere che, in realtà, la sua non era saggezza era saccenza. La sua non era conoscenza intrinseca ma bisogno di stupire. Ma soprattutto la sua non era intelligenza ma istruzione. Ci rimasi male ma di questo, lui, non aveva colpe. Avevo fatto tutto io, sbagliando a valutare.

Ecco, di questo vorrei parlare; della grande differenza tra intelligenza e istruzione. Un filo sottile che spesso ci trae in inganno e poi ci lascia delusi e amareggiati.

Vedete, l’intelligenza è stata studiata da molti esperti anche solo per riuscire a descriverla decodificando bene cosa fosse. Dove nasceva? Cos’era? Dov’era? Come si muoveva? È stata anche suddivisa infine in varie tipologie e questo porta a capire come un individuo possa essere dotato di un tipo di intelligenza ma non di un’altra.

PIC-NIC INTELLIGENTE

Molto semplicemente io penso che l’intelligenza sia un cavagno. Sì, un cestino. Un cestino pieno di roba. Un cestino pieno di qualità con una bella tovaglietta a quadretti bianchi e rossi a ricoprirle.

L’intelligenza è sicuramente costituita da quelle peculiarità considerate scomode dai più ma utili all’essere umano come: la furbizia, il sano egoismo, l’intolleranza, l’ostinazione, l’oculatezza e vari “saperi”. Sapersela cavare, saper valutare, saper cogliere le occasioni, saper approfittare, saper osservare, etc… ma senza la presenza di determinate virtù all’interno di un individuo, prettamente figlie dell’Amore, io non so se si può considerare Intelligente quella persona.

Sto parlando di umiltà, di gentilezza, di compassione, di bontà, di delicatezza, di leggerezza, di altruismo, di comprensione, di eleganza, di dolcezza, di tolleranza, di educazione, di pazienza, di gioia

Banalmente, io credo che una persona che non affermi mai di poter essere in torto e soprattutto pur accorgendosi di sbagliare non lo ammette non può essere considerata: Intelligente. E’ la mia personale opinione ma durante la mia esistenza penso essere questa la conclusione che ho dato al termine: Intelligente.

La persona Intelligente ha il modo. Il modo è importantissimo. E lo ha con tutti non solo con chi piace a lui a meno che non siano irrispettosi. In particolare, sa valutare bene le persone. Non considera – degno – solo chi riesce a tenerlo tra le grinfie e – non degno – chi invece a lui semplicemente non piace.

EXCUSATIO NON PETITA ACCUSATIO MANIFESTA (Chi si scusa s’accusa)

Sì, certo. Che c’è di male nell’accusarsi?

Penso che le persone che si ergono a docenti debbano prima di tutto essere intelligenti e poi istruiti. Avere quell’intelligenza, fine, che fa capire come tutti abbiano necessità di dolcezza, tutti abbiano necessità di pazienza e comprensione.

Gli esseri sono lì, di fronte a te e tu a loro puoi dare. Indiscriminatamente.

I tuoi sentimenti sono altre cose che non c’entrano in questo argomento anche se alcune Intelligenze, dal punto di vista neuroscientifico, li comprendono. Occorre essere equi. Equi  con gli altri, con se stessi e all’interno della situazione. Se tratti male il prossimo, se lo fai soffrire con i tuoi modi, se non lo consideri mai degno del tuo dispiacere (le famose scuse)… tu, per me, non sei intelligente. Puoi avere dieci lauree e mille specializzazioni ma non sei intelligente. L’Intelligenza non ti permette di fare volontariamente male per l’appagamento di un tuo bisogno. Fermi tutti, perché adesso qui si esce fuori dicendo che un serial killer può essere intelligente. E’ vero, certo che può esserlo. E allora vengo accusata di confondere l’intelligenza con la sensibilità. No. Sempre personalmente, credo che l’intelligenza comprenda anche la sensibilità. Un serial killer può essere intelligente in parte, può essere astuto, può essere calcolatore ma non intelligente in toto.

