L’Insofferenza si vede sulla pelle

Sulla pelle e non solo…

L’insofferenza è provocata da quei fastidi che spesso mandiamo giù senza renderci conto del male che ci stiamo facendo.

Venite con me, oggi entreremo (letteralmente) nel mondo di questi fastidi che sopportiamo di continuo e che da qualche parte devono poi ben uscire.

Si tratta di entrare davvero in un mondo, in quanto entreremo dentro di noi, attraverso una storia vera che voglio raccontarvi.

C. e D. sono una coppia di miei amici sulla cinquantina che da quasi un anno convivono. Sono andati a convivere praticamente subito dopo essersi messi insieme. Sappiamo tutti che, all’inizio, una storia è “rosa e fiori” mentre, col tempo, può nascere qualche problemino. Problemini che, nel loro caso, si sono rivelati veri e propri drammi per il loro rapporto.

Alcuni meccanismi malsani, non aggiustati in precedenza, sono divenuti seri problemi. Tralasciando quelle che all’inizio erano piccole “pietruzze” si sono ritrovati con delle enormi montagne davanti da dover affrontare, ed era per entrambi un lavoro troppo faticoso… non sapevano nemmeno da che parte cominciare.

Ok, ma non sono qui a parlare della loro “crisi matrimoniale” bensì di eventi curiosi accaduti fuori e dentro al corpo soprattutto di C.

C. è un uomo buono, paziente, farebbe qualsiasi cosa per D. che, dal canto suo, è una donna fantastica e vuole molto bene a C. Entrambi però hanno, per così dire, problemi di – comunicazione -.

Inoltre, la pazienza di C., non è la pazienza sacra e alchemica dell’accettazione ma è una insofferenza mista a rassegnazione. Per niente sana.

C. pur di non perdere D. (demone dell’attaccamento) ha sempre sopportato la qualunque da parte della sua partner (oddio… non che lei facesse cose gravi ma magari fastidiose per l’altro, è umano, capita…) fino ad arrivare a sopportare persino le sfuriate dell’ultimo periodo che lei, totalmente incollerita da un’ira repressa (demone della rabbia) aveva deciso ora di riversare su di lui. Gli buttava addosso tutto quello che, in un anno, non gli aveva mai detto.

D., invece, dal canto suo, avrebbe preferito che C. parlasse quando qualcosa andava risolto ma non c’era verso di fargli aprir bocca a quell’uomo.

Va bene, sono cose che possono accadere in un rapporto di coppia. Tutto è bene quel che finisce bene e pare che i due abbiano ora trovato un metodo per evitare in futuro frustrazioni sciocche e parlare liberamente… che non c’è cosa più bella.

Interessante è stato vedere come a C. il corpo provò a comunicare (visto che stiamo toccando l’argomento “comunicazione”) in tutte le maniere possibili.

Dapprima iniziò a perdere parecchi capelli. Strano, non gli era mai successo. Inoltre eravamo all’inizio dell’estate, non in autunno, quando i nostri nonni dicevano “cadono le foglie, cadono le castagne e cadono anche i capelli”. Cos’era diventato? Un gatto che eliminava il sottopelo?

Poi, il suo corpo ha iniziato a riempirsi di brufoli (manifestazioni di rabbia) soprattutto nelle cosce (simbolo di potere). Le gambe rappresentano il nostro avanzare nella vita. Nello specifico, le cosce, simboleggiano il potere che abbiamo nell’andare avanti in una situazione della nostra vita.

Aveva anche prurito sparso, qua e là, soprattutto nella testa e agli arti (classica espressione di fastidio). La testa corrisponde alla Mente, la sede nella quale elaboriamo i pensieri consci o immagazziniamo quelli inconsci.

“Sarà il caldo” pensavano entrambi.

E’ vero. Il caldo di certo aumenta queste manifestazioni. La fermentazione all’interno del nostro organismo aumenta e ci possono essere sfoghi esterni. E’ molto utile controllare anche l’alimentazione.

Quando il caldo è opprimente siamo anche più deboli, meno energici e tutto fa. Ma basarsi soltanto sul caldo, peraltro in un momento così significativo ed evidente del loro rapporto, vuol dire avere una visione troppo superficiale.

Finchè iniziò ad andare di dissenteria, praticamente due o tre volte al giorno. La dissenteria, come già avevo raccontato, significa voler espellere velocemente da dentro di noi quello che mal sopportiamo.

“Sarà un virus intestinale”. Si cerca sempre un motivo esterno, raramente ci si guarda dentro.

Infine, comparvero delle bolle rosse (sempre rabbia) dei grossi ponfi sul pettorale sinistro (cuore) e sulle braccia (che indicano il modo in cui afferriamo la vita o una situazione).

“Sarò allergico a qualcosa”.

Iniziò persino a lacrimargli un occhio (un classico: la tristezza). Ovvio, a vivere così mica si può essere felici?! L’occhio sinistro per giunta! Ma che caso! Guarda che coincidenza… la parte sinistra è legata alla femminilità che chiunque possiede al suo interno, sia uomo che donna, o è correlata a qualcuno di femminile nella nostra vita: madre, compagna, figlia, collega, etc…

Non andarono dal medico perché, fondamentalmente, C. non stava male. Aveva queste manifestazioni corporee ma, tutto sommato, si sentiva bene (ovvio, non era malato). E’ anche, per sua natura, un uomo dinamico e sportivo.

Alla fine però D. mi chiamò, in verità voleva anche raccontarmi altre cose di sua figlia.

Le dissi che operare unicamente sul fisico di C. era poco utile secondo me e poi io non sono un medico. Posso dare dei consigli ma mai mi permetterei di svolgere un lavoro che non è il mio. Cosa invece le consigliai di fare e anche “presto e bene”, fu di rivedere il suo rapporto con C. dall’inizio e dall’interno.

Lei è più forte di lui e, da diversi anni, pratica filosofie in grado di aiutarla nonostante la rabbia che ha nascosto per diversi mesi in questa relazione.

C., invece, totalmente inconsapevole, solo e debole, non aveva aiuti da quel punto di vista. D. era il suo pilastro.

Feci a lei vedere la situazione attraverso i miei occhi, esterni al loro rapporto. A volte una visuale non coinvolta può essere utile e decise infatti di agire immediatamente capendo che, con un po’ di impegno, la situazione era ancora risolvibile. Anche perché non meritavano nessuno dei due di vivere in quella maniera solo per alcuni demoni che avevano dentro. In fondo, si amavano ed erano (sono) proprio carini assieme.

D. iniziò a vedere tutta la situazione da un altro lato, anzi, dall’alto, e s’impegnò a fare sia per lei che accompagnare lui. Come per magia, la loro storia, dopo qualche giorno iniziò a prendere una piega completamente diversa. C. iniziò a parlare (cosa che D. desiderava ardentemente) e lei iniziò a percepire una pace dentro che le conferiva il potere di continuare in questa missione che aveva deciso di intraprendere, per il bene della sua storia d’amore. Una pace che ha anche indebolito quella rabbia celata.

Passò una settimana e così, proprio come erano arrivati, sparirono tutti i fastidi dal corpo di C. Nessun brufolo sulla sua pelle, iniziò ad andare in bagno normalmente, i capelli non cadevano più nel lavandino e sparirono anche le bolle. Eppure le temperature erano sempre le stesse, soffocanti. Un caldo torrido non lasciava quiete alle persone. E la sua alimentazione, anche, era sempre la stessa!

Erano sereni. Ricordo che lui guardava lei ridere con aria interrogativa, come a dire “Ma è vero? Fino a ieri avesse potuto mi avrebbe mangiato vivo…!”.

Il mio consiglio è quello di non soffermarsi solo sui classici schemi mentali che abbiamo. Il caldo, il freddo, il lavoro, etc… seppur assolutamente importantissimi e da migliorare se possibile. Serve anche guardare dentro di noi. Il nostro fisico può sopportare più di quello che crediamo se è accompagnato da una buona ed equilibrata emissione di ormoni. La maggior parte di ormoni o neurotrasmettitori che le nostre ghiandole secernono sono soprattutto emessi a causa delle emozioni che proviamo.

Finchè continuiamo a dare la colpa all’esterno non potremo mai fare nulla per migliorare la nostra situazione! Se diamo solo colpa all’afa estiva, ci auto-obblighiamo a sopportare ulteriormente nell’attesa che arrivi settembre , fino a quel momento, la nostra parola d’ordine sarà: sofferenza. Siamo vittime, tronchi in balia delle onde… no! Siamo anche creatori.

Segnali dati da sfoghi cutanei, dissenteria, vomito, lacrimazione, prurito, starnuti, bruciori di stomaco… di norma indicano fastidi provati e repressi. Mal digeriti. Se si riesce a sciogliere i nodi che queste intolleranze causano dentro di noi, si sta decisamente meglio. Senza questi “grumi” tutto fluisce, così come il nostro benessere. Proviamo a lavorare sui fastidi che percepiamo. Riconosciamoli. Non soffermiamoci davanti ad un sospiro di sopportazione e via…!

