Ecco perché l’entusiasmo è nell’andare e non nell’arrivare

Una delle mie più grandi passioni, oltre a quella di scrivere, è scoprire le bellezze della montagna. Amo l’escursionismo e amo conoscere la lingua che la montagna parla attraverso le sue manifestazioni: piante, fiori, situazioni, animali selvatici, i loro versi, mutamenti del clima e del paesaggio…

Ho sempre sentito grandi maestri spirituali pronunciare la frase – Non è importante la meta ma il cammino – e sono d’accordo con loro ma vi posso assicurare che se non si vive questa sensazione anche in modo pratico e tangibile, sentendola sulla propria pelle, non se ne percepisce la profondità.

Come percorso si intende l’elevazione della propria persona, l’avvicinamento al divino, laddove, “essere divino” significa possedere in sé la potenzialità della totale gioia anche se la mente, con i suoi schemi e i suoi inganni, tende ad impedircelo. Possedere il seme dell’Entusiasmo ( en thèos dal greco – con Dio dentro).

Questo percorso alchemico, però, lo si può paragonare anche ad un qualsiasi cammino che, fisicamente, intraprendiamo e forse ne possiamo comprendere meglio il senso.

In un percorso spirituale verso la propria illuminazione si vivono gioie e dolori ma, sopra ogni cosa, si vive tanta fatica e tanta tenacia scoprendosi a volte più forti e più determinati di quello che si credeva essere (questo è già un argomento principale che l’arrivo non regala).

Si è più propensi a dire che l’arrivo, la meta, sia il vero punto magico, quello dell’estasi, quello del riposo, quello del – Sono arrivato, ho ottenuto ciò che volevo e ora non devo fare più nulla -. Non è così. È sicuramente una tappa fondamentale, sacra e da onorare.

Ora i daimon sono angelus e tu propaghi magia. Vivi nella luce ma se ti soffermi un attimo a pensare a dove realmente eri vivo e a quanto amore c’era è stato sicuramente nel viaggio. Innanzi tutto non si “arriva” mai ma non è solo questo.

Camminando per un sentiero non ci sono solo eventi meravigliosi, così come non ci sono eventi meravigliosi nel vivere una trasmutazione alchemica verso il Sé Superior. Il tutto è intriso di emozioni ma non soltanto positive.

Secondo l’escursione, o il trekking che si effettua, possono esserci: stanchezza, piedi dolenti, vesciche, spaventi, rischi, cadute, tutte cose che sottolineano il sacrificio.

Al contrario, però, ci sono anche tante cose stupende come: l’attesa, la sorpresa, il paesaggio, i colori, il mutamento della natura, gli spazi senza fine, il senso di libertà, i suoni, l’avvenimento creato da quel determinato animale, etc…

Metti la maglia che fa freddo, togli la maglia che fa caldo, indossa l’impermeabile che piove, metti il cappello che è uscito i sole! Continua a paragonare tutto questo ad un lavoro di trasmutazione alchemica.

Guarda quante cose ti trovi nel tuo bagaglio! Tutte cose vissute durante il viaggio. Quando arriverai sarà il viaggio a persistere nel tuo cuore. Sarà lui il tuo ricordo più forte. Sarà lui che racconterai. L’arrivo è lo “stop”. La fine. Il viaggio è tutto un susseguirsi di – Chissà cosa accade ora? Cosa vivrò? Oh! Guarda! E lasciati raccontare quanta fatica sto facendo -.

Hai presente quando hai tanta voglia di ottenere un qualcosa? Quando poi la ottieni, l’hai ottenuta e basta. Ahimè, succede anche con le persone questo. Non è sbagliato volere una cosa e ottenerla, ci mancherebbe, ma il tafferuglio interno, della voglia e della speranza verso di lei, esiste solo quando la si brama.

Quando mi capita di raccontare a qualcuno quella mia particolare escursione domenicale racconto sempre il viaggio. Il punto d’arrivo è solo un dettaglio per spiegare dove mi sono recata ma le paure, le risa, lo stupore, l’emozione, la gioia, la preoccupazione… tutto questo si vive percorrendo.

L’arrivo ti dona soddisfazione. Che bello poter dire – Ce l’ho fatta! Sono stata brava! – ma perché ce l’ho fatta? Perché sono stata brava? Perché ho vissuto e, di conseguenza, superato: il viaggio.

Il cammino ti riempie. E non dimenticherai mai quei passi.

Con questo articolo mi preme anche farti capire che il viaggio, con tutte le sue difficoltà, non deve impedirti di andare avanti. Cerca se puoi di non lasciarti abbattere dalle angosce, dai timori e dai fastidi. Vai avanti.

L’arrivo, anche se è la meta finale, ti sta aspettando e credimi se ti dico che è bello.

Alcune immagini di questo articolo sono di Andrea Biondo appassionato fotografo di natura andreabiondo.wordpress.com

Prosit!

Ho 40 anni e sono un pulcino

IN FONDO MICA MI DISPIACE

Guardando con gli occhi dell’amore niente appare brutto – (Meg)

Quando qualcuno prova a stabilire la mia età anagrafica sbaglia sempre, nel senso che nessuno mi da 40 anni dicendo che non li dimostro.

È vero che i caratteri fisiognomici o tratti somatici, i geni, la cura del proprio corpo (che mi trova pigra), etc… hanno la loro importanza ma, a parer mio, è vero anche (e forse molto più di tutto il resto) che conta come ci si sente dentro. Però…. cosa determina questo?

Io per prima rimango sbigottita quando penso di avere 40 anni e provo a ricontare per vedere se i calcoli sono giusti. Davvero! Dico sempre – 40?! Ma possibile? Allora ’78… ’88… ’98… perbacco! A momenti 41! Altroché! -.

Non è tanto questione del sentirseli o meno. Cioè, anche chi dimostra l’età che ha può sentirsi bene. Felice. Secondo me è più un fattore emozionale.

Un Maestro spirituale vi direbbe che: bisogna lasciare andare il passato, bisogna pensare positivo, bisogna fare respirazioni ogni giorno… tutte cose sacrosante e che condivido, ma continuo a dire che non è tutto.

VECCHI RICORDI

Ricordo che a 20 anni avevo coetanee che vestivano e si sentivano o si atteggiavano a quarantenni. Le scarpe da ginnastica, ad esempio, mi dicevano che una “signora” avrebbe dovuto riporle e usarle solo in casi eccezionali come durante un’ora di attività fisica. Ehm… io devo riporle ancora adesso…

Ma un grazie secondo me va anche a mamma e papà.

MAMMA E PAPA’

I miei genitori mi hanno responsabilizzata velocemente.

Ricordo che mamma mi mandava in Posta a compiere missioni impossibili alla tenera età di 10 anni. Non arrivavo nemmeno allo sportello per parlare con l’impiegata, la quale doveva sporgersi in avanti per vedermi. A 6 anni mi faceva lavare i piatti facendomi salire su uno sgabello dicendomi solo – Per togliere l’unto l’acqua deve essere calda -.