I grandi studiosi ancora oggi non sanno dare un’esatta valutazione dell’intelligenza. Si è giunti quindi a studiare che l’intelligenza può essere lo stato in cui ti adatti o reagisci ad un’eventuale situazione. Come la si affronta, come la si risolve. Una sorta di resilienza. Ma se ti offendi per una risposta ricevuta e ti preoccupi solo di mostrare te stesso la resilienza dov’è? Penso sia vero ma è come frammentare sempre l’intelligenza in qualche modo. Se invece vogliamo parlare di cavagno, e metterci dentro tutto quello che può aver a che fare con l’intelligenza, secondo me: la boria, la cattiveria, il sadismo, l’approfittarsi, la stupidità, il fastidio, la presunzione… etc… non ci stanno in questo canestro. O forse… forse sono io che frammento…

Beh… insomma… mi premeva dirvi di badare bene, di fare molta attenzione a confondere l’intelligenza con la cultura perché fa male, parecchio, scoprire poi la verità. Si perde completamente la stima di quella persona e ci si sente (anche se erroneamente) traditi e/o abbandonati. E la responsabilità, purtroppo, è solo nostra. Per questo, anche se posso sbagliare i concetti, ci tenevo ad avvisarvi.

L’intelligenza si sente, si percepisce come una carezza lieve sulla pelle. Non stuzzica la mente, ti sfiora il corpo e il cuore.

Prosit!

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Che tipo di persona sei se hai le Dita dei Piedi Unite?

Cosa significa avere le dita dei piedi unite tra loro? In termini medici significa avere una deformazione, chiamata sindattilia, che può colpire in modo grave o meno le dita delle mani e dei piedi unendole tra di loro. Comporta varie e numerose forme di anomalia ma quella di cui vorrei parlare oggi è l’unione tra il secondo e il terzo dito del piede che diverse persone hanno come vedete nell’immagine qui sotto.

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Può colpire un solo piede o entrambi e, fortunatamente, non è da considerarsi in questo caso, una deformazione grave.

Le dita protagoniste si chiamano Billuce (il secondo) e Trilluce ( il terzo) e rappresentano, in ordine, il nostro Istinto e la nostra Aggressività. Ossia il reagire senza pensare addizionato ad una forma di violenza che tutti quanti abbiamo, chi più chi meno. Una violenza in grado anche di salvarci in certe occasioni della vita e, il dito che la simboleggia, pur sembrando il più antipatico tra tutti, è invece molto utile per leggere la personalità di un essere umano.

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Quando incontro persone che mostrano questa particolare caratteristica mi pongo a loro in modo sempre gentile perché sono solitamente persone molto generose ma è bene non farle arrabbiare. Hanno, come si dice, “l’incazzatura facile” ecco.

Questo non vuol dire che siano cattive o poco piacevoli anzi, ma preferiscono imporre il loro ragionamento e gradiscono molto che venga fatto come dicono loro.

non sono arrabbiato con te..

Il Billuce, dito dell’Istinto, lavora in questo caso in stretto contatto con il Trilluce dell’Aggressività ed è facile comprendere come questa Aggressività sia appunto istintiva e poco ragionata. Si pensi che è legata addirittura ai nostri istinti primari. Prevalentemente viene mostrata attraverso occhiatacce e tono perentorio ma, con un’infinita dose di dolcezza, queste persone possono essere conquistate senza alcun problema e arriveranno persino a stimarci. Accadrà la stessa cosa anche se riusciamo a tenergli testa ma non dovremmo farlo in modo sgarbato e nemmeno da ruffiani, non lo sopportano, e non sopportano le persone mollicce senza midollo.

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Hanno bisogno di avere accanto persone meno “forti” di loro ma presenti, che ci sono e ci saranno sempre, hanno bisogno di potersi fidare. Ciecamente.

Gli sconosciuti verranno infatti osservati e studiati attentamente da loro che si trasformano in uno scanner e fanno ad ognuno una radiografia proprio per assicurarsi di potersi “aprire” senza timori. Ecco anche perchè sono tipi che giudicano parecchio chi hanno di fronte, ma hanno anche un’ala protettiva molto ampia, sotto la quale, colui che vi trova rifugio può vivere tranquillo e completamente protetto.