La nostra natura intrinseca non accetta un semplice sospiro, vuole liberarsi da quello che la fa sentire legata. E questo vale anche per gli allergici pur essendo un discorso più ampio ma, se servisse a qualcuno, questo mio post di un po’ di tempo fa forse può tornare utile https://meginvestigatriceliminale.com/2015/04/03/guardare-le-allergie-e-le-intolleranze-da-un-altro-punto-di-vista/

Buona osservazione a chi non vuole più sopportare.

Photo: nonsprecare.it – allergologo.net – caffeina magazine – ilcorpoinmente – corriere.it – vegolosi.it – azzurro.it – pinterest

Anche nella Morte esiste la meraviglia – Grazie Mamma

IL POSTULATO DI LAVOISIER  

La morte ha tanti profili, tante facce, tanti atteggiamenti… è, di per sé una trasformazione, per chi, come me, crede che “nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma”. Che poi, non è neanche tanto un “credere” se di scienza si vuole parlare. Ho appena citato infatti un postulato di Lavoisier – la Legge della Conservazione della Massa. Sul “nulla si crea…” ci si riferisce, ovviamente, alla dimensione materiale.

La morte ha tanti profili, tante facce, tanti atteggiamenti… sta a noi decidere quale guardare. Tutti i suoi volti sono nitidi e si mostrano a noi divampando, ognuno nella sua espressione, senza chiedere permesso, come bombe infuocate. Ma, a parte il primo momento in cui restiamo inermi davanti al viso più apparente, pian piano possiamo iniziare a scorgere altri suoi lati, vederla come una figura dalle molteplici teste e guardare, negli occhi, lo sguardo per noi più rigenerante. Perché abbiamo bisogno di rigenerarci dalla morte e perché esiste rigenerazione nella morte.

ALL’IMPROVVISO

Non si può mai definire una giornata come “una giornata qualunque”. Ogni giornata è colma dei suoi avvenimenti, delle emozioni che regala, delle situazioni che ci fa vivere e non esiste un giorno uguale all’altro ma, quella sera, mi sembrava proprio una sera qualunque, come tante altre.

Non fu così. Quella sera, mia mamma, decise di abbandonare il suo percorso terreno per inoltrarsi verso altre dimensioni. Fui io a scoprire il sonno eterno del suo corpo e tutto ciò fu per me destabilizzante e traumatico all’inizio, anche perché non era malata ed era giovane.

Gli strumenti e le conoscenze che possiedo, i quali mi permettono probabilmente di soffrire meno rispetto alla maggior parte delle persone colpite da avvenimenti così tragici, non si sono manifestati nell’immediatezza e quindi, la sofferenza, i primi giorni, è stata forte. Non vedevo e non provavo altro che quello. Sofferenza. Quello che ho potuto fare di buono è stato: ACCETTARLA. Mi sono lasciata coinvolgere e abbracciare da lei totalmente.

Perdizione, destabilizzazione, malinconia, stanchezza, tristezza, angoscia, beh… penso che tu possa capire. E trovo giusto vivere il dolore fino in fondo, lasciandoci attraversare da esso, nonostante possa sembrare una lama impietosa. Poi, lentamente, si sono fatti strada tutti i miei saperi, le mie forze, le mie doti, le mie competenze… tutto quello che poteva farmi del bene.

Ho iniziato a percepire più chiaramente tutto. Quel tutto.

Nonostante la vista costantemente appannata dal ricordo quotidiano di mamma dormiente, il mio cuore si è rilassato, ho deciso di aprirlo e, grazie a questo, ho potuto “vedere”. Ho potuto vedere qualcosa di meraviglioso.

APRIRE IL CUORE

Aprire il cuore significa – abbandonarsi – permettendo a tutto di entrare e di uscire. Permettendo alla parte più profonda di noi di fluire assieme all’armonia universale, la quale regna costantemente, al di là di quello che può succedere a noi nella materia. Significa, nella completa accettazione – Sia fatta la tua volontà – e, chi mi conosce sa cosa intendo non appartenendo a nessuna religione. Sì. Accettare che la Sorgente Madre sappia meglio di noi cosa occorre fare e cosa no. Lei conosce meglio di noi il cammino di un’Anima.

Ho visto un volto della morte che mai avevo osservato, o meglio, mai così limpido. Sono rimasta di stucco quando mi sono resa conto che gli altri non lo vedevano, lasciandosi sopraffare dal dolore della mancanza di mamma. Parlo di cari amici e parenti. Non tutti ma parecchi. Per questo ho deciso di scrivere queste parole. Quando ho provato a far vedere loro, lo stesso viso che vedevo io, si sono sentiti un po’ più sereni. Era come se mamma non fosse morta invano…

Focalizzandosi su quella parte così luminosa ci si distoglieva dall’angoscia di quell’assenza.

Non è forse l’educare le sinapsi che ci rende tristi o felici? Non serve cancellare determinate arcaiche memorie. Serve affiancare a loro il lato più bello.

E’ proprio vero che nella morte c’è tanta vita…. D’altronde, è anche vero che una cosa viva non può morire.

E’ bastata una telefonata soltanto. Una sola. Poi, a domino, si è svolto tutto il resto. In men che non si dica avevo accanto tutte le persone a me più care ma ancora non sapevo che non se ne sarebbero più andate e sarebbero restate con me fino all’ultimo, fino in fondo, facendosi carico di tutto, al mio posto, e facendosi carico anche del mio dolore.

I miracoli avvenivano uno dopo l’altro. Persone che non erano in grado di friggere un uovo ora sono diventati semi cuochi e hanno scoperto che far da mangiare gli piace anche. Persone che avevano paura di guidare hanno guardato in faccia il loro demone dicendogli – Fatti da parte, Meg è più importante adesso -. Persone che sento raramente mi scrivevano o mi chiamavano di continuo, senza mai dimenticarsi di me. E stanno continuando a farlo.

Ricevere un pacco di biscotti è stato come ricevere un diamante. Perché così “mangiavo”, che altrimenti “deperivo” e non volevano. Quelle piccole e umili cose che diventano così preziose. Chi lavorava tutto il giorno e alla sera veniva da me. Si davano il cambio, come a fare dei turni. Finchè il secondo non arrivava, il primo non se ne andava. In rispettoso silenzio senza ch’io neanche me ne accorgessi.

Quando mamma la portarono via avevo chi mi teneva i capelli, chi le mani, chi era inginocchiato davanti a me col suo viso sulle mie gambe, tutti pronti a cogliermi, a dimezzarmi il male.

Persone con le quali avevo discusso e da tempo non parlavo, hanno messo via il loro orgoglio pur di farmi sentire la loro vicinanza. C’è stato chi mi ha accompagnato in montagna, per portarmi nei luoghi che più amo, pur avendo male ad un ginocchio. Chi mi ha accompagnato a svolgere le mansioni noiose e burocratiche post mortem. Chi mi ha fatto trovare il luogo di lavoro tutto in ordine, nuovo, perfetto.

Persone che neanche conoscevo mi scrivevano messaggi che non erano i classici messaggi di circostanza, erano strani… profondi, sentiti, pieni d’amore, dettati da parole meravigliose. Alcuni si sono presentati, ho conosciuto gente nuova pronta a darmi una mano, come se l’Universo mi avesse messo a disposizione Tizio che svolgeva quella determinata professione e Caio che “guarda caso” era uno storico e da tempo mi servivano informazioni su alcune mie ricerche.

Persone con le quali per strada ci salutiamo appena hanno mostrato una dolcezza infinita nei miei confronti. Altri hanno imparato a usare gli elettrodomestici di mamma pur di lasciarmi stare e fare tutto loro.

Mio padre le ha fatto la notte, nonostante fossero separati da trent’anni e il suo volto era carico di con-passione, mio figlio che non ha pianto davanti a me per non farmi tornare le lacrime…. i miei amatissimi allievi hanno fatto una colletta perché, neanche nella materia doveva pesarmi, nel caso, come spesa, la morte di mamma.

Ma riesci a vedere quanta fulgida bellezza c’è in tutto questo? Quanto amore è uscito?

OSSERVA LA BELLEZZA NON BANALE

La mia amica sempre molto timida, introversa e silenziosa, si è trasformata in una fraulein e dava disposizioni a tutto andare, ancora oggi mi dice – Ma perché non mi sono svegliata prima? E’ una figata essere così! -. Un lupo travestito d’agnello e quel lupo è uscito. Io la guardo e sorrido. Se un tempo dovevo chiederle un favore tre volte, ora è arrivata a fare cose che se mai me l’avessero detto avrei risposto – Ok, ma non contate su di lei! Non lo farà mai! -.

Io sono meno pigra, amo fare cose che prima detestavo. Mio zio vuole credere che mamma probabilmente “serviva” ad altri e non dobbiamo essere egoisti di volerla sempre con noi. Se credi che questo sia banale è perché non conosci mio zio. Quando l’ho sentito pronunciare queste parole mi son chiesta se fosse lui davvero o stavo sognando.

Chi aveva paura del Covid si è tolto la mascherina e ha mischiato le sue lacrime alle mie. In quel momento, la comunione era più forte di tutto, anche del timore, e la comunione è una delle figlie dell’Amore. La vicina di casa che non è in grado di sopportare neanche la vista di un animale ferito, figuriamoci un morto, mi ha accarezzato la schiena per tutto il tempo mentre io restavo abbarbicata a mamma.

