Dopo i traumi, la malattia – l’Urlo dell’Anima

NON C’E’ PEGGIOR SORDO…

É normale urlare con i sordi. Urliamo verso chi non sente con la nostra parte fisica e urliamo verso il nostro corpo con la parte animica. In modo differente, ma il principio è lo stesso. Perché a volte siamo sordi anche noi, molto più di chi ha seriamente perso l’udito e, come dice un vecchio proverbio – Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire -.

Noi siamo fisico, anima e spirito. L’anima è quella parte di noi che ci comunica la volontà dello spirito ma noi non comprendiamo praticamente mai, per questo deve gridare. É il messaggero della coscienza. É sbagliato dire – Ho un’anima -. Io sono anima. Sono anche anima, non ho un anima. Ma ci sono parti di noi che non vediamo, non sentiamo, non percepiamo. Non sappiamo tutto ciò che pensa la nostra mente, non conosciamo tutto quello che vive il nostro corpo e non capiamo nulla di Sé Superiore o di anima ma tutto è collegato nel formare la splendida creazione che siamo. O, più che creazione, sarebbe meglio dire “emanazione“. Siamo un’emanzione di Dio, inteso come Energia Cosmica, una sua diffusione.

Essendo il tramite, tra l’Io Superior e ciò che crediamo essere, l’anima, come dicevo, prova a parlarci, prova a dirci cosa siamo realmente e lo fa anche quando viviamo situazioni che a noi sembrano difficili prove da superare.

Non riusciamo ad ascoltare la sua voce, ossia, non riusciamo a vedere oltre il Velo di Maya, una nebbia che abbiamo davanti agli occhi e che non ci permette di osservare e comprendere la perfezione divina anche là, dove noi vediamo solo drammi e tragedie. Ogni dramma e ogni tragedia altro non è che la rivisitazione di un trauma che ci portiamo dentro da quando siamo nati.

IL PRIMO IMPORTANTE ANNO

All’incirca durante il primo anno di vita subiamo tutti i traumi che ci porteremo poi avanti per tutta l’esistenza se non elaborati. Questo non vuol dire che durante il primo anno di vita veniamo per forza violentati o dimenticati o abbandonati o derisi come s’intende, ma significa che viviamo le basi emozionali di quelli che sono i primi gradini del trauma. Di tutti i traumi. Sì, anche forme di violenze o abbandono o derisione, in base a come noi li percepiamo.

Per capirci, se oggi soffri perché il partner ti abbandona, è perché durante il primo periodo dopo la tua nascita hai vissuto un evento che ti ha creato dentro lo spavento o l’angoscia dell’abbandono. Tale spavento o tale angoscia, non “curati”, sono aumentati sempre di più in te, formando, ad esempio, il bisogno dell’attaccamento a cose, persone, luoghi, ricordi. Tutto ciò che riesce a non farti sentire solo. Non curato, quel primo accenno di abbandono, che ai tempi ti ha visto soltanto piangere per cinque minuti, oggi è invece fonte di grande tristezza, paura, delusione, frustrazione perché è cresciuto anche lui, assieme a te, quanto te.

Di traumi ne subiamo mille e più di mille. Alcuni si coagulano in noi, altri no, in base agli eventi che viviamo e, più spiritualmente, in base al percorso che dobbiamo compiere e all’evoluzione della nostra anima. Ogni volta quindi che ci assoggettiamo, magari senza rendercene conto, ad uno di questi traumi in modo emozionale, è come se formassimo una ferita nel nostro organismo.

Ogni volta che, anziché evolvere, al fine di vivere liberi e come esseri divini e potenti, continuiamo emozionalmente a reagire allo stesso modo, creiamo un danno fisico. Fisico perché, come dicevo prima, siamo un tutt’uno. Questo danno, se continua in quel punto, un po’ come girare il coltello nella stessa piaga, diventa sempre più grande fino a divenire una malattia. Come malattia intendo ogni tipo di malessere fisico.