Papà invece mi addestrava in stile Bear Grylls. A 10 anni oltre a saper fare un telegramma ero anche in grado di uscire da un bosco dopo essermi persa, sapevo arrampicarmi ovunque come un gatto e iniziavo a riconoscere in cielo alcune costellazioni.

Allo stesso tempo però, mangiavo pane e coccole. Oh beh, anche qualche scapaccione, è ovvio! Ma, dopo 40 anni, ancora non mi chiamano con il mio nome. Per Madre sono “Pulce” e per Padre “Passerotto“. E mentre mia mamma ancora mi accarezza e struscia il suo naso contro il mio viso, mio padre, quando mi faccio male, mi dice porgendomi la mano – Passalo a me – intendendo il dolore. E poi finge che inizi a far male a lui quella parte. Beh sì, insomma, avete presente quella citazione:

I bambini credono che un piccolo bacio su un graffio possa farlo guarire. E ci credono perché si fidano di chi si prende cura di loro. Non è ingenuità, è fiducia incondizionata -. (Anonimo)

Ecco… devo essermi fermata a quella fase lì.

GLI OCCHI GIOVANI, ANCORA DA RIEMPIRE, DEL BAMBINO

Quello che sto per dire potrà sembrare retorico ma, a volte, mi trovo davvero a guardare il mondo con gli occhi di un bambino.

Mi stupisco per un fiore, potrei passare un’ora intera a giocare con un insetto, rido come un’abelinata (tipico termine ligure che indica simpaticamente una deficiente) e mi faccio le trecce.

Lo so, non sono normale, ma mi chiedo “Forse è anche per questo che sembro più giovane”. Non penso sia solo questione di genetica, capite cosa intendo dire? E nemmeno intendo dire di essere meglio di un altro. Soltanto osservare il perché, alcune persone dimostrano meno anni e altre di più.

È assolutamente vero che il lavoro, le preoccupazioni, la paura, la lamentela, la rabbia e molte altre situazioni negative rendono l’invecchiamento precoce, ma posso assicurarvi che non sono stata immune da tutto questo. Quindi sono arrivata alla conclusione che, forse, una delle questioni fondamentali, risiede nel fatto di come si prendono certe cose.

Ossia aspettarsi il bello, pensare al bello, immaginare il bello… che arriva. Ma dietro al termine “aspettarsi” c’è molto di più e ve lo spiego tra poco.

Spesso mi rendo conto che molte persone hanno davanti due strade ma scelgono sempre quella negativa. Sempre il pensiero più ostile, come a dire – Almeno non rimarrò deluso quando accadrà -. Però non è detto che accada e, soprattutto, ciò che fa invecchiare è l’attesa non sana di quella risposta. Se poi davvero non accade forse è perché deve accadere qualcosa di più bello ancora. Non sono una farfallina ingenua. So bene valutare le preoccupazioni ma sono anche convinta che la vita non ci voglia male e che abbia in serbo per noi il meglio. Occorre solo non remarle contro e permettere a quel meglio di entrare in noi. Che ne dite? Non potrebbe essere un buon metodo questo per rimanere giovani più a lungo? Secondo me si. Ma non è solo questo. L’attesa di cui parlo è qualcosa che va oltre e più in profondità e che ora proverò a dirvi.

LA BELLEZZA DELL’ATTESA

L’Universo è pigro – (Cit.) …forse perché sa che tanto è immortale, penso io. Ha tutto il tempo che vuole, là dove il tempo non esiste. Tsè!

Ciccio Pasticcio… se ci riesci tu che sei l’Universo posso benissimo riuscirci anch’io!

E allora cosa mi ha aiutata in tutti questi anni? Eh sì. La parola è questa: l’attesa.

La pazza corsa all’oro che la maggior parte delle persone effettua, “per arrivare prima”, non lo trovo un buon mezzo. L’arrivare per primo. Mi laureo subito, prendo immediatamente la patente, faccio 3 anni in uno, voglio quel modello che ancora nessuno ha, voglia fare quella cosa che per adesso solo in America…. Il bisogno dell’originalità che stressa. A volte si può aspettare. Non siamo sempre presi dall’acqua alla gola. E una volta passata l’ondata, resti più originale tu, che ancora non sei, rispetto a tutti quelli che già sono stati.

Ad aspettare non si diventa vecchi. Saper aspettare significa dire – Tanto non devo morire domani, ho tutto il tempo che voglio. Sono giovane -. Questo messaggio, col tempo, si manifesta. Diventa concreto permeando, di questo percepire, ogni cellula. Inoltre si collega alla “leggerezza”. E ve lo dice una che ha iniziato a lavorare a 13 anni e alla quale non è stato regalato niente (ci fossero malpensanti con la scusa pronta, eh).

Vi siete mai accorti che gli anziani fanno tutto di corsa se non sono persone “spirituali”? Come se, appunto, dovessero morire da lì a poco. E infatti, inconsciamente, questo pensiero incombe su di loro. In fila devono passare per primi, si alzano alle cinque dicendo di avere mille cose da fare, quello che puoi fare oggi non aspettare a farlo domani, si buttano in mezzo alla strada per attraversare cercando di bloccare le auto con la sola imposizione delle mani… io dico, sei in pensione, santa persona, magari quella giovane mamma che ha lasciato il bambino in macchina per far veloce e deve andare a lavorare ha più fretta di te, falla passare! E invece no. Ma è normale, li capisco. Perché questo è alla fine: convincersi che il tempo non solo non esiste ma soprattutto non è il nostro padrone.

Prosit!

photo pinterest.com – besti.it

Cambia le Sinapsi – parte 1°

Questo è un lungo argomento perciò lo dividerò in due articoli. In questo, il primo, avrete la spiegazione di come stanno le cose e nel secondo degli esercizi per riuscire a diventare padroni di se stessi e vivere decisamente meglio, senza essere vittime dei propri pensieri che, spesso, assillano. Educare la mente ad essere una nostra valida aiutante e un buon mezzo, e non all’incontrario, essere noi, suoi schiavi.

NUOVI PENSIERI

Ma si! Che ci vuole?

Il tuo ragazzo ti ha lasciata? Tua moglie ti ha tradito? Tua madre ti ha sgridato ingiustamente? Uno sconosciuto ti ha fatto fare una pessima figura davanti a tutto il paese? Questi episodi, quando diventano ricordi, assillano e rovinano la vita. Vorremmo dimenticarli, non pensarci più. A volte sono così presenti, tremendi e consueti che vorremmo addirittura staccarci la testa per non pensare. Staccarsi la testa però potrebbe essere pericoloso e allora torna comodo un altro metodo: quello di modificare le sinapsi del cervello. O meglio, modificarne il percorso. Non ci vuole nulla! È un gioco da ragazzi! È semplicissimo! È… è…. è una tragedia! Ecco cos’è! È una delle cose più difficili che un essere umano possa riuscire a fare. Ma, senza scherzare più, andiamo con ordine. Innanzi tutto cosa sono le sinapsi? E perché modificando loro possiamo vivere meglio? Lo spiegherò in modo semplicissimo spero che nessun neurochirurgo legga! Ma voglio sia comprensibile a chiunque.