Hanno rinunciato alle loro abitudini, ai loro mostri, ai loro schemi, alle loro fissazioni, alle loro paure…. per me. Hanno inventato, creato, eseguito cose che mai avevano fatto e l’hanno fatto per me. Hanno modificato la loro vita e oggi c’è chi non vuole tornare indietro e l’hanno fatto per me. Come si può non vedere tanta bellezza?

Mi hanno protetta, difesa, coccolata, aiutata in tutti i modi possibili, ognuno alla sua maniera. Hanno tirato fuori doti che neanche sapevano di avere, sono stati dei Guaritori eccezionali. E lo sono ancora.

E questo è il bello. Tutto ciò non è durato solo tre giorni. Questi semi sono stati nutriti e hanno germogliato e da quei germogli sono nate piante grandi, robuste, meravigliose che ora è difficile far morire. Da cosa nasce cosa e… spargendo l’Amore, questo non può che moltiplicarsi.

Sono stati la mia luce, hanno illuminato il momento più buio della mia vita e lo hanno fatto davvero, la mia non è retorica. Lo sento costante quell’abbraccio caldo che mi avvolge a tutte le ore del giorno e della notte.

Sconosciuti che mi dicevano – Ti voglio bene Meg – o addirittura – Grazie per i tuoi insegnamenti -… Insegnamenti? Non ho fatto nulla! Eppure loro hanno percepito, evidentemente, la ricchezza che ho colto io e che volevo vedessero.

Il giorno che la bara è uscita da casa gliel’ho detto. Eravamo in diversi. Anche chi non voleva esserci c’è stato. E’ stato emozionante vedere alcuni andare via, convinti di non poter resistere a quella scena, e poi invece tornare perché “dovevano” essere lì. Ho chiesto loro – Vi state rendendo conto della meraviglia che c’è in questo momento? -. Era vero. Un profondo affetto, una compassione comune ci stava unendo in un qualcosa di indescrivibile.

Mentre mamma ci salutava stava anche aprendo la porta dell’Amore e questo stava entrando con tutta la sua sana prepotenza.

IL RIUSCIRE

Mamma è riuscita dove nessun’altra situazione nella mia vita ce l’aveva fatta. E siamo riusciti a sorridere, a provare anche gioia, proprio come lei avrebbe voluto. Dovrei forse non osservare tutto questo e pensare soltanto “Ah si ok è morta” e giù a piangere? Dovrei davvero reagire in questo banale e squallido modo davanti a tutta questa ricchezza? Portare dentro di me il dolore del lutto per mesi e anni? Senza da questo far germogliare nulla di buono?

Era lì con me anche chi vive a parecchi chilometri di distanza. Il mio cellulare era infuocato. Ogni via di comunicazione (di questi tempi) disponibile era intasata: FaceBook, Messenger, Instagram, Whatsapp… qualsiasi…

Mamma mi ha lasciato il suo lavoro. Un lavoro che forse mai mi sarei decisa a proseguire. Il timore mi bloccava, l’accidia mi faceva procrastinare. Se non fosse accaduto questo, io e la mia socia saremo ancora lì a girarci i pollici piene di punti interrogativi senza mai sbocciare.

Il più bel regalo che poteva farmi me lo ha lasciato lì, da cogliere con rispetto e devozione.

Forse tutto quello che ho scritto può sembrare sciocco e ovvio ma ho voluto sottolinearlo perché molto spesso non lo si guarda e invece aiuta, devi credermi. Aiuta se lo si vive intensamente, se fai di tutto per diventare tu quella bellezza. Si pensa soltanto al malessere. Ci si lascia prendere dallo sconforto senza notare nient’altro, attendendo che il tempo faccia il suo corso e diventi taumaturgico. E’ umano, ci mancherebbe, ma io voglio pensare che la Grande Energia, dalla quale discendiamo, ci dia sempre i mezzi per affrontare ogni cosa. Il problema è che parla un’altra lingua e i suoi messaggi a noi risultano difficili da tradurre. Nulla arriva invano. Noi, con la nostra mente ristretta, ci crucciamo nel male ma non capiamo che, a volte, abbiamo tra le mani un tesoro. Un tesoro che abbiamo pagato a caro prezzo ma deve per forza valere qualcosa.

Non voglio offenderti ma finchè continuerai a considerare quello che ho scritto – roba di poco conto – purtroppo, sarà – roba di poco – conto che riceverai. Finchè non imparerai a nutrire questi semi, essi non potranno mai fiorire.

Da quel giorno si è aperta una nuova vita per me. Una ruota che continua a girare nel bene e nel benessere. Che continua a raccogliere sempre più acqua, acqua sacra, e mi rende felice.

NESSUNA MORTE E’ VANA

Mi rende felice perché ho fatto di tutto per proiettarmi nella gioia. Ho arrancato dapprima, con le unghie e con i denti. Ho cucito il cuore, mi sono scorticata ma lì volevo andare. E quel tesoro oggi lo abbraccio. Non permetterò che mamma sia andata via per il nulla, anche se solo con il corpo. Guai. Già la sento che mi urla – Cosa???!!! Ho fatto tutto ‘sto popo’ di roba e tu non vedi niente???!!! -. Proprio così. Queste sarebbero state le sue parole.

Mamma mi manca. Mi manca vederla ridere. Mi mancano le sue carezze. Mi manca il suo risolvere prontamente ogni mio problema. Mi manca prenderla in giro. Mi manca il suo odore. Il suo pigiama lo sniffo come una cocainomane, ancora oggi, a tre mesi dalla sua scomparsa. Ma per il grande amore che provo per lei la lascio andare e le prometto che sarà terra fertile per nuove bellezze. Perché le bellezze di quei giorni dovranno persistere.

Ancora oggi mi trovo a piangere con il suo ricordo in mano. Ancora oggi la malinconia a volte bussa alla mia porta. Le apro, verso due bicchieri di vino, l’ascolto e le dico che può tornare quando vuole. Perché tanto è sempre e comunque con la gioia che l’accolgo.

Mamma se n’è andata lasciandomi uno scopo. Sarà il mio obiettivo e lo porterò a termine. In quello scopo c’è il mio Talento e, il Talento, che ognuno di noi ha, è – La Parola di Dio -. Della Divinità che ci nutre.

Mamma, andandosene, mi ha insegnato che posso cavarmela da sola, che non devo dipendere da nessuno, mi ha donato il coraggio e la fiducia in me stessa. Mi ha regalato un nuovo modo di guardare le cose. Per questo e per molto altro, gliene sarò grata in eterno.

Noi esseri umani siamo belli. Dio quanto siamo belli! E non lo sappiamo, non lo crediamo, non ce ne accorgiamo ma siamo davvero divini. Voglio che questa divinità fuoriesca sempre da noi. Farò il possibile perché questo accada.

Che questa morte sia l’alba di una nuova vita. Meravigliosa.

Grazie Mamma.

Prosit.

L’Ansia riposa nell’Apparato Digerente

Prima di andare al nocciolo del discorso chiarisco che l’Ansia è data dalla Paura (che trova sede nei Reni) e porta Tristezza (che ha sede nei Polmoni) quindi, si hanno sicuramente manifestazioni anche da parte di questi organi ma c’è un intero apparato, nella quale essa riposa, si nutre e si trastulla, che è il nostro Apparato Digerente, in principal modo simboleggiato dallo Stomaco e dall’Intestino e, devo dire, anche dal Pancreas.

Dallo Stomaco, inoltre, spesso, si mostra anche sulle labbra attraverso l’Herpes Simplex.

Ma iniziamo a parlare di lei. Che cos’è l’Ansia? E’ un’emozione, figlia della Paura, che da questa nasce, piccola piccola, dentro di noi (nel nostro “mare dentro” – cioè il Ventre) e cresce fino a diventare la nostra padrona.

Naturalmente, la percepiamo poi anche nella testa, nel senso che sono i pensieri a far nascere determinate sensazioni e stati d’animo: attacchi di panico, stress, fobie, ossessioni, timori, preoccupazioni, etc… fino ad arrivare a quelli che possiamo definire “Demoni” che, a causa dell’ansia, Demone anch’essa, ci fanno diventare: avidi, lamentosi, egoisti, gelosi, possessivi, rabbiosi, nevrotici, inebetiti, etc…

Quindi, si nota chiaramente come sia uno stato emotivo che ci opprime ovunque, in tutto ciò che siamo e che governa tutto ciò che facciamo o come reagiamo.

Le cause che indicano un malfunzionamento del nostro Apparato Digerente, il quale parte dalla Bocca e finisce all’Ano, sono molteplici e comprendono ogni tipo di disturbo, dai denti/gengive – non riuscire a prendere delle decisioni (paura) alla defecazione, stitichezza o diarrea – trattenere le emozioni o espellere ciò che ci agita (paura). Più, tutto quello che ci sta in mezzo. Ma, a predominare su tutto, c’è sempre lui, uno stato d’Ansia, celato o meno, che coordina il nostro vivere.

Esso può essere molto intenso, altamente visibile anche esteriormente o più nascosto, leggero, ma comunque perenne. Quest’ultimo non sfocia in crisi o eventi eclatanti ma logora nel quotidiano, rosicchiando parti di noi come un tarlo.