TRAUMA DOPO TRAUMA ARRIVA LA MALATTIA

Se abbiamo paura del giudizio degli altri e non ascoltiamo la voce dell’anima, che invece vorrebbe vivessimo senza questa spada di Damocle addosso, a lungo andare, formeremo un malessere al nostro corpo. I malesseri possono essere tanti, di vario tipo e di varia natura ma, a formarli, sono sempre le emozioni negative che proviamo. É come se avvelenassimo il nostro corpo. Dopo una certa dose di veleno, ecco che il nostro corpo inizia a risentirne e, da qui, la nascita del problema. Un dolore, un malanno, una botta, un inestetismo, una patologia… tutti sono il risultato delle emozioni che abbiamo provato perché non abbiamo ascoltato l’anima e non ci siamo fidati di lei nonostante le sue urla. La tossicità emozionale diventa fisica come un messaggio neuronale che da elettrico, per arrivare al cervello dopo aver ricevuto l’input, diventa chimico e cioè tangibile. Concreto.

Prendersela con quella malattia e con quelle urla è come prendersela con uno che sta alzando il volume della voce per farsi sentire da te che sei sordo.

Questa è la malattia. Il sintomo è un messaggio. La ripercussione sul fisico avviene perché, come ripeto, tutte le parti dalle quali siamo composti, sono collegate e comunicano tra loro.

Se imparassimo ad ascoltare l’anima, fin dai suoi primi sussurri, non dovrebbe gridare. È molto difficile ma, proprio grazie al collegamento anima-corpo, è in realtà possibile. Riuscendoci, non solo smetteremmo di soffrire fisicamente ma potremmo anche scoprire tutte le cose belle che ci attendono e afferrarle.

Prosit!

photo adolescenza.it – discorsivo.it – stateofmind.it – farmacoecura.it – trend-online.com – sanpiox.net – pazienti.it

Cambia le Sinapsi – parte 1°

Questo è un lungo argomento perciò lo dividerò in due articoli. In questo, il primo, avrete la spiegazione di come stanno le cose e nel secondo degli esercizi per riuscire a diventare padroni di se stessi e vivere decisamente meglio, senza essere vittime dei propri pensieri che, spesso, assillano. Educare la mente ad essere una nostra valida aiutante e un buon mezzo, e non all’incontrario, essere noi, suoi schiavi.

NUOVI PENSIERI

Ma si! Che ci vuole?

Il tuo ragazzo ti ha lasciata? Tua moglie ti ha tradito? Tua madre ti ha sgridato ingiustamente? Uno sconosciuto ti ha fatto fare una pessima figura davanti a tutto il paese? Questi episodi, quando diventano ricordi, assillano e rovinano la vita. Vorremmo dimenticarli, non pensarci più. A volte sono così presenti, tremendi e consueti che vorremmo addirittura staccarci la testa per non pensare. Staccarsi la testa però potrebbe essere pericoloso e allora torna comodo un altro metodo: quello di modificare le sinapsi del cervello. O meglio, modificarne il percorso. Non ci vuole nulla! È un gioco da ragazzi! È semplicissimo! È… è…. è una tragedia! Ecco cos’è! È una delle cose più difficili che un essere umano possa riuscire a fare. Ma, senza scherzare più, andiamo con ordine. Innanzi tutto cosa sono le sinapsi? E perché modificando loro possiamo vivere meglio? Lo spiegherò in modo semplicissimo spero che nessun neurochirurgo legga! Ma voglio sia comprensibile a chiunque.

Le sinapsi sono delle connessioni che permettono una comunicazione tra neurone e neurone o tra neurone e altre cellule. In pratica, il determinato messaggio, riesce a passare nel tessuto nervoso proprio grazie alle sinapsi. Esse sono dapprima elettriche e poi diventano chimiche come se il messaggio diventasse concreto e può così accedere, fisicamente, al luogo che lo sta aspettando. L’input quindi arriva e parte poi l’informazione. Nel cervello, come già vi avevo spiegato qui https://prositvita.wordpress.com/2018/04/20/erezione-maschile-e-cervello-in-vasca/ , la maggior parte dei messaggi prende dei percorsi chiamati “percorsi facilitati” (ossia già vissuti) in modo totalmente abitudinario. Stiamo parlando di informazioni che passano dal quel dato “sentiero neurale” milioni e milioni di volte nell’arco della nostra vita o di un solo periodo di essa. Il cervello non trasforma niente se non siamo noi a cambiare e nemmeno le sinapsi che condurranno quel messaggio sempre nella stessa direzione.