Le sinapsi sono delle connessioni che permettono una comunicazione tra neurone e neurone o tra neurone e altre cellule. In pratica, il determinato messaggio, riesce a passare nel tessuto nervoso proprio grazie alle sinapsi. Esse sono dapprima elettriche e poi diventano chimiche come se il messaggio diventasse concreto e può così accedere, fisicamente, al luogo che lo sta aspettando. L’input quindi arriva e parte poi l’informazione. Nel cervello, come già vi avevo spiegato qui https://prositvita.wordpress.com/2018/04/20/erezione-maschile-e-cervello-in-vasca/ , la maggior parte dei messaggi prende dei percorsi chiamati “percorsi facilitati” (ossia già vissuti) in modo totalmente abitudinario. Stiamo parlando di informazioni che passano dal quel dato “sentiero neurale” milioni e milioni di volte nell’arco della nostra vita o di un solo periodo di essa. Il cervello non trasforma niente se non siamo noi a cambiare e nemmeno le sinapsi che condurranno quel messaggio sempre nella stessa direzione.

Questo, quando accade troppo spesso, diventa OSSESSIONE ma non è colpa di nessuno, semplicemente un procedimento normale che avviene chimicamente e, possiamo dire, “fisicamente” in noi. Così funziona anche la memorizzazione e quindi i ricordi. Hanno la loro tana, anch’essa facilitata, comoda, e di lì non si schiodano. E’ la nostra reazione ad essere sempre la stessa quando qualche avvenimento lo colleghiamo ad un avvenimento precedente (es. trauma). Avvenimento, o persona, o situazione, o cosa, etc… E’ comunque la nostra volontà, anche se non ce ne rendiamo conto e non lo facciamo apposta, a permettere tutto questo. Possiamo però fare anche qualcosa di diverso ma, ogni cosa a suo tempo, continuate a leggere. Ho affermato il tutto semplificando molto un procedimento in realtà parecchio complesso spero sia stato chiaro.

COME COZZE APPICCICATE ALLO SCOGLIO

Bene. Se ne deduce quindi che un pensiero (un ricordo) rimane lì e siamo noi stessi, nutrendolo, a dargli forza, sostanza e… onnipresenza. Avete presente le ossessioni che citavo prima? Sarà capitato a tutti di dire – Non riesco a non pensarci. Non riesco a togliermelo dalla testa! -.

I pensieri generano le emozioni. Cioè, se io ricordo una violenza subita, rivivro’ le emozioni di terrore, paura e angoscia di quel giorno. Il senso di nullità, la voglia di vendetta, etc… tutto questo ci fa vivere bene? Assolutamente no. Ma non solo. Diversi traumi, subiti da bambini, li riviviamo in eventi che noi consideriamo simili anche nell’età adulta nonostante non abbiano nulla a che vedere con l’evento subito. In qualche modo, per noi, e soprattutto per i nostri meccanismi di difesa, ci “assomigliano” e reagiamo alla stessa maniera. L’emozione madre si scatena sempre allo stesso modo e le pulsioni saranno dello stesso tipo.

Come dicevo, modificare un pensiero e quindi dimenticarlo, è superdifficile. Sta abbarbicato come un koala ad un eucalipto senza smuoversi neanche di un millimetro, ma noi non abbiamo più voglia di fare gli alberi da appoggio e quindi andiamo alla ricerca di soluzioni. Perché sì, ci sono le soluzioni. Finalmente una buona notizia. Il dramma è nel metterle in pratica ma ne parleremo.

Vedete, il nostro cervello è abitudinario a livello cronico, pertanto, se noi gli abbiamo sempre fatto pensare al verde ora sono cavoli amari convincerlo a focalizzarsi sul rosso, o comunque, al verde, non pensare più.

21 GIORNI… ALL’ALBA

I grandi esperti dicono che per modificare una sinapsi ci vogliono 21 giorni. Facciamo un esempio pratico. Se io guido una macchina normale e quindi sono abituata ad usare la frizione, nel momento in cui acquisto un’auto automatica, il mio piede sinistro impiegherà 21 giorni (circa) per disabituarsi dal premere il pedale della frizione. Quindi, se un brutto ricordo mi assilla, dovrei impiegare 21 giorni per eliminarlo, così come l’abitudine del piede sinistro. Ma dobbiamo dargli il nuovo “sistema” ossia dobbiamo dare al nostro cervello una “macchina automatica”. Creare il cambiamento nuovo al quale può aggrapparsi mollando il vecchio.

Se perciò mi viene alla mente quella determinata cosa che mi fa male, per mandarla via, mi dovro’ sforzare a pensarne un’altra. Il pensiero rivolto ad un ex compagno, ad esempio, diverrà il pensiero rivolto ad un blog, o ad un amico, o a una cosa che piace, o ad un lavoro. Dobbiamo cioè creare UN’ASSOCIAZIONE DI PENSIERO. Quella cosa nuova (che dovrà essere “bella”) verrà correlata all’ ex e, man mano che passano i giorni, ogni volta che il pensiero cadrà sul non più partner, automaticamente, si inizierà a pensare a quell’altra cosa. Via il pensiero via il dolore, o il fastidio, o altro. La nuova riflessione può essere dirottata ad un qualcosa di non ancora accaduto, fantasticando attimi magnifici, o a qualcosa di già successo che riporta a splendide emozioni. Praticamente stiamo creando una nuova sinapsi e, piano piano, quella piccola nuova comunicazione scaverà un nuovo percorso da intraprendere e seguire, poi lo inizierà, si abituerà a quello e passerà sempre di lì. Vi dimenticherete così l’ex compagno (certo non del tutto, la memoria l’avrete sempre, ma cambieranno gli stati emozionali correlati al percorso di prima). Non è questione di menefreghismo è un qualcosa di biologico. Il nostro cervello funziona così. So che non è buono essere rivolti al passato o al futuro ma, vivere il “Qui e Ora” e fare la Presenza, lo sospenderei un attimo, per il momento, come discorso. Un passo alla volta. Oggi parliamo di sinapsi, poi parleremo del vivere l'”Adesso”.

Torniamo a prima, insomma che, detta così, sembra semplice ma non lo è per niente. Ricordatevi che sono koala, anzi chewing gum, anzi cozze! E sappiate che, mentre il cervello sta ai vostri ordini, la mente invece cercherà sempre di remarvi contro. Cosa gli abbiamo fatto di male a sta mente poi, un giorno, qualcuno me lo deve spiegare eh?

Comunque, dicevo, non è facile. Bisogna quindi usare al meglio gli esercizi adatti.

ALLENARSI.

Bene, per il momento mi fermerei qui. Nel prossimo articolo leggerete degli esercizi che io personalmente ho trovato utili e interessanti. Funzionano e quindi ve li racconterò. Intanto provate a pensare se avete anche voi pensieri che, troppo spesso, passano per sentieri che vorreste modificare.