Detto questo, se mi riferisco al periodo che abbiamo appena vissuto non ancora del tutto finito e che ricorderemo come il periodo del Corona Virus, mi vien da pensare che di ansia, alcuni di noi, possono averne provata tanta. Vuoi la paura nei confronti di un nemico invisibile, vuoi il convivere con persone che non stavano bene, il terrorismo psicologico, il dover lavorare nei settori che facevano di tutto per salvare vite umane… insomma, è sicuramente stato un momento della nostra vita molto stressante e potrà capitare, se non lo ha già fatto, che il nostro organismo “scarichi” questa tensione in qualche modo. Attraverso cioè un disturbo all’Apparato Digerente.

Ovviamente questo vale anche per chi si porta dietro malesseri da tempo, tuttavia, l’importante è comprendere cosa il nostro fisico sta cercando di dirci. Serbiamo in noi una sorta di agitazione. Possiamo essere compressi. Inquieti. Destabilizzati. Anche se non ce ne accorgiamo.

Siamo, e siamo stati, tutti vittime dell’apprensione, fosse anche solo per aver tentato di tranquillizzare chi era con noi, quindi, se dovesse capitarci di risentirne, nelle zone che vi ho detto, cerchiamo solo di rilassarci il più possibile provando, assolutamente, di immaginare il bello e la tranquillità intorno a noi.

Con amore, massaggiamo la nostra pancia come a coccolarla, doniamo a lei pace, come una madre farebbe con una figlia e ripetiamo a noi stessi che tutto si è sistemato, che stiamo bene. Anche se ci vediamo circondati dai problemi e anche se proviamo malessere, diciamo ugualmente queste cose e queste parole amorevoli perché, se riusciamo a convincere il cervello, poi tutto si sistema.

Non dimentichiamo che la pancia è la nostra seconda intelligenza. Lì dentro avvengono importantissimi meccanismi che hanno a che vedere con tutto il nostro Essere e, trattando bene lei, significa trattare bene noi stessi. Cullandoci, rasserenandoci e mostrandoci la vita che preferiamo.

Per circa tre mesi abbiamo permesso alla Paura di coordinare la nostra vita, adesso, meritiamo di farci amministrare dalla serenità.

Prosit!

Photo metropolitano.it – melarossa.it – tes.com – dilei.it – freepick.com – wipradio.it

Per Te o una Pianta: sbocciare non è bello, è faticosissimo

Meg, non sto bene – mi scrisse improvvisamente la mia amica in una sera come tante altre

Ok. Dimmi – le risposi

Non riesco a respirare. Ho anche mal di testa. Ansia. Palpitazioni… ma il problema è che non riesco a respirare. Ho già chiamato la Guardia Medica, la Dottoressa dice che sto bene, non ho nulla ma… non respiro come vorrei

Era ovvio che il suo “occhio di bue” fosse puntato sul respiro. Un malfunzionamento di quest’ultimo è la cosa che più spaventa. Il respiro è la vita.

Quindi? – le chiesi. Lei sapeva cosa rispondermi.

Ho bisogno del tuo aiuto. Le ho provate tutte, credimi, ma non riesco -.

Quando il panico ci assale non si riesce più a lavorare come si dovrebbe nei confronti del nostro benessere. Un aiuto esterno può risolvere la situazione ma se non avviene la richiesta non si deve e non si può operare in tal senso.

Conosco bene la persona che mi stava scrivendo, sapevo che le aveva già tentate tutte per i fatti suoi. Sapevo che ce la stava mettendo tutta ma, questa volta, quel problema, era più grosso di lei.

Ci sono io. Non preoccuparti – le dissi.

Un – Grazie – e un cuoricino furono la sua risposta.

Già dall’indomani iniziò a stare meglio ma non benissimo. Ovviamente. Ed è un bene che il tutto non passi velocemente.

Durante la Primavera, quando vediamo un albero in fiore, lo consideriamo un qualcosa di bellissimo. E lo è. Immagina un pesco fiorito. Tutto rosa. Non c’è niente di più bello. E i sakura giapponesi? Ne vogliamo parlare? Che spettacolo!

Dobbiamo comprendere, però, che quello che a noi sembra meraviglioso ed è luce per i nostri occhi, per la pianta è in realtà un momento difficilissimo e assai faticoso da vivere.

So che è difficile ma prova un attimo a togliere dalla tua mente quella bellezza e a focalizzarti solo sul processo biologico di quell’essere vivente. Dopo aver sonnecchiato in tutta tranquillità durante i mesi invernali ora deve trionfare di vita per assicurare il continuare dell’esistenza e per poter dare i suoi frutti, cioè compiere la missione per la quale è nato.

Facendo fede a tutta la sua forza e alla sua resistenza inizia così a partorire, a gettare gemme nuove. Paziente e resiliente. Per compiere questo processo ha bisogno di tutte le sostanze nutritive a disposizione e attraverso il sacrificio rigenera la vita. Microfratture si formano sui suoi rami, al di sotto della sua corteccia si formano boccioli che prima non c’erano. Questi boccioli cresceranno, si modificheranno, assumeranno un colore e un profumo, un immenso lavoro cellulare. Saranno pronti e adatti a trasformarsi in frutti in base alla loro scheda genetica e, l’albero, dopo averli fatti nascere, li deve anche mantenere sani e vitali. Uno strazio.

E che dire di un bruco che si strappa la pelle per diventare farfalla? E che deve contorcersi a lungo per uscire dalla sua crisalide? Pensi che in quel momento si stia divertendo? Sia per lui un gioco da ragazzi? Non lo è.

Ogni volta che avviene in noi una trasmutazione alchemica stiamo male. Questo non significa che ogni malessere è un mutamento alchemico. Ogni malessere è un messaggio. Ma se abbiamo lavorato su di noi per elevarci, il nostro corpo, e non solo la nostra parte psichica e spirituale, subiscono una vera e propria modifica anche a livello cellulare. Come già ti avevo spiegato, infatti, il nostro DNA cambia anche solo in base al nostro stato d’animo. A dirlo non sono io ma scienze come l’Epigenetica. Quindi puoi fidarti penso.

Siamo abituati a riconoscere un malessere come un qualcosa di negativo da sconfiggere. Non capiamo che, in alcuni casi, quello è la prova del 9 che una trasformazione è avvenuta o sta avvenendo in noi. Senza di lui significa che siamo gli stessi di prima. Nessun passo avanti!

Ti ricorderai del mio articolo sulla Tachicardia quando ti dissi che un Cuore scalpita anche per farsi sentire e perché è stanco di rimanere soffocato dal tuo non mostrarti, dalla tua pigrizia, dalla tua paura del giudizio, dal tuo non creare…

Bene, ritorniamo alla mia amica, la quale, guarda che caso, aveva compiuto un importante lavoro su di sé. Tra i vari sintomi mi ha descritto le palpitazioni.

E’ ovvio che quando si opera in modo importante su se stessi anche la mutazione sarà importante e recepita da noi come “più grave”. I sintomi sono insopportabili e ci spaventano, arrivando ad intaccare anche organi fondamentali come i Polmoni che non ci permettono di respirare come vorremmo e il Cuore che inizia a fare le bizze.

Il Cuore… questo straordinario e potente organo propulsore di linfa vitale. L’organo che unisce il nostro corpo alla nostra parte dell’anima. Il fulcro del tutt’uno. E sfido io non sentire fastidi (come noi li chiamiamo) da parte sua!

Pertanto, comprendo la preoccupazione ma una cosa buona da fare è quella di tranquillizzarsi e capire che tutto sta avvenendo per un buon motivo, il nostro organismo si sta semplicemente adattando a quella persona nuova che siamo diventati. Allora sì, si eviterà di aggravare la situazione e si potrà poi godere del bello.

Così come vediamo del bello in quei fiori o in una farfalla che prima era un bruco. In quel momento di metamorfosi però c’è sofferenza.

Dobbiamo imparare seriamente a riconoscerla e ad amarla senza dare sempre soltanto sfogo a paure e preoccupazioni che ci fanno colare a picco anziché permetterci di innalzarci.

Se per trenta o cinquanta anni hai obbligato i tuoi Polmoni o il tuo Cuore a non espandersi come dovevano, senza rendertene conto, sarà normale che ora, durante una loro più ampia espansione (finalmente) dovranno tirare i loro tessuti o modificare la loro forma. Questa non è una bazzecola. La paura, che neanche percepiamo, ma con la quale viviamo costantemente ogni giorno, tra le mille altre cose poco salutari che ci crea ci abbassa la dose di Potassio nell’organismo. Abbassandosi il livello di Potassio nel sangue, le pareti dei nostri organi si induriscono e si inaridiscono. Non hanno più quindi la loro naturale elasticità. Riuscendo a prendere la vita diversamente, emanando meno Adrenalina e lasciando il Potassio al suo giusto livello ecco che queste pareti si ammorbidiscono di nuovo e tornano elastiche.

Tu stesso, se inizi ad andare in palestra dopo anni che sei completamente fermo come un bradipo ti renderai conto che non è proprio facile ricominciare. Ti sarà capitato di sentire i dolori provocati dall’acido lattico o dai crampi.