Questo, quando accade troppo spesso, diventa OSSESSIONE ma non è colpa di nessuno, semplicemente un procedimento normale che avviene chimicamente e, possiamo dire, “fisicamente” in noi. Così funziona anche la memorizzazione e quindi i ricordi. Hanno la loro tana, anch’essa facilitata, comoda, e di lì non si schiodano. E’ la nostra reazione ad essere sempre la stessa quando qualche avvenimento lo colleghiamo ad un avvenimento precedente (es. trauma). Avvenimento, o persona, o situazione, o cosa, etc… E’ comunque la nostra volontà, anche se non ce ne rendiamo conto e non lo facciamo apposta, a permettere tutto questo. Possiamo però fare anche qualcosa di diverso ma, ogni cosa a suo tempo, continuate a leggere. Ho affermato il tutto semplificando molto un procedimento in realtà parecchio complesso spero sia stato chiaro.

COME COZZE APPICCICATE ALLO SCOGLIO

Bene. Se ne deduce quindi che un pensiero (un ricordo) rimane lì e siamo noi stessi, nutrendolo, a dargli forza, sostanza e… onnipresenza. Avete presente le ossessioni che citavo prima? Sarà capitato a tutti di dire – Non riesco a non pensarci. Non riesco a togliermelo dalla testa! -.

I pensieri generano le emozioni. Cioè, se io ricordo una violenza subita, rivivro’ le emozioni di terrore, paura e angoscia di quel giorno. Il senso di nullità, la voglia di vendetta, etc… tutto questo ci fa vivere bene? Assolutamente no. Ma non solo. Diversi traumi, subiti da bambini, li riviviamo in eventi che noi consideriamo simili anche nell’età adulta nonostante non abbiano nulla a che vedere con l’evento subito. In qualche modo, per noi, e soprattutto per i nostri meccanismi di difesa, ci “assomigliano” e reagiamo alla stessa maniera. L’emozione madre si scatena sempre allo stesso modo e le pulsioni saranno dello stesso tipo.

Come dicevo, modificare un pensiero e quindi dimenticarlo, è superdifficile. Sta abbarbicato come un koala ad un eucalipto senza smuoversi neanche di un millimetro, ma noi non abbiamo più voglia di fare gli alberi da appoggio e quindi andiamo alla ricerca di soluzioni. Perché sì, ci sono le soluzioni. Finalmente una buona notizia. Il dramma è nel metterle in pratica ma ne parleremo.

Vedete, il nostro cervello è abitudinario a livello cronico, pertanto, se noi gli abbiamo sempre fatto pensare al verde ora sono cavoli amari convincerlo a focalizzarsi sul rosso, o comunque, al verde, non pensare più.

21 GIORNI… ALL’ALBA

I grandi esperti dicono che per modificare una sinapsi ci vogliono 21 giorni. Facciamo un esempio pratico. Se io guido una macchina normale e quindi sono abituata ad usare la frizione, nel momento in cui acquisto un’auto automatica, il mio piede sinistro impiegherà 21 giorni (circa) per disabituarsi dal premere il pedale della frizione. Quindi, se un brutto ricordo mi assilla, dovrei impiegare 21 giorni per eliminarlo, così come l’abitudine del piede sinistro. Ma dobbiamo dargli il nuovo “sistema” ossia dobbiamo dare al nostro cervello una “macchina automatica”. Creare il cambiamento nuovo al quale può aggrapparsi mollando il vecchio.

Se perciò mi viene alla mente quella determinata cosa che mi fa male, per mandarla via, mi dovro’ sforzare a pensarne un’altra. Il pensiero rivolto ad un ex compagno, ad esempio, diverrà il pensiero rivolto ad un blog, o ad un amico, o a una cosa che piace, o ad un lavoro. Dobbiamo cioè creare UN’ASSOCIAZIONE DI PENSIERO. Quella cosa nuova (che dovrà essere “bella”) verrà correlata all’ ex e, man mano che passano i giorni, ogni volta che il pensiero cadrà sul non più partner, automaticamente, si inizierà a pensare a quell’altra cosa. Via il pensiero via il dolore, o il fastidio, o altro. La nuova riflessione può essere dirottata ad un qualcosa di non ancora accaduto, fantasticando attimi magnifici, o a qualcosa di già successo che riporta a splendide emozioni. Praticamente stiamo creando una nuova sinapsi e, piano piano, quella piccola nuova comunicazione scaverà un nuovo percorso da intraprendere e seguire, poi lo inizierà, si abituerà a quello e passerà sempre di lì. Vi dimenticherete così l’ex compagno (certo non del tutto, la memoria l’avrete sempre, ma cambieranno gli stati emozionali correlati al percorso di prima). Non è questione di menefreghismo è un qualcosa di biologico. Il nostro cervello funziona così. So che non è buono essere rivolti al passato o al futuro ma, vivere il “Qui e Ora” e fare la Presenza, lo sospenderei un attimo, per il momento, come discorso. Un passo alla volta. Oggi parliamo di sinapsi, poi parleremo del vivere l'”Adesso”.