Prosit!

photo automobilandia.com – greenstyle.it – ansa.it – theonlyoroscopo.com – studioarmonia.net

Le Memorie non Rimosse – la Cristallizzazione delle Emozioni

Quando ero piccola, i miei genitori non potevano permettersi di comprarmi un paio di scarpe ad ogni cambio di stagione.

Finiva così che le suole si consumavano talmente tanto da spaccarsi in tagli orizzontali che lasciavano entrare aria e acqua contro la pianta del mio piede e, d’inverno, la cosa non era per nulla piacevole.

Oggi, ho un lavoro che mi consente di acquistare le scarpe che desidero e quando lo voglio.

Amo passare nelle pozzanghere, cosa che da bambina non ho mai potuto fare per non rimanere poi tutto il giorno, magari a scuola, con i piedi freddi e bagnati.

Nonostante siano passati molti anni da quel tempo però, ogni volta che piove e sto per mettere un piede in acqua, qualche secondo prima, una sola frazione d’attimo prima, il mio corpo si indurisce, lo stomaco si strizza, una lieve torsione delle viscere mi ricorda il freddo che da piccola sentivo penetrare attraverso le suole lacerate.

I miei occhi, oggi adulti, vedono la pozzanghera e, senza il comando, il mio corpo si prepara a ricevere il gelo.

Poi, il sollievo, i passi attraversano il bagnato senza ch’io ne subisca le conseguenze, perchè ora le mie suole sono intatte e perfette“.

Ma le memorie rimangono dentro e fanno reagire sempre allo stesso modo anche se quel pericolo in realtà non c’è più. Sono tracce antiche, ossidate, ferme in quel punto a fare da scudo. E oggi condizionano i nostri comportamenti.

Dei meccanismi si azionano, pronti a difendersi/ci dal trauma, al di là del nostro volere e percepiamo la stessa situazione seppur inesistente.

Questo accade in ogni frangente della nostra vita. Accade nella vita di coppia, al lavoro, in auto, ad un’interrogazione a scuola, nei confronti di uno sconosciuto…

Molto spesso, ciò che per noi è reale e ne percepiamo esattamente i sintomi, in realtà, non esiste.

Non più per lo meno.

Avviene la cosiddetta CRISTALLIZZAZIONE delle emozioni.

Nasco. Accade l’evento. Provo l’emozione. Reagisco. Cresco. Riprovo la stessa emozione, al di là che riaccada o meno il medesimo evento. Reagisco. E avanti così… per tutta la vita come un cane che si morde la coda.

Quelle emozioni sono le mie e sono soltanto mie. Il freddo che io provavo, per un altro poteva essere piacevole.

Un cane che abbaia può far nascere diverse emozioni negli stati d’animo di diverse persone. Ci sarà quello al quale farà tenerezza, quello al quale darà fastidio, quello che neanche lo sentirà… eppure, è sempre lo stesso cane ed è sempre lo stesso abbaiare ma è a seconda delle proprie memorie che si reagisce (si prova emozione) verso la determinata situazione.

Le emozioni sono dentro di noi e non fuori. Non è l’evento il soggetto da analizzare ma noi stessi. L’evento è soltanto un mezzo. Se non capiamo questo ci porteremo sempre dietro la nostra emozione incolpando l’esterno.

Può sembrare impossibile ma il cane che abbaia, e che mi infastidisce, non lo eliminerò dalla mia vita cambiando casa o cambiando città. Arriverà qualcosa d’altro ad infastidirmi e forse ancora più del cane. Il cane in realtà… è come se non esistesse. Non esiste più come non esiste più la suola tagliata ma ci muoviamo e reagiamo in base a dei ricordi. A dei meccanismi inconsci. E’ il fastidio che invece continua ad esistere e si manifesta in tanti altri modi.

La cristallizzazione delle emozioni avviene durante gli anni e diventa una massa vera e propria, sempre più grande, all’interno di noi. Grande e potente. Così potente da divenire il nostro padrone. Colui che governa le nostre azioni ossia la nostra vita. E’ questo che non dobbiamo permettere accada. E’ da lì che dobbiamo uscire. Da questo circolo vizioso e diventare noi i padroni della nostra vita e quindi AGIRE anziché REAGIRE in base agli eventi. Disegnando la nostra strada, il nostro cammino, la nostra esistenza.

– Quando REAGISCI sei schiavo di ciò che hai subito. Se hai subito qualcosa da qualcun altro sei suo schiavo, un suo servo.
– Quando AGISCI sei padrone di te, hai sempre l’Amore a guidarti (il che non significa sopportare e farsi calpestare) e non agisci in base a ciò che hai subito bensì in base a ciò che sei e vuoi continuare ad essere.
Ed è solo attraverso l’AZIONE che potrai essere Superiore e padrone virtuoso e integro della tua vita.

Sii GUERRIERO e non SCHIAVO.

Non permettere a sensazioni nate solo per un’apparenza di governare ciò che sei. Non odiarle, sono state per molto tempo i tuoi scudi migliori ma, ora, osserva. Probabilmente non servono più. Probabilmente devi fare un passo avanti. Le tue suole ora, sono integre e puoi.

Prosit!

photo amando.it – pixabay.com – slideplayer.it – fisicaquantistica.it – macrolibrarsi.it – lifewaychurch.life – princeofpersia.wikia.com – petsblog.it

Esperienza di Nascita e Ri-nascita

Quando nacqui ricordo che non fu una bellissima esperienza.

Sentivo le urla di quella che sapevo essere mia madre, c’era un forte odore di sangue tutto intorno e feci una faticaccia tremenda ad uscire da un cunicolo che mi avvolgeva stritolandomi e trattenendomi. Sentivo la pelle allappata come la lingua quando si mangia un kiwi acerbo e avevo freddo. Tanto freddo. Una luce forte poi mi abbagliò, che fastidio. I miei occhi erano abituati all’oscurità, a quel rouge-noir (come direbbe la mia amica estetista) che mi coccolava da mesi. Un colore che sentivo amico. Amorevole.

I polmoni mi si strizzarono in una morsa dolorosissima, sentivo il petto bruciare e piansi pregando che mi rimettessero dentro a quella culla che mi aveva accudito per tanto tempo.

Potevo mangiare, dormire, giocare, fare tutto quello che volevo là dentro, soprattutto potevo evitare di pensare  mentre, in quel momento, ogni mia certezza andò a farsi friggere; ero completamente destabilizzata.

Delle mani sconosciute mi toccavano, mi ruotavano, mi tiravano (che modi!) e delle voci acute mi trapanavano le delicate orecchie che fino a quel momento avevano sentito solo il battito di un cuore.

Che esperienza…. Non la scorderò mai.

Non è stato bello nascere. Forse è stato bello per altri ma non per me.