Quello che voglio dirti è che non devi per forza farti mangiare dal terrore quando non stai bene. Prova a ragionare. Magari, senza neanche essertene reso conto, hai modificato un qualcosa nella tua vita. Una reazione ad esempio. Magari, di solito, sei una persona negativa che vede sempre il bicchiere mezzo vuoto mentre ultimamente stai rispondendo positivamente o con più sano menefreghismo alle disavventure che l’esistenza ti offre. Già questo è sufficiente per trasformare una piccola parte di te in meglio. Ma prima occorre sopportare un po’ di disturbi.

Ti auguro un po’ di sano malessere se è quello che ti porterà a stare sempre meglio.

Ah! E, ovviamente, la mia amica, dopo qualche giorno di sofferenza, ha aperto il suo cuore nei confronti di un progetto che aveva in serbo da tempo ma che non osava portare avanti. E niente… ora sta benissimo. Bene come non è mai stata.

Prosit!

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Dolore alle Scapole: cambia punto d’osservazione

PESI CONCRETI E EMOZIONALI

Le spalle e le braccia parlano solitamente di lavoro e responsabilità. Di volere un lavoro e delle responsabilità o di NON volere un lavoro e delle responsabilità.

La Scapola è un osso piatto situato nella parte alta della schiena ed è un osso adatto a sostenere i pesi.

Questi pesi possono diventare però eccessivi a lungo andare, o perché ci vengono imposti, o perché noi stessi ci sentiamo obbligati a sollevarli. In questo caso mi riferisco a chi, per paura di fare poco, fa sempre troppo o a chi per paura di non risultare utile eccede nel fare cercando di assicurarsi l’amorevolezza degli altri.

Qualsiasi sia il motivo, la nostra natura e di conseguenza il nostro corpo, prima o poi inizia a lamentarsi a causa di tutto questo lavoro (o peso da sopportare) e si ribella.

Può ribellarsi in vari modi ma il dolore alle Scapole è sicuramente il capobanda. Ovviamente come – peso da sopportare – non si intende solo un qualcosa di fisico ma anche un qualcosa a livello emozionale e, in questo caso, ci vanno di mezzo le spalle intere articolazioni comprese.

Come dicevo anche il non voler fare certe cose ma essere obbligati a farle può provocare questi dolori.

Beh, in effetti, anche nell’ultimo esempio che ho fatto tutto risuona. Se io faccio faccio e faccio solo per sentirmi utile e non venir esclusa è ovvio che, in realtà, non vorrei farlo ma mi sento obbligata a usare questo mezzo (credendo di non averne altri) per piacere agli altri. Per apparire servizievole, presente, generosa ed essere amata.

Ma al nostro corpo dei nostri Demoni non gliene frega proprio nulla. Quando a lui qualcosa non va bene si fa sentire a modo suo.

LA RIBELLIONE DEL CORPO

Il dolore alle Scapole è interessante da comprendere perché ci insegna anche a capire verso quale direzione dobbiamo guardare.

Nota bene che le Scapole si trovano alla stessa altezza del Cuore in posizione opposta come ad esserne un riflesso. Il peso che grava su di loro, grava quindi su questo fondamentale organo sede dell’amore e dell’anima.

Lamentarsi del fatto che abbiamo troppo lavoro, o troppe cose da sbrigare, non porta a nulla di buono ma se impariamo a guardare quello che già abbiamo fatto e cosa siamo riusciti ad ottenere potremmo sicuramente migliorare la nostra vita, senza più lamentarci e senza aggiungere peso inutile al peso che già portiamo e sopportiamo.

Guardare, cioè, il bicchiere mezzo pieno.

La vita non è solo sacrificio. Non devi pensare che più lavori (più fai) e più otterrai cose: soldi, affetto, stabilità.

NELLA VITA C’E’ ANCHE ALTRO

Questi schemi mentali ci appartengono perché dal dopoguerra abbiamo sempre visto i nostri nonni e i nostri genitori spaccarsi la schiena per mantenere la casa e la famiglia. Li abbiamo visti andare avanti oltre grandi dolori e grandi paure e, oggi, siamo convinti di doverli imitare.

Ma dimmi, erano davvero e totalmente felici? Se sì, ti avranno sicuramente insegnato anche a goderti la vita altrimenti potresti soffrire di male alle Scapole.

Prenditi del riposo. Riposo da tutto intendo, anche dalle emozioni. Stacca per qualche tempo la spina e permetti alle tue scapole di rilassarsi.

Quando si vive in un certo modo, che la nostra natura reputa sbagliato, si vive anche senza rendersene conto in totale tensione. Tendini, nervi, muscoli e organi sono tesi. Si consuma velocemente il potassio nel corpo e tutto, dentro di noi, si indurisce. È come se tendesse a diventare calcareo. Questo è un grave danno per il nostro fisico quindi devi cercare di rilassarti più che puoi.

La paura e l’ansia (che è figlia della paura) sono le emozioni che più induriscono i nostri tessuti e dei vasi sanguigni irrigiditi non possono svolgere bene il loro lavoro e cioè far scorrere il sangue.

Ehi! Il sangue è vita! Scorre in quasi tutto il nostro corpo e soprattutto nelle parti più importanti. Trasporta l’ossigeno ed è quindi fondamentale.

Rilassati. Cambia prospettiva e vivi serenamente.

IMPARA AD OSSERVARE CIO’ CHE GIA’ HAI FATTO

Molte persone che lavorano tante ore durante il giorno possono non avere nessun problema alle Scapole. Così come anche quelli ai quali la vita ha purtroppo regalato molti pesi da portarsi appresso.

Questo ti permette di capire che è il modo in cui tu prendi o affronti quel lavorare o quegli eventi a trasformare la tua vita e la tua salute. A far comparire ad esempio un dolore.

Attraverso il rilassamento e uno sguardo ricco di positività puoi sistemare le cose. Quindi, visto che se soffri di problemi alle Scapole sei sicuramente uno che si da sempre un gran daffare (in diversi modi) cerca di darti un gran daffare anche a migliorare questa tua esistenza e a godertela!

Il dolore alle Scapole non deriva perché “fai” ma per il motivo per il quale “fai”.

Ti sei mai reso conto che se decidi di realizzare una casa con la gioia nel cuore, non stai male neanche se lavori 24 ore su 24? Ti sei reso conto che se svolgi la tua professione con entusiasmo, stai sempre benissimo anche se lavori giorno e notte? Ti sei mai reso conto che se ti occupi emozionalmente di una persona con amore puro, non ti costa nessuna fatica e nessun malessere? Ecco, questo è il punto.

Prosit!

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Dopo i traumi, la malattia – l’Urlo dell’Anima

NON C’E’ PEGGIOR SORDO…

É normale urlare con i sordi. Urliamo verso chi non sente con la nostra parte fisica e urliamo verso il nostro corpo con la parte animica. In modo differente, ma il principio è lo stesso. Perché a volte siamo sordi anche noi, molto più di chi ha seriamente perso l’udito e, come dice un vecchio proverbio – Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire -.

Noi siamo fisico, anima e spirito. L’anima è quella parte di noi che ci comunica la volontà dello spirito ma noi non comprendiamo praticamente mai, per questo deve gridare. É il messaggero della coscienza. É sbagliato dire – Ho un’anima -. Io sono anima. Sono anche anima, non ho un anima. Ma ci sono parti di noi che non vediamo, non sentiamo, non percepiamo. Non sappiamo tutto ciò che pensa la nostra mente, non conosciamo tutto quello che vive il nostro corpo e non capiamo nulla di Sé Superiore o di anima ma tutto è collegato nel formare la splendida creazione che siamo. O, più che creazione, sarebbe meglio dire “emanazione“. Siamo un’emanzione di Dio, inteso come Energia Cosmica, una sua diffusione.

Essendo il tramite, tra l’Io Superior e ciò che crediamo essere, l’anima, come dicevo, prova a parlarci, prova a dirci cosa siamo realmente e lo fa anche quando viviamo situazioni che a noi sembrano difficili prove da superare.

Non riusciamo ad ascoltare la sua voce, ossia, non riusciamo a vedere oltre il Velo di Maya, una nebbia che abbiamo davanti agli occhi e che non ci permette di osservare e comprendere la perfezione divina anche là, dove noi vediamo solo drammi e tragedie. Ogni dramma e ogni tragedia altro non è che la rivisitazione di un trauma che ci portiamo dentro da quando siamo nati.

IL PRIMO IMPORTANTE ANNO

All’incirca durante il primo anno di vita subiamo tutti i traumi che ci porteremo poi avanti per tutta l’esistenza se non elaborati. Questo non vuol dire che durante il primo anno di vita veniamo per forza violentati o dimenticati o abbandonati o derisi come s’intende, ma significa che viviamo le basi emozionali di quelli che sono i primi gradini del trauma. Di tutti i traumi. Sì, anche forme di violenze o abbandono o derisione, in base a come noi li percepiamo.