Sono persone viscerali che le cose non te le mandano a dire e vivono molte situazioni “di pancia”.

Possono avere diversi disturbi fisici in quanto per loro trattenersi, quando qualcosa non va come vogliono, è davvero uno sforzo e, se sono obbligati, quando questo accade, si sentono rodere dentro. Dovrebbero imparare ad accettare un po’ di più gli avvenimenti e lo dico per il loro bene.

Un loro difetto? Quello di credersi una spanna sopra agli altri ma non bisogna incolparli per questo. Sanno gestire varie situazioni e sapendo di avere determinate responsabilità in ambito familiare, o lavorativo, o nei confronti di una persona, grazie a questo loro “vanto” personale riescono a non cedere, donando a loro stessi, continuamente, la forza di andare avanti e far sì che le cose vadano sempre per il meglio.

Non passano inosservati in una compagnia anche solo per l’energia che emanano.

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Nelle persone molto Yang, pari ad un lato del corpo ma che in vari individui prevale in tutto il soggetto, le due dita corrispondono al Desiderio e sempre all’Aggressività mentre, per le persone più Yin, le caratteristiche si basano sui Sentimenti e la Creatività. C’è sempre una correlazione, tant’è che il Sentimento è nettamente più istintivo che ragionato così come il Desiderio, mentre la Creatività, seppur lavora anche con la mente, è in qualche modo collegata all’Aggressività perché creando si agisce e l’Aggressività* è una peculiarità che fa comunque agire. Non dovete pensare alla Creatività solo come forma d’arte. La Creatività è simile all’ingegno e anche, ad esempio, creare un’idonea trappola per catturare un animale (parlo dei nostri antenati) si collega ad una forma di espressione dell’estro.

La parte Yang, ossia quella destra, è la parte anche inerente alla mascolinità di ognuno di noi. Sappiamo bene che tutti gli esseri umani sono composti da una personalità maschile e una femminile, poi nella maggior parte dei casi, a seconda del sesso, una di queste prevale. Quella Yin è ovviamente quella sinistra, quella femminile. Sottolineo questo perchè, come dicevo prima, accade che questa forma di sindattilia si ha in un solo piede.

Perciò quella destra, quella del PADRE, è quella forte, perspicace, coraggiosa, legata all’azione, che sa valutare il pericolo, che sa orientarsi, più tecnica: Aggressività.

Quella sinistra, quella della MADRE, è quella sensibile, che sa organizzare, empatica, affettuosa, che ha fantasia, più filosofica: Creatività.

Le ho divise per spiegarvele ma sono ovviamente collegate l’una all’altra come ripeto.

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Dopo tutte queste parole, tali persone, potrebbero sembrare impavidi guerrieri invece sanno essere anche molto sensibili e alcuni persino titubanti non per niente cercano di nascondere questo loro difetto indossando sempre scarpe chiuse anche in estate. L’Aggressività mostrata è infatti in questi casi una forma di difesa nei confronti di un carattere invece pieno di paure e incertezze che ha timore ad affrontare la vita.

Ormai sapete che c’è sempre un equilibrio tra concreto e non e, molto spesso, quello che si dice a voce non è quello che realmente si è o si farebbe.

Sono insomma soggetti particolari, per nulla banali, d’altronde, una bella particolarità ce l’hanno in quei loro piedi e… i piedi parlano!

Ora, sapete anche che cosa vi stanno dicendo e la parola d’ordine è: rispetto.

Vogliono essere rispettati. Come dargli torto?

Prosit!

 

* da Wikipedia – Nell’etologia in generale (e nell’etologia umana in particolare) col termine Aggressività s’intende l’impulso istintuale ad aggredire animali di altre specie o della propria al fine di attentare alla loro esistenza, per cibarsene nel caso di specie predatorie carnivore, o comunque di provocare loro lesioni o danni diffusi. In altri termini, l’Aggressività è letta dagli etologi come funzionale alla soddisfazione degli obiettivi primari: mangiare e copulare. Si ha aggressività per difendere un territorio, per proteggere i propri piccoli, per organizzare la scala sociale gerarchica all’interno di un gruppo nelle specie sociali.

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