A quelli che mi guardavano e mi dicevano sottovoce – puripuripuripuri ciccina… – avrei voluto gridare di andarsene a quel paese e invece non riuscivo, non ne ero capace, e dovevo sopportare quel menefreghismo di chi non capiva cos’avevo dovuto compiere.

nonna-nipote-neonato

Di chi stava ore ad osservarmi ad un centimetro di distanza, fiatandomi sul naso, solo per capire a chi assomigliavo di più senza preoccuparsi di prendermi e rimettermi dov’ero stata finora.

Fu in quei primissimi giorni di vita infatti che mi resi conto di essere una vera guerriera, perché solo una guerriera con le palle poteva sfidare tale fatica e tali affronti.

Insomma che no, non è stato bello nascere.

Mia madre non era più dentro di me nonostante fossi io ad essere dentro di lei. E ogni tanto dovevo separarmene. Che tristezza, che delusione. Perché non potevo continuare ad andare in bagno con lei? Perché non potevo più dormire nel suo ventre? Perché non potevo cibarmi più dei suoi scarti?

img_3490-2

Che angoscia. Una specie di amputazione.

Senza anestesia.

Non è stato per niente bello nascere.

E la cosa buffa è vedere come oggi, a distanza di tanto tempo da quel giorno, è invece così sorprendente, così meravigliosamente fantastico ri-nascere.

Non ci sono più strappi alla vita o forse si ma, dopo giorni di frustrazione, il bello è così tanto che emoziona, prende il cuore e lo lancia in alto, nel blu, facendoti mancare il respiro. E non si possono provare brutte sensazioni.

La rinascita la senti arrivare da lontano. Leggera e prorompente allo stesso tempo. Strizza il diaframma da far quasi male e, come una manciata di spilli, punge lo stomaco. Sono tutte emozioni bellissime.

Dopo essere passati dalla prima nascita, rinascere è nettamente più leggero e piacevole ma per molti sembra impossibile. Forse non ricordano il disumano sacrificio che hanno fatto all’inizio e ora mettono limiti ai loro cuori, alle loro menti.

Fanno attrito e rendono tutto più difficile.

img_0845

Un tempo siamo stati obbligati per volere di altri, della natura stessa, e abbiamo accettato, a malincuore, ci siamo lasciati andare e abbiamo iniziato a vivere. Oggi invece resistiamo a ciò che la Grande Madre vuole, ci opponiamo e soffriamo di più. E invece sarebbe così bello lasciarsi andare e permettersi di ritornare. Questa volta consci di ciò che sta accadendo e di ciò che stiamo vivendo.

hqdefault

Siamo spaventati, dai retaggi del passato, dalle memorie, dalle tracce che rimangono indelebili. Forse allora, la prima volta, non avevamo ricordi. E allora, non avevamo paura. Perciò, a creare la paura sono le  reminiscenze. E si. E a seconda del materiale del quale sono fatte, la nostra scatoletta magica può essere solida oppure no. Come una casa.

Vi è mai capitato di lasciarvi con un/a compagno/a e trovarne poi uno migliore? Eppure nel momento dell’abbandono si sta malissimo, si pensa che nessun altro/a possa prendere il suo posto o volerci. Vi è mai capitato di perdere il lavoro e poi ringraziare il “destino” per essere stati licenziati?

Ma prima bisogna dimostrare la tragedia, sentirla dentro, lasciarsi lacerare da lei. Come se… si, – se il non provare ora così tanto dolore significa non essere stati degni di possedere ciò che avevamo –. Dobbiamo dimostrare, soprattutto a noi stessi, quanto fa male perché sono il male, la preoccupazione e la destabilizzazione le nostre unità di misura, così ci hanno insegnato. Quanto ci dispiace averlo perduto, anziché dimostrare a noi stessi quanto si è felici nell’attendere ciò che di meglio sta arrivando.

bosco

E saremo più forti di prima, avremo un sorriso straordinario e potremo urlare al cielo – Ce l’ho fatta sono qui! – di nuovo qui. C’ero già, ma ora ci sono in modo diverso. Ecco perché è nella ri-nascita che si capisce la vita. La sua e la nostra essenza. Perché nascere è ovvio e normale, ma ri-nascere no. E’ la seconda possibilità che ci viene data e sappiamo che non possiamo buttarla via. Qualcosa dentro ce lo suggerisce. Perché è dopo la rinascita che si comprende cos’è lo STUPORE.

Perché è dopo la rinascita che ci si commuove davanti alla straordinaria bellezza del mare. Che si riesce a comprendere la lingua delle foglie. Che si vede brillare il mondo in ogni suo angolo. Soltanto adesso non si ha più paura di essere diversi.

img_0569

Rinascere, non è una bellissima esperienza. Ma è il dono che si riceve dopo, per la seconda volta, che si capisce come va vissuto.

“ STUPOR VITAE

stuporvitae

La vita ci meraviglia.. poco
perché ci dimentichiamo di ammirarla con stupore.

Serendipity, meraviglia, stupore, la forza della vita, il gancio di salvataggio.

Sono nomi che noi diamo ad azioni della vita, la vita intesa come essa stessa un essere vivente, che ha bisogno di noi e noi di lei per compiersi.

Imparare a vivere con questa consapevolezza, crederci, avere fede, essere nel qui e ora, lasciandosi trasportare fiume e sfruttandone le correnti.

E tante altre parole, ma non bastano ricominciamo a meravigliarci.

Igor Sibaldi ci dice di provarci coscientemente, di guardare un albero e, come un bimbo, alzare il dito e dire – Albero!! – come se fosse la cosa più straordinaria del mondo.

Provateci, io ci ho provato, e dopo un po’ funziona… ed è fantastico.. anzi no.. è semplicemente vitale…

( da Luci di Do – lucidido.wordpress.com https://lucidido.wordpress.com/2014/05/03/stupor-vitae/ )

Rinascere significa passare dalla passività con la quale si è condotta l’esistenza finora, alla collaborazione attiva assieme all’intero Cosmo del quale facciamo parte già dall’inizio ma non ne volevamo e non ne vogliamo sapere. Rinascere, significa trasformare quell’esistenza in VITA. Imparare a comprendere questa VITA in modo nuovo, diverso.

oscar-wilde-vivere

Permettetevi di ri-nascere. Concedetevi di soffrire. Amate quella sofferenza, quell’immenso dolore, amatelo con tutto il vostro cuore. Non mandatelo via. Accettate la sua presenza. Affidatevi a lui è arrivato per ripulirvi, è arrivato per far spazio ad una novità non ancora assaggiata.

come-superare-dolore-aborto-tardivo-770x470

Lasciategli lacerare le carni è solo una sensazione, straziante, ma è solo una sensazione. Tormentatevi quanto volete ma non perdete la fede, la fiducia nella vita che sta arrivando.