Per capirci, se oggi soffri perché il partner ti abbandona, è perché durante il primo periodo dopo la tua nascita hai vissuto un evento che ti ha creato dentro lo spavento o l’angoscia dell’abbandono. Tale spavento o tale angoscia, non “curati”, sono aumentati sempre di più in te, formando, ad esempio, il bisogno dell’attaccamento a cose, persone, luoghi, ricordi. Tutto ciò che riesce a non farti sentire solo. Non curato, quel primo accenno di abbandono, che ai tempi ti ha visto soltanto piangere per cinque minuti, oggi è invece fonte di grande tristezza, paura, delusione, frustrazione perché è cresciuto anche lui, assieme a te, quanto te.

Di traumi ne subiamo mille e più di mille. Alcuni si coagulano in noi, altri no, in base agli eventi che viviamo e, più spiritualmente, in base al percorso che dobbiamo compiere e all’evoluzione della nostra anima. Ogni volta quindi che ci assoggettiamo, magari senza rendercene conto, ad uno di questi traumi in modo emozionale, è come se formassimo una ferita nel nostro organismo.

Ogni volta che, anziché evolvere, al fine di vivere liberi e come esseri divini e potenti, continuiamo emozionalmente a reagire allo stesso modo, creiamo un danno fisico. Fisico perché, come dicevo prima, siamo un tutt’uno. Questo danno, se continua in quel punto, un po’ come girare il coltello nella stessa piaga, diventa sempre più grande fino a divenire una malattia. Come malattia intendo ogni tipo di malessere fisico.

TRAUMA DOPO TRAUMA ARRIVA LA MALATTIA

Se abbiamo paura del giudizio degli altri e non ascoltiamo la voce dell’anima, che invece vorrebbe vivessimo senza questa spada di Damocle addosso, a lungo andare, formeremo un malessere al nostro corpo. I malesseri possono essere tanti, di vario tipo e di varia natura ma, a formarli, sono sempre le emozioni negative che proviamo. É come se avvelenassimo il nostro corpo. Dopo una certa dose di veleno, ecco che il nostro corpo inizia a risentirne e, da qui, la nascita del problema. Un dolore, un malanno, una botta, un inestetismo, una patologia… tutti sono il risultato delle emozioni che abbiamo provato perché non abbiamo ascoltato l’anima e non ci siamo fidati di lei nonostante le sue urla. La tossicità emozionale diventa fisica come un messaggio neuronale che da elettrico, per arrivare al cervello dopo aver ricevuto l’input, diventa chimico e cioè tangibile. Concreto.

Prendersela con quella malattia e con quelle urla è come prendersela con uno che sta alzando il volume della voce per farsi sentire da te che sei sordo.

Questa è la malattia. Il sintomo è un messaggio. La ripercussione sul fisico avviene perché, come ripeto, tutte le parti dalle quali siamo composti, sono collegate e comunicano tra loro.

Se imparassimo ad ascoltare l’anima, fin dai suoi primi sussurri, non dovrebbe gridare. È molto difficile ma, proprio grazie al collegamento anima-corpo, è in realtà possibile. Riuscendoci, non solo smetteremmo di soffrire fisicamente ma potremmo anche scoprire tutte le cose belle che ci attendono e afferrarle.

Prosit!

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Il Dolore – l’indesiderato messaggero degli Dei

APRITE QUELLA PORTA (tipo Leatherface)

Non lo vogliamo con noi perché ci fa provare sensazioni spiacevoli. Ci fa male. È straziante e vogliamo allontanarlo, o non vederlo, o cacciarlo via. Mi riferisco al dolore che a nessuno piace. Mi riferisco a qualsiasi dolore ma, oggi, parlo più nello specifico di quello fisico, ultimo stadio di una scalinata in discesa.

Ogni tipo di dolore, o malessere fisico, è un messaggio che occorre tradurre e se ci convincessimo di questo la nostra guarigione avverrebbe in maniera più facile.

Ci sono dolori molto forti, i quali ci sembrano più potenti di noi ma se noi volessimo potremmo vincerli. A volte però ci trovano sfiniti, depositiamo le armi e li lasciamo fare soccombendo al loro volere. Prima di giungere a questo momento, dal quale è molto difficile uscire, si può provare a considerare cosa vuole dirci. Il dolore è come un bambino e se anziché allontanarlo da noi, provassimo ad ascoltarlo, smetterebbe di pestare i piedi isterico.

Spesso il dolore bussa alla nostra porta in modo molto lieve e noi non lo sentiamo, pertanto, non gli diamo retta. Allora bussa più forte, noi andiamo a vedere chi è, ma non vogliamo aprire l’uscio della nostra casa ad un essere così maligno che sappiamo ci farà del male. Così inizia a suonare il campanello. Un suono che ci trapana le orecchie, che inizia a intimorirci ma teniamo duro anche se già siamo avvolti da paura e fastidio. Anche se già ci ha buttati nell’angoscia. Infine, sfonda la porta.

Se ci comportiamo da “sordi” ci pensa lui a farsi sentire. E si impossessa di noi. Ora è lui a comandare e sembra furioso. Se decide che dobbiamo stare immobili nel letto, ci immobilizza nel letto. Non ci sono cavoli che tengono.

LASCIAMI PARLARE

Ma allora come si può liberarsi di lui? Lui ha un compito e lo porta a termine costi quel che costi. Siamo noi, in fondo, che abbiamo deciso di non ascoltarlo fin dall’inizio. Il suo compito è quello di avvisarci e di farci sapere che stiamo sbagliando in quella/e situazione/i facendo del male al nostro bambino interiore ossia soffocando e non riconoscendo il nostro essere divini. Se, quando giunge a noi, lo lasciassimo parlare e lo lasciassimo sfogare, ascoltando tutto quello che ha da dirci e provassimo poi a mettere in pratica i suoi insegnamenti, lui poi se ne andrebbe e non tornerebbe più. Non avrebbe più niente da spiegarci dal momento che abbiamo compreso.

Ma lasciarlo parlare significa permettergli di “farsi sentire” ossia significa per noi provarlo. Provare quel dolore, sentire male, stare poco bene. È molto più comodo, invece, prendere un medicinale o farsi operare così lo si zittisce e si sta subito meglio, per lo meno finché l’indesiderato ospite non decide di tornare più forte di prima.

Da semplice febbre si trasforma in gastrite, ad esempio, e quindi noi non correliamo le due cose, pensiamo a due eventi non connessi tra loro e questo accade perché non parliamo il suo linguaggio e nemmeno vogliamo impararlo. Diamo sempre la colpa a quello che la medicina ci ha mostrato come massimi responsabili: la sfiga, l’ereditarietà, il contagio, i virus, il periodo, il condurre una vita non sana.

E il nostro infinito potere interiore dove va a finire? Sono quindi vittima e schiava di agenti esterni. Se nasco in una famiglia di diabetici sono una sfigata senza speranza. Ecco lì, risolto tutto. No… non funziona così.

NUOVI AMICI

Siamo esseri unici e irripetibili. Nonostante i geni, simili a quelli dei nostri genitori, l’ereditarietà esiste perché ci convinciamo che deve esistere. Perché ci hanno insegnato che è vera. Su questa storia dell’eredità dovrò scrivere un articolo perché, mi si perdoni, ma la considero un po’ una presa in giro. Ora torniamo al dolore, al doverlo accogliere.

Lasciagli fare ciò che vuole. Sopporta il tuo dramma se non riesci ad accettarlo ma entra dentro di lui. Mescolati con lui. Ascoltalo fino in fondo. Non ti sto dicendo che non puoi usare aiuti se soffri incredibilmente e neanche ti sto dicendo di non fare nulla per guarire ma, lui, il dolore, deve essere accolto da te come se fosse tuo figlio. Non scacciarlo via dimenticandoti di lui. Parlagli. Chiedigli cosa vuole comunicarti. Domandagli cosa puoi fare per dissolverlo. Chiedigli perdono e persona te stesso per averlo creato. Se saprai ascoltare in modo fine, lui ti parlerà e nascerà tra voi un rapporto incredibile e interessante.

Non mi crederai ma molti dolori, piano piano, si trasformano in “migliori amici”. Si schierano dalla tua parte perché ti amano e, sempre presenti, si fanno sentire dando avvertimenti che ti mettono in guardia per non cadere nella trappola nella quale sei caduto tempo prima, quando sei quasi morto dal male. Lascialo fare, digli che non vuoi mandarlo via, che non ce la fai più a sopportarlo ma che accetti, nonostante tutto, la sua presenza. Chiedigli di essere magnanimo, il dolore ti sente. Ti sente perché è tuo, sei tu, è una parte di te. E coccolalo, coccolati. Coccolati come faceva tua mamma quando eri un bambino. Chiedigli scusa, fagli capire che hai compreso e impegnati sinceramente ad apprendere quella lezione. Accetta la sua furia, urla e ricordati che tu sei più forte di lui. Sei tu che hai creato lui e non il contrario. Tu sei il genitore, l’amministratore, anche se ti sembra impossibile.