Torniamo a prima, insomma che, detta così, sembra semplice ma non lo è per niente. Ricordatevi che sono koala, anzi chewing gum, anzi cozze! E sappiate che, mentre il cervello sta ai vostri ordini, la mente invece cercherà sempre di remarvi contro. Cosa gli abbiamo fatto di male a sta mente poi, un giorno, qualcuno me lo deve spiegare eh?

Comunque, dicevo, non è facile. Bisogna quindi usare al meglio gli esercizi adatti.

ALLENARSI.

Bene, per il momento mi fermerei qui. Nel prossimo articolo leggerete degli esercizi che io personalmente ho trovato utili e interessanti. Funzionano e quindi ve li racconterò. Intanto provate a pensare se avete anche voi pensieri che, troppo spesso, passano per sentieri che vorreste modificare.

Prosit!

photo automobilandia.com – greenstyle.it – ansa.it – theonlyoroscopo.com – studioarmonia.net

Le Memorie non Rimosse – la Cristallizzazione delle Emozioni

Quando ero piccola, i miei genitori non potevano permettersi di comprarmi un paio di scarpe ad ogni cambio di stagione.

Finiva così che le suole si consumavano talmente tanto da spaccarsi in tagli orizzontali che lasciavano entrare aria e acqua contro la pianta del mio piede e, d’inverno, la cosa non era per nulla piacevole.

Oggi, ho un lavoro che mi consente di acquistare le scarpe che desidero e quando lo voglio.

Amo passare nelle pozzanghere, cosa che da bambina non ho mai potuto fare per non rimanere poi tutto il giorno, magari a scuola, con i piedi freddi e bagnati.

Nonostante siano passati molti anni da quel tempo però, ogni volta che piove e sto per mettere un piede in acqua, qualche secondo prima, una sola frazione d’attimo prima, il mio corpo si indurisce, lo stomaco si strizza, una lieve torsione delle viscere mi ricorda il freddo che da piccola sentivo penetrare attraverso le suole lacerate.

I miei occhi, oggi adulti, vedono la pozzanghera e, senza il comando, il mio corpo si prepara a ricevere il gelo.

Poi, il sollievo, i passi attraversano il bagnato senza ch’io ne subisca le conseguenze, perchè ora le mie suole sono intatte e perfette“.

Ma le memorie rimangono dentro e fanno reagire sempre allo stesso modo anche se quel pericolo in realtà non c’è più. Sono tracce antiche, ossidate, ferme in quel punto a fare da scudo. E oggi condizionano i nostri comportamenti.

Dei meccanismi si azionano, pronti a difendersi/ci dal trauma, al di là del nostro volere e percepiamo la stessa situazione seppur inesistente.

Questo accade in ogni frangente della nostra vita. Accade nella vita di coppia, al lavoro, in auto, ad un’interrogazione a scuola, nei confronti di uno sconosciuto…

Molto spesso, ciò che per noi è reale e ne percepiamo esattamente i sintomi, in realtà, non esiste.

Non più per lo meno.

Avviene la cosiddetta CRISTALLIZZAZIONE delle emozioni.

Nasco. Accade l’evento. Provo l’emozione. Reagisco. Cresco. Riprovo la stessa emozione, al di là che riaccada o meno il medesimo evento. Reagisco. E avanti così… per tutta la vita come un cane che si morde la coda.

Quelle emozioni sono le mie e sono soltanto mie. Il freddo che io provavo, per un altro poteva essere piacevole.