Prosit!

photo lanascitatralemani.org – maenutriz.com.br – donnaglamour – noinonni.it – youtube – simonaruffini.it – mericolucia.com – ri-trovarsi.com – oshoexperience.it

photo STUPOR VITAE di lucidido.wordpress.com

Ad Andagna assieme a Lei

Ci sono luoghi diversi da altri, diversi perché hanno un posticino dentro al cuore, uno spazio che altri non hanno trovato. Nell’arco di una vita, essi possono rimanere pochi oppure diventare tanti ma comunque rimangono lì e nessuno riesce a toglierli.

Io ne ho diversi e tra questi c’è sicuramente un piccolo paese che appartiene alla mia Valle, la Valle Argentina, e che mi ha accolto da sempre, ogni anno. Negli ultimi tempi, le mie visite sono state minori ma ogni volta che penetro nei suoi carrugi o lo osservo da lontano, incastonato tra i monti verdi, l’animo mi si alleggerisce e una sensazione di gioia mi avvolge.

SONY DSC

Il suo nome è Andagna. E’ il paese dei Castagni, delle viuzze ombrose tra le case, delle Madonnine, delle scritte su legno ad indicar la strada. E’ il paese dell’Origano e del Timo e dell’Ardesia, delle More e dei Fiori.

SONY DSC

In questo piccolo paese, di nemmeno 100 abitanti, e nei suoi dintorni, ci sono addirittura sei chiese, una delle quali è ormai solo un rudere, altre usate per cerimonie poche volte all’anno, mentre la principale ospita i fedeli tutte le domeniche. Tanti i luoghi sacri tra edicole e statuette della Madonna in un unico borgo.

SONY DSC

Andagna si appoggia su un monte a poco più di 700 metri s.l.m. e, come spesso capita nei paesi della mia Valle, offre un panorama fantastico. Fa parte del Comune di Molini di Triora, un paese al di sotto dello stesso monte, situato più in giù, nella conca della vallata.

SONY DSC

Andagna è costruito in salita, partendo da una grande piazza si sale su, passando per i carrugi, fino ad arrivare in cima, alle ultime case, dove poi inizia il bosco. All’entrata del paese, ad accogliere chi arriva, c’è “l’Osteria di Andagna”, una trattoria, l’unica presente, specializzata in piatti tipici liguri, come i ravioli con borragini, o cannelloni alle ortiche, o ancora, coniglio con pinoli e olive. Da lì, la chiesa che mi sembra dedicata a Santa Clementina se non ricordo male, è il punto principale dal quale partire e ammirare il borgo e tutti i suoi angoli caratteristici.

SONY DSC

Andagna è un groviglio intricato di carrugi umidi e freschi, affascinanti alcuni, inquietanti altri. Luoghi dove al sole non è concesso entrare. Poche sono le stradine dalle quali, alzando lo sguardo, si può vedere il cielo. E’ come camminare dentro a delle grotte.

SONY DSC

Pietre, appoggiate una sull’altra, formano cunicoli che sfiorano le teste e che, a loro volta, sono i pavimenti delle abitazioni sovrastanti. L’aria è fresca anche d’estate. L’odore percepibile di antico è pungente. Questi vicoli stretti e caratteristici, sono stati creati apposta per giungere in ogni punto del paese. Come se non ci fosse spazio altrimenti.

SONY DSC

Alcuni salgono, alcuni scendono. Gradini larghi e bassi, scalini alti e stretti. Quando di notte sono illuminati da lampioni che emanano una tiepida luce giallognola, incutono anche un pò di timore. Bui, freddi, incurvati, chissà dove vanno a finire. In certi punti sembra quasi un paesaggio scozzese. La pietra fredda che domina è maestosa, ci avvolge da ogni parte e, sotto alle sue volte, i massicci portoni di legno decorati da portali in Ardesia, permettono di entrare nelle case. E’ come entrare dentro a delle cantine.

SONY DSC

Sembra di descrivere un villaggio fantasma, in realtà non è così. Nonostante tutto, la struttura di Andagna, infonde sicurezza. E’ come se stando lì, nessuno possa trovarti e farti del male.

E’ stato realizzato nel tipico metodo di costruzione difensivo. Un tempo, intorno al IX e X secolo, bisognava proteggere il paese e le genti dai Saraceni e, in questo modo, creando tali esempi di labirinti in salita, si rendeva più difficoltoso lo scopo ai pirati. Era questa la forza, la strategia, di chi viveva in Liguria. In questi vicoli stretti e bui, dove pochi alla volta si può passare, ecco i corsari cadere facilmente nei tranelli degli “Andagnini” che, sgattaiolando per il proprio paese conosciuto a memoria, potevano facilmente fuggire o catturare gli avversari.

Da piccola, percorrevo da sola queste strade, sia di giorno che di notte per non so quante volte al dì e, con i miei amichetti, giocare a nascondino, era un vero spasso.

Qui, tutto è ancora come un tempo. I giovani hanno preferito la comodità della città e vengono ad Andagna durante l’estate o le feste natalizie. Ma la sua atmosfera magica, questo borgo non l’ha persa. Anni fa c’erano botteghe, tabaccaio, bar, sala giochi… Ecco, era proprio qui che compravo il ghiacciolo ogni sera, qui invece mi aspettava lei, mia zia, con la quale passavo quelle splendide giornate. Qui mi stava a guardare mentre oscillavo sull’altalena e mi chiamava mille volte per convincermi a rientrare.

SONY DSC

Oggi Andagna, si spegne come una candelina nei mesi invernali ma rimane comunque un luogo bellissimo e affascinante e, i suoi abitanti ospitali, uniti tra loro e pieni di iniziative, attendono la bella stagione.

Ad abbellire Andagna molte piante, ringhierine e dipinti che circondano le case. Le grotte delle Madonnine dove il culto mariano è molto sentito. Particolari cassette per le lettere e battiporta sugli usci rendono questo borgo poetico e affascinante. Pittoresco. Le case sono così attaccate tra loro che affacciandoci da un balcone vediamo i tetti delle altre case e poi ancora altri tetti, in tegole e in “ciappe” (lastre di lavagna larghe e sottili), o in legno.

Arrivati in cima al paese, affacciandoci sul bosco e sulla vallata, dalla quale si può vedere Corte e il suo Santuario, sembra quasi di respirare, dopo aver camminato a lungo sotto a queste strettoie ed è lì che, con gusto, alcuni hanno costruiti bellissime villette. Certe con, in bella mostra, le statuette dei Sette Nani e Biancaneve in giardino, certe con pentole di rame appese fuori alla veranda, altre ancora con persiane o sedie di legno nel quale è stato intagliato il Seme della carta da gioco: quadri, picche, fiori e denari.

Sotto ai carrugi, sul pavimento di cemento, sono state fatte delle righe infossate, a lisca di pesce, per poter far scorrere l’acqua piovana, in modo da non permettere il formarsi di pozzanghere e l’aumentare dell’umidità. Permettono inoltre di non scivolare. Sarà così che ci si potrà fermare e osservare le bellezze che vengono offerte agli occhi.

In questa località, i nomi delle vie sono accuratamente dipinti e colorati su dischi di legno e arricchiti da fiorellini, ciliegie, foglie, ognuno ha il suo decoro come un’opera d’arte.