LA LINGUA SCONOSCIUTA

Traduci la sua lingua. Cosa ti sta dicendo? Che vivi imprigionato perché sei vittima del giudizio degli altri? Come ti permetti? Tu sei Dio. Dentro di te c’è l’intera energia cosmica, sei formato dagli stessi atomi che formano l’intero universo e vivi un’esistenza di cacca perché altre persone ti valutano. Permetti a loro questo? Gli dai questo potere? Dai a loro il potere di farti sentire un inetto? Ti autosvaluti perché fin da quando sei nato, in qualche modo, ti hanno passato il messaggio che vali poco. O sei invidioso? Un essere onnipotente come te invidioso di altri, un debole quindi, un micragnoso, un insufficiente. Oppure ancora vivi completamente nella paura e nelle preoccupazioni. Hai paura di tutto: dei soldi, dei sentimenti, del mostrarti, del lavoro, della malattia, dei legami… individua come un chirurgo cosa sta cercando di dirti il tuo dolore. Vuole solo aiutarti. Vuole solo suggerirti che tutto ciò nasce da delle trappole della mente. Da inganni ai quali tu dai un valore inestimabile, probabilmente, senza rendertene conto. Vuole farti capire che puoi vivere libero, libero da tutto questo e quindi in perfetta salute e in totale armonia.

Prosit!

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Quanto dura il Dolore?

DUE ANNI PER STAR MALE E DUE GIORNI PER STAR BENE

Quante volte abbiamo sofferto e abbiamo pianto. Fiumi e fiumi di lacrime accompagnate da singhiozzi e forse anche da urla.

Piangere è un bene. Un po’ del nostro demone esce fuori attraverso quelle gocce salate che sgorgano dai nostri occhi.

Il pianto della sofferenza è anche la manifestazione fisica di un dolore che abbiamo raccolto e nutrito e che ora cerchiamo, inconsciamente, di espellere. A volte può capitare che dopo un bel pianto ci si senta subito meglio, altre volte invece, nonostante quello sfogo, rimane in noi una specie di oppressione che non ci permette di vivere felici e sollevati e passiamo le giornate a chiederci “quando finirà? Quando ricomincero’ a stare bene?”.

Ogni volta che stiamo male, sia moralmente che fisicamente, pretendiamo poi di stare subito meglio. Sopportare quell’angoscia è faticoso e non accettiamo, ora, i tempi della guarigione sia essa fisica che emozionale. La guarigione ha i suoi tempi e sono sempre troppo lunghi per noi, per i nostri bisogni e per la nostra vita frenetica ma, in realtà, sono in perfetto accordo con la natura e i suoi metodi di RIPARAZIONE.

Quando capita che il fegato di qualcuno si ammala, si prega affinché quel fegato possa sistemarsi velocemente, al meglio, ma non si pensa mai che per venti lunghi anni quel fegato è stato maltrattato, forzato, sovraccaricato da abitudini non sane. Per venti lunghi anni ha subito ma, adesso, nel giro di due giorni, deve ritornare come nuovo. È impossibile e presuntuoso non trovi? E questo vale per qualsiasi tipo di malessere.

UN’AMPOLLA PER LE LACRIME

Sarà capitato anche a te, nella vita, di piangere per un’ora di fila e versare sul tuo viso grossi lacrimoni. Avresti quasi potuto riempire una piccola ampolla lo sai? Non ci vuole molto. Se tu avessi raccolto tutte quelle gocce lo avresti fatto. In una sola ora ripeto. Ora supponiamo di mettere questa ampolla, senza tappo, su un mobile a prendere aria. Quanto tempo ci impiega quel liquido a evaporare del tutto facendo ritorno all’energia cosmica? Parecchi giorni. Molti giorni. Tu hai impiegato solo sessanta minuti per crearlo ma per “distruggersi” ha bisogno di molto più tempo.

La stessa cosa vale per una ferita. A tagliarti ci metti un attimo. È una questione di pochi secondi ma, per guarire, quel taglio, impiegherà diverso tempo.

L’ampolla piena di lacrime e il taglio sulla pelle sono cose fisiche che possiamo vedere e toccare mentre non possiamo osservare allo stesso modo i nostri pensieri, o i nostri intenti, o le nostre emozioni quindi non riusciamo a vedere i meccanismi della guarigione che sono identici.

Quando si sta male per un qualcosa di emotivo non si può, purtroppo, pretendere di stare subito meglio poiché ogni cura ha bisogno del suo tempo proprio come la cicatrizzazione di una ferita o l’evaporazione di un liquido.

COMUNQUE MIGLIORA

Esiste però la possibilità di notare un leggero miglioramento ogni giorno. A volte i miglioramenti sono così lievi da risultare impercettibili e, non vedendoli, cadiamo sempre di più nell’angoscia. In una ampolla però, il giorno dopo, non ci sarà più liquido del giorno prima, in una condizione normale, così come il taglio non sarà più lungo del giorno prima, in una condizione normale.

Se quindi alla tua sofferenza non si aggiunge ulteriore sofferenza, dovresti cercare di sforzarti a vedere i piccoli progressi. Magari ora, anche se non te ne sei reso conto, respiri meglio di ieri oppure hai pianto per minor tempo, o sei riuscito a distrarti anche se solo per qualche secondo da quella che era per te una terribile ossessione.

Se riesci a porre attenzione a queste migliorie le nutri. È come se tu accendessi su di loro una luce, un occhio di bue, e loro sentendosi viste si sentono ora più importanti. Avranno pertanto voglia di crescere e ingigantirsi cosicché l’indomani saranno ancora più grandi, ancora più visibili e tu starai sempre meglio.

L’ACQUA SE LA GUARDI NON BOLLE

All’incontrario, fintanto che tu continuerai ad osservare le lacrime che ancora sono nel piccolo vasetto, è come se fermassi il tempo su quel dolore.

Hai presente il detto: “l’acqua sul fuoco, se la guardi, non bolle mai”?

Hai mai provato?

Quando sei in ritardo e devi buttare la pasta, l’acqua è come se non arrivasse mai a bollire. Quel tempo sembra lungo e infinito. Ovviamente è solo un’impressione ma il fatto é che si sta realmente in ansia, o siamo inquieti, o iniziamo a battere coi piedi come per accelerare il tempo. Ciò che è soltanto un’impressione diventa fisico e reale e, la stessa cosa, all’inverso, vale nel cercare di stare bene. E si sta bene realmente. Alla fine è proprio questo che interessa a noi. Non continuare quindi a guardare l’acqua, focalizzati su altri aspetti.

Prosit!

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La Cataratta – la Visualizzazione di un Triste Futuro

Gli Occhi sono gli organi che ci permettono di vedere e, secondo il parere della Psicosomatica, ci permettono di vedere non solo il mondo reale che ci circonda ma anche la vita stessa, immaginando, ogni secondo che passa, il nostro prossimo futuro.

Senza neanche rendercene conto, siamo spesso proiettati verso il futuro, verso quello che accadrà, che sta per succedere. Ci pre-occupiamo sovente o, semplicemente, visualizziamo quello che stiamo per fare: “oggi dovrò andare a comprare il pane perché è terminato”.

Gli Occhi quindi, non solo filtrano e proiettano nel nostro cervello le forme e i colori attorno a noi, ma ci permettono immaginazioni, spesso minacciose, per la nostra parte intrinseca.

Se io ad esempio vedo il mio partner stare poco bene e soffrire di una malattia abbastanza grave, mentre lo guardo, automaticamente e inconsciamente, immagino il mio futuro travagliato che può essere senza di lui, perché la sua patologia potrebbe portarmelo via, o mi vedo affannata nel dovermi prendere cura di lui senza altri aiuti e senza più una quotidianità tranquilla e serena.

Oppure ancora, una grande spesa che devo affrontare per i prossimi anni mi turba. Più passa il tempo e più il mio debito rimane lì, non permettendomi una vita agiata.

La Cataratta, disturbo del quale parlo in questo post, è proprio la concretizzazione di questa paura inerente al mio futuro che mi rende triste. Immaginando così l’angoscia e il tormento, posso sviluppare questo disturbo dell’Occhio che è la formazione di un velo sul cristallino il quale diminuisce la mia vista. In alcuni casi può diventare così grave da rendere la persona completamente cieca.

Il Cristallino, membrana trasparente e convessa posizionata dietro l’iride, con la funzione di lente, in pratica si opacizza e io vedo di meno, proprio come a dire “non voglio vedere, questo futuro mi spaventa, mi angoscia, non voglio guardarlo”.

Possiamo notare come proprio la maggior parte delle persone che soffrono di Cataratta sono anziane. Questo disturbo, nella maggior parte dei casi, subentra infatti ad una certa età quando si inizia a percepire il futuro in modo diverso e più preoccupante rispetto a quando si è giovani. La paura della solitudine, della malattia, della morte sono tutti timori che, più si avanza con gli anni e più prendono piede in noi, pertanto, ecco comparire il problema oculare.

Una madre che vede i figli andare via e magari ha un marito malmesso dal punto di vista della salute.

Un figlio che vede la madre prossima alla fine dei suoi giorni.

L’operaio che deve andare in pensione e si sentirà solo ed escluso da quella azienda per la quale ha lavorato una vita intera.

Occorre quindi chiedersi: – Che cosa mi spaventa del futuro da rendermi così triste? -.

E’ difficile rispondere a questa domanda perché spesso non lo sappiamo neanche noi. Sono turbamenti celati nel nostro inconscio. Vediamo la fonte della nostra preoccupazione ma non ci accorgiamo che ci sta facendo preoccupare. Lo so, sembra assurdo ma è proprio così.