Un cane che abbaia può far nascere diverse emozioni negli stati d’animo di diverse persone. Ci sarà quello al quale farà tenerezza, quello al quale darà fastidio, quello che neanche lo sentirà… eppure, è sempre lo stesso cane ed è sempre lo stesso abbaiare ma è a seconda delle proprie memorie che si reagisce (si prova emozione) verso la determinata situazione.

Le emozioni sono dentro di noi e non fuori. Non è l’evento il soggetto da analizzare ma noi stessi. L’evento è soltanto un mezzo. Se non capiamo questo ci porteremo sempre dietro la nostra emozione incolpando l’esterno.

Può sembrare impossibile ma il cane che abbaia, e che mi infastidisce, non lo eliminerò dalla mia vita cambiando casa o cambiando città. Arriverà qualcosa d’altro ad infastidirmi e forse ancora più del cane. Il cane in realtà… è come se non esistesse. Non esiste più come non esiste più la suola tagliata ma ci muoviamo e reagiamo in base a dei ricordi. A dei meccanismi inconsci. E’ il fastidio che invece continua ad esistere e si manifesta in tanti altri modi.

La cristallizzazione delle emozioni avviene durante gli anni e diventa una massa vera e propria, sempre più grande, all’interno di noi. Grande e potente. Così potente da divenire il nostro padrone. Colui che governa le nostre azioni ossia la nostra vita. E’ questo che non dobbiamo permettere accada. E’ da lì che dobbiamo uscire. Da questo circolo vizioso e diventare noi i padroni della nostra vita e quindi AGIRE anziché REAGIRE in base agli eventi. Disegnando la nostra strada, il nostro cammino, la nostra esistenza.

– Quando REAGISCI sei schiavo di ciò che hai subito. Se hai subito qualcosa da qualcun altro sei suo schiavo, un suo servo.
– Quando AGISCI sei padrone di te, hai sempre l’Amore a guidarti (il che non significa sopportare e farsi calpestare) e non agisci in base a ciò che hai subito bensì in base a ciò che sei e vuoi continuare ad essere.
Ed è solo attraverso l’AZIONE che potrai essere Superiore e padrone virtuoso e integro della tua vita.

Sii GUERRIERO e non SCHIAVO.

Non permettere a sensazioni nate solo per un’apparenza di governare ciò che sei. Non odiarle, sono state per molto tempo i tuoi scudi migliori ma, ora, osserva. Probabilmente non servono più. Probabilmente devi fare un passo avanti. Le tue suole ora, sono integre e puoi.

Prosit!

photo amando.it – pixabay.com – slideplayer.it – fisicaquantistica.it – macrolibrarsi.it – lifewaychurch.life – princeofpersia.wikia.com – petsblog.it

Tachicardia – ma è davvero solo Colpa del… Caffè?

Il Cuore è l’organo sede dell’Amore, della Sicurezza e della Passione. Soffre e gioisce per le emozioni che proviamo e per come le percepiamo in base al nostro passato e, a differenza di altri organi, riesce a “farsi sentire”. Uno degli escamotage che maggiormente usa per annunciarci qualcosa di positivo o di negativo è cambiare il ritmo al proprio battito.

Quando il suo ritmo è particolarmente lento, per indicare questo movimento, si usa il termine di Brachicardia mentre, all’inverso, quando il Cuore accelera il suo “pum pum” si dice Tachicardia e sarà di questa frequenza cardiaca che parlerò oggi.

In molti ne… soffrono. Si suol dire così: – soffrire – di Tachicardia.

In realtà, per fastidioso che possa essere, questo ritmo percepito dal corpo e che addirittura spaventa la persona, la maggior parte delle volte non dovrebbe essere vista come una sofferenza (a meno che non ci sia una grave patologia in corso). Non dovrebbe essere vista come una sofferenza in quanto è semplicemente il linguaggio del Cuore che non ha altri mezzi per comunicare con noi se non appunto con il suo movimento.

Il Cuore è l’organo propulsore del sangue e pompa, indipendentemente dalla nostra volontà, il liquido rosso e vitale in tutto il corpo. La sua capacità di ridurre o aumentare la velocità con la quale il sangue deve irrorare e ossigenare i nostri tessuti serve alla nostra sopravvivenza e a darci la possibilità di svolgere svariate funzioni nella vita. Si avrà pertanto, parlando di battito accelerato, un ritmo più veloce in caso di sport, o di paura, o di bisogno