SONY DSC

La quiete regna sovrana. Il terreno, aspro a tratti, ospita Ginestre sgargianti e solo il battito d’ali di qualche insetto goloso fa eco.

SONY DSC

All’inizio del sentiero del bosco, non posso fare a meno di pensare a lei. Sento la sua presenza. La percepisco che mi osserva e mi sorride. Che ancora è lì. Che ancora mi chiama, mi cerca, che ancora mi guarda oscillare sull’altalena. E insieme ci rechiamo a Santa Brigida e poi a San Bernardo, come facevamo sempre.

SONY DSC

Insieme cerchiamo di raggiungere le farfalle e cogliamo l’ortica strofinandoci prima le mani nei capelli.

WP_20150703_009

Era nata in questo mese, nel mese in cui la Lavanda tinge i massi di viola e le Api ronzano intorno ai Gelsi. Era nata in Luglio e il suo compleanno lo si festeggiava qui, ad Andagna, io e lei, umilmente, come se fosse un giorno qualunque. Ma quel giorno e ogni altro passato qui, circondata dalle sue braccia e seguita dal suo sorriso, sono rimasti indelebili nel mio cuore.

Buon compleanno Tata.

Buona vita Andagna che non dimentichi chi anche per te ha combattuto.

SONY DSC

Saluto questo gruppo di case, è questo il termine giusto per descrivere questo paese. Un gruppo di case tutte appoggiate una all’altra, dove tutti si conoscono, dove ognuno coltiva il suo orticello al di fuori del paese, e dove puoi trovare tanta pace, serenità e una ricca natura tutt’intorno.

Dove puoi trovare i ricordi e rivivere i momenti più belli della tua infanzia.

Prosit!

Buon Natale, Buon Natale e che sia quello buono e poi…

… e poi zucchero e miele!

1biscotti-Natale-ricetta-mela-cannella

Buon Natale, Buon Natale
ma che sia quello buono
che ti porti un sorriso e la gioia di un dono
sotto l’albero stanco di frutta e di mele
è un Natale più bianco se viene la neve
e se brilla una stella cometa lassù vorrei tanto ci fossi anche tu.
Buon Natale, Buon Natale,
ma che sia quello vero
e poi zucchero e miele
e un augurio sincero
per un giorno di festa e di felicità
per ognuno che resta e per chi se ne va
e adesso mi chiedo fra tanti perché
è Natale e non sei qui con me.
Buon Natale, Buon Natale
canterò una canzone
Buon Natale, Buon Natale
qui va tutto benone
specialmente se scrivi due righe per me
e se torni c’è ancora un regalo per te
e chissà se ritorni, se resti, se vai
è Natale se tu tornerai.

Ecco. Questa è la mia canzone del Natale.

E’ la mia canzone del Natale perchè da bambina, ogni anno, a Dicembre, la cantavo assieme ai miei genitori e mi riporta piacevolmente a un tempo che fu. Si tratta di un testo di Paolo Barabani che ascoltavo nel mio vecchio mangiacassette. Quello grigio, rettangolare, con il tasto REC tutto arancione. Giravo per casa con il registratore tra le mani e canticchiavo costantemente questa specie di filastrocca. Riconosco oggi che il testo non è dei più allegri ma ricordo che amavo di lui alcune parole come: zucchero, miele, stella cometa, neve e mele che mi facevano viaggiare con la fantasia in una fiaba fatta di dolci e ambienti surreali.

Era per me serena come una ninna nanna ma anche golosa come le glasse colorate al Luna Park che sempre arrivava in quel periodo. Come accade ancora oggi. Almeno nel mio paese.

Sì, lo so che l’unico passato che fa bene è quello di verdura ma… che volete farci, alcuni ricordi è come se cullassero il cuore.

3110_giostre

Oggi, sugli auto-scontri e nella casa degli specchi ci vanno i miei futuri eredi, ed è ancora tutto così vivo dentro di me.

Quell’aria frizzante che punge il viso scivolando giù dal Toboga con quei tappeti sgualciti e pesanti. Quelle luci accecanti, quella musica che rimbalza nel petto… e, immancabilmente, tutto ciò lo scriveranno in tanti vista l’atmosfera di questi giorni. Non posso fare a meno di rammentare il presepe costruito assieme a papà e la mia trepidazione di quando vedevo mamma arrampicarsi con la scala sul soppalco per tirare giù le tanto attese scatole che sapevo contenere una miriade di meraviglie: ghirlande luccicanti, striscioni luminescenti, palline decorate, statuine, carta, cotone.

E poi eccolo spuntare. Sempreverde, in attesa, volenteroso di sgranchirsi i rami, ai miei occhi. Il piccolo abete da abbellire.

Alcune palline si rompevano col passar degli anni e mamma le riparava con maestria. Papà invece, creava delle finte montagne per i pastorelli che dovevano raggiungere la grotta di Gesù Bambino. Quando ho avuto mio figlio, non avevo più molto di quel materiale e, il voler festeggiare il nostro Natale, ci ha condotto ad acquistare nuove cosine carine per decorare la nostra casa e il nostro albero. Quel gesto, quella situazione, io l’ho tradotta come calore e famiglia e ben poco m’importava, in quel momento, della festa in se’ e del suo significato, dei soldi, della commercializzazione che molti discutono. Era la mia festa, il mio Natale. Il nostro Natale.

Anche per noi sono passati diversi anni e anche le nostre palline, come quelle di mia mamma e di mio papà, sono andate via via rompendosi e danneggiandosi fintanto che, quest’anno, siamo dovuti andare ad acquistarne altre. Oltre a non essere brava come mia mamma, desideravo anche rinnovare il nostro abete. Ero emozionata. Non per gli oggetti ma per noi.

WP_20151217_007

Quest’anno sono gialle e rosse ma un domani? Chissà? E ancora ricorderò i nostri primi addobbi acquistati così, come ancora ricordo, gli ornamenti di me bambina. E la nostra Vigilia, magica, fantastica, che inizia quando Babbo Natale è ormai di nuovo alto nel cielo e il silenzio ricade sui visi emozionati che tanto hanno atteso.

WP_20151217_005

Questo è il mio modo, sicuramente strambo, per augurare a tutti voi un periodo natalizio sereno e felice (prosit! sempre!) ma per augurare un Buon Natale soprattutto a quegli occhietti gioiosi che mi fissano vispi pensando ai doni.

Questo era il tempo in cui ancora si viveva un classico Natale. Oggi, il mio Natale è più alchemico. E’ la rinascita di un Sole nuovo, fuori e dentro me, ma per tutto c’è un tempo. Per questo è giusto che i bimbi abbiano la facoltà di vivere ciò che più desiderano.

Prosit!

photo deabyday.tv – lagazzettadisansevero.it

Consiglio: Scrivere cosa ci ha fatto stare male

Il consiglio che vorrei darvi oggi probabilmente lo conoscete già ma io posso testimoniare che funziona davvero. E’ una tecnica che uso anche con chi mi chiede aiuto e noto che pure queste persone, eseguendola, trovano un giovamento. Si tratta di scrivere/descrivere, una situazione “brutta” che avete vissuto. d

Ci troviamo a volte a dover affrontare avvenimenti davvero spiacevoli per noi, traumatizzanti, che lasciano ferite aperte per molto, molto tempo, divenendo sovente, persino inguaribili. Questa è in realtà la parte più negativa. Il ricordo. Il ricordo che continua a vivere in noi. Durante il fattaccio, costi quel costi, siamo in grado di affrontare ciò che arriva, siamo in grado di reagire, siamo in grado di pregare per trovare la forza e ovviamente, non possiamo pensare in quel momento o in quel periodo, quanto male quella situazione sta facendo a noi stessi, nella nostra parte più viscerale. Non è un problema, la risaneremo appena riusciremo a tranquillizzarci ma come? Si crede sovente di riuscire a dimenticare. Attenzione, non è sempre così. Purtroppo, i fatti che ci scuotono particolarmente rimangono impressi in un cassettino del nostro cervello senza abbandonarci del tutto. Altre volte invece rimangono letteralmente, ben visibili, e possiamo vederli affacciarsi ogni giorno nella nostra testa. Cerchiamo di sconfiggerli sia che siano piccini, sia che siano enormi. Sono state esperienze della nostra vita che oggi non devono più esistere, non devono più continuare a farci male. Se avevano da insegnarci qualcosa, prendiamo quel qualcosa e abbandoniamo tutto il resto. Ci sforziamo con il pensiero di lasciar andare, proviamo a perdonare chi ci ha fatto questo, a  capire noi stessi, a giustificarci o a coccolarci, pur di “guarire” da quel tarlo che rosicchia ma non ce la facciamo. Dobbiamo allora quel tarlo, prenderlo e darlo a qualcun’altro travestito da foglio bianco o da schermo di pc. Scriviamo bene, per filo e per segno, con molto impegno, quel che ci è successo. Scriviamo con l’anima. Scriviamo il perchè è accaduto secondo noi, cosa abbiamo subito, cosa avremmo voluto fare, cosa abbiamo fatto e non. Chi ha partecipato insieme a noi a quella vicenda, come vorremmo vivere ora, insomma… tutto. Tutto quello che ci viene in mente ma facendo parlare il cuore. Nessuno dovrà leggerlo, per cui potrete davvero mettere nero su bianco ogni cosa. Sfogatevi in tranquillità visto che probabilmente non avete potuto farlo prima. Dovrete scrivere un libro. Ovviamente, più l’evento è stato traumatico e destabilizzante e più sarà lungo da descrivere perciò non abbiate paura di stilare un vero e proprio romanzo se dovesse servire. Nel caso decidiate di buttarlo giù tramite computer, vi consiglio di stamparlo poi e tenerlo in un angolo della vostra libreria. Una volta terminato, rilegatelo magari e catalogatelo bene come se fosse un fascicolo a sè e sistematelo dove meglio credete. Dateci anche un titolo e abbellitelo esteticamente. Quello è il vostro libro, uno dei tanti, un episodio della vostra vita. alai.it

Sono sicura che con il tempo, il ricordo di quella negatività vi abbandonerà e potrete trovare la serenità che meritate. Non è più in voi ora. Sarà solo tra quelle pagine, e siete padroni di tenerle, o buttarle, o bruciarle, come meglio credete, ma sarete voi a comandare, non più loro. Ora, sono “solo dei pezzi di carta“. Vi consiglio di aspettare almeno un anno prima di prendere la decisione di liberarvene perchè sovente ci vuole davvero molto tempo prima di dimenticare ma soprattutto perchè se riteniamo di aver compiuto degli errori che non vorremmo più ripetere, in quei fogli, rileggendoli, riusciremo sicuramente a trovare le giuste soluzioni. Riusciremo inoltre a mettere ben a fuoco cosa davvero di quell’avventura ci ha logorato e spaventato e, in principal modo, riusciremo a leggere il suo insegnamento. Un pezzo della nostra vita ora ben tangibile, palpabile, concreto. E se prima non sapevamo, nei meandri della nostra mente, dove andare a cercarlo, eccolo… sul terzo piano dello scaffale in salotto. E se prima era edulcorato o inquinato da altri mille pensieri, riuscendo a celarsi bene per non essere trovato, adesso eccolo… è lì.

tempolibero.pourfemme.it

Grande come un quaderno, ben chiuso dentro ad una cartellina. Completamente inoffensivo. Completamente vostro. Non può più farvi paura. Dovete sapere, che addirittura, ci sono traumi vissuti nell’infanzia che riaffiorando nell’età adulta, mascherati da nuovi avvenimenti, possono provocarci lo stesso dolore di un tempo, trasformato talvolta anche in disturbo fisico. E’ ovviamente un episodio lontano ciò che ci ha causato quel malessere, neanche lo rammentiamo, ma è rimasto lì. Questo per farvi capire che non muoiono mai. Continuano a vivere dentro di noi e si nutrono della nostra quotidianità, saltando fuori all’improvviso, nel momento stesso in cui un minimo campanellino d’allarme trilla nel nostro inconscio mosso dalla nuova situazione simile, appena vissuta. Per simile intendo che riporta allo stesso risultato. Vi faccio un esempio: se un bambino è stato abbandonato dal padre in giovane età, vivrà la sua vita nell’ansia che anche altri possono abbandonarlo. Come l’ha fatto il padre, perchè non potrebbe ora farlo la mamma, l’amico, la fidanzata, il datore di lavoro? Non c’è differenza. Ora, è ovvio che quel bambino, divenuto uomo, non avrà più un padre che lo abbandona, questo è già avvenuto, ma gli basterà sentire una frase tipo – Mi dispiace, non posso aiutarti – per fargli rivivere l’incubo. E’ una frase normalissima ma, per lui, è un punto debole. E’ una ferita aperta. Quando una ferita è aperta, anche solo l’aria che ci passa sopra può far male. Quella frase, viene tradotta come “Non posso starti vicino, devi cavartela da solo, ti abbandono, io non sono lì con te“. Proprio come ha fatto suo padre. Lui non riconoscerà il collegamento con il padre ma, in un modo del tutto inspiegabile, inizierà a star male. Come farà a cavarsela da solo? Inizierà a provare ansia, paura, destabilizzazione, tristezza, inquietudine. Tutte emozioni che logorano, che causano danni. Il consiglio che vi ho dato, potrebbe non essere una risoluzione totale. Non m’innalzo al livello di psicologi e neuropsichiatri ma so che può aiutare. E poi, i medici di questo settore, non vi fanno forse parlare, giustamente, per buttare fuori quel che v’inquieta? Come vi ripeto, date ad altri il vostro problema. Cercate di eliminarlo da voi. E, un primo step, potrebbe proprio essere questo.

Prosit!

photo jivasmind.tumblr.com – alain.it – tempolibero.pourfemme.it