Una soluzione quindi è quella di immaginare semplicemente il nostro futuro rosa. Senza catalogare ciò che ci fa male, che ci mette ansia, che ci scombussola. Sappiamo di avere questo problema e anche quest’altro e quest’altro ancora ma non consideriamoli per questo esercizio. Mettiamoli da parte. Non ci servono.

Sappiamo che esistono e questo basta e avanza. Ora dobbiamo allenarci a vedere il bello e a stare tranquilli a livello generale. E’ molto dura, me ne rendo conto, ma così facendo è possibile non permettere alla Cataratta di formarsi ed eliminiamo un ulteriore problema che affliggerebbe direttamente noi stessi. Anziché chiudere il sipario nei confronti di quella situazione dobbiamo spostare da un lato questi eventi e scegliere di guardare la nostra prossima esistenza con gioia.

Questo non significa comportarsi come dei menefreghisti davanti al dolore degli altri o davanti al nostro malessere. Significa soltanto non dare a quel dolore la possibilità di governare ed essere padrone della nostra vita, nonché dei nostri disturbi fisici. Quel malessere c’è, esiste, me ne rendo conto ma non gli permetto di rendermi sua schiava. Lo vivo, lo affronto, lo accudisco ma faccio di tutto per rimanere nelle frequenze della pace almeno il più possibile. Devo fiduciosa nel credere che una soluzione perfetta per me arriverà.

E’ ostico comportarsi così? Moltissimo. E’ un lavoro straordinario e coraggioso ma è possibile. Sarà inoltre proprio grazie a questo risultato che potremmo essere ancora più d’aiuto a chi ci sta vicino e, soprattutto a noi stessi, continuando a vivere nella centratura. Nessuno infatti sta dicendo che dovete fare i salti dalla felicità ma la centratura occorre non scordarla mai.

Rimanere centrati e padroni di sé come un Guerriero. Viviamo prove difficili ma dobbiamo cercare di affrontarle con consapevolezza agendo nel migliore dei modi.

Prosit!

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Finché Morte non vi Separi

Insieme. Per sempre. Una vita intera accanto alla stessa persona. Una vita intera senza potersi dare l’opportunità di conoscere, apprendere, insegnare, condividere, anche con altri. Quante anime, quanta ricchezza c’è in giro per il mondo ma a noi, la nostra morale condizionata da temi sociali, religiosi e culturali, ci vieta di poterne conoscere l’identità più intima. Questo articolo non nasce per fare della polemica, non è questa la mia intenzione in quanto rispetto le idee, gli usi e i costumi di chiunque, quindi, dovrò cercare di fare attenzione a quello che scrivo e a come lo scrivo evitando così di passarvi un altro messaggio rispetto al mio scopo.

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Il post vuole infatti basarsi più sul giudizio della gente che sulle nostre tradizioni. Ovvio, il giudizio è figlio di esse ma penso che una qualsiasi tipologia di “figlio” debba crescere ed evolversi. Molto spesso infatti, il motivo principale per il quale non ci si separa dalla persona che è considerata nostra/o consorte è proprio per quello che – la gente potrebbe pensare -. Si, in tanti casi c’è la progenie, in altri, un discorso economico ma spesso, alla base, c’è il giudizio degli altri soprattutto per quello che riguardava gli anni passati e soprattutto per chi, di separazioni, ne ha già vissute più di una. Ebbene, ecco, venendo al sodo, il mio umile pensiero si riferisce innanzi tutto a qualsiasi tipo di rapporto, per cui non solo tra conviventi ma anche tra colleghi, tra amici e tra parenti! Padre e figlio, cugini, fratello e sorella. Un rapporto tra due persone, tra due esseri viventi, tra due identità ben distinte, a mio parere ha e deve avere una durata. Questa durata può essere si eterna, ma può anche essere di un mese, di un anno, di dieci anni e poi basta, parlando di un periodo temporale che l’uomo ha creato. Questo accade perché a mio avviso, le unioni che nascono, nascono per regalare qualcosa. Per darci qualcosa. Per permetterci di insegnare e per permetterci di apprendere (talvolta cose incomprensibili) e, una volta svolto il loro compito, possono tranquillamente terminare. Arriverà per noi, un’altra persona ad insegnarci cose nuove e, questa persona, sarà venuta a noi perché a sua volta dovrà imparare cose che noi, per come siamo, possiamo regalarle. Un bel giro di parole. Un giro come quello della vita, della famosa “ruota” che tutti usiamo come paragone. Un giro come quello che compie sempre il nostro Pianeta. La dinamicità. Ripeto, questa persona può essere un collega, un amico, un parente.

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Vi sembra così traumatico? Ci sono relazioni che durano pochi minuti. Quella tra voi e il macellaio, nel momento in cui acquistate della carne, è una relazione. Breve. Ma è una relazione. Il litigio con lo sconosciuto che incontrate per caso è una relazione. Un collegamento che sussiste tra due determinate entità. Questi sono i termini che la descrivono. Un collegamento che può finire quindi, perché è una cosa viva e come tale ha le sue evoluzioni. Accade che si possa stare insieme una vita intera come ho già detto e questo accade perché per tutta la nostra esistenza abbiamo da dare e da prendere da lei. Soprattutto se si parla di felicità. Finchè quella persona ci rende felici e noi altrettanto verso essa. Ci da gioia e noi la diamo a lei. Ma quando questo non accade più perché martoriarsi? Frustrarsi. Violentarsi l’animo.

1001281_398512433585307_636501910_n Io e, quella che in gergo si definisce la “mia migliore amica”, ci conosciamo da 32 anni. Non solo. Devo anche ammettere che da 32 anni ci vediamo praticamente quasi tutti i giorni. Non ci siamo ancora stancate l’una dell’altra. Io ho ancora tante cose da donarle e so che lei ne ha in serbo altrettante per me! Ogni giorno è una sorpresa, un discorso nuovo, uno sguardo mai visto. Ci conosciamo come le nostre tasche eppure ancora riusciamo a stupirci vicendevolmente. E finchè tutto rimarrà così, così sarà. Finchè io “morirei senza di lei” così sarà. Finchè morte non ci separi. Succederà che lei uscirà dalla mia vita quando io, senza di lei, anziché morire, vivrò…. meglio? No. Semplicemente vivrò una nuova vita. Delle nuove esperienze. Perché additare come – facili – o peggio, donne che durante arco di pochi anni si vedono affiancate da diversi compagni? Ora, al di là di tutto, esistono persone poco disposte alla vita matrimoniale, esistono persone che non sanno amare, esistono persone che si concentrato solo sui propri bisogni e interessi, esistono persone che non sanno coltivare un rapporto nemmeno amichevole, che sono fondamentalmente sole, questo lo so bene ma, leggete tra le righe. Può essere che quella donna non abbia più avuto nulla da spartire con quella determinata figura maschile o viceversa. Può essere una donna che ha finito di dare, ha finito di prendere. E cosa fa? Non segue la morale, l’educazione che gli è stata insegnata, insegue il suo istinto, la parte viscerale di noi. Quella parte che la porta a conoscere. Ad apprendere. Stessa cosa vale ovviamente per l’uomo. Persone che ricercano. Alla continua esplorazione di un qualcosa che secondo loro non arriva. Sovente, non si riesce a leggere il messaggio. Ma quanti animali esistono in natura monogami? Pochissimi. Senza però disturbare gli animali, basta prendere come esempio, altri popoli lontani dal nostro per capire che, tutte le concezioni non sono le stesse, ma qual è quella giusta? Abbiamo davvero tutta questa presunzione per dire che la nostra è assolutamente quella esatta? Le madri. Pensate davvero che tutte le mamme del mondo siano come la nostra classica e tanto amata chioccia? Eppure è inaudito per noi non vedere la propria madre per un mese intero o non rivolgerle proprio più la parola. Non è concepibile che un figlio (adulto) e un genitore si possono detestare. Sono sangue dello stesso sangue, sono padre e figlio. E così passano gli anni. Passano gli anni assieme a persone che ci soffocano, che non ci rispettano, che ci maltrattano, ci usano, ma almeno non diamo addito alla gente di parlare. Si cerca di evadere.

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E’ un istinto di sopravvivenza più forte di qualsiasi altra emozione, mi spiace ma su questo non c’è questione che tenga. Si cerca di evadere ma lo si fa di nascosto. Al buio, di notte, lontano. Lo si fa parlando male di quella persona per trovare almeno un piccolo sfogo. Lo si fa odiandola dentro noi stessi perché almeno con il sentimento le rendiamo ciò che lei ci dona ogni momento della giornata. Così, al malessere che già viviamo quotidianamente, aggiungiamo anche emozioni e sensazioni negative che ci faranno ammalare e morire prima. Perfetto. Però almeno, la gente che avrebbe voluto mormorare alle nostre spalle, lei almeno è ancora viva e vegeta. E, nel caso del matrimonio poi, oltre alla gente, abbiamo davvero sistemato tutti perché non facciamo soffrire ne’ i nostri genitori, né i nostri figli. Impariamo a vedere le relazioni come delle lezioni. Spero solo di aver reso bene l’idea e che per voi sia…

Prosit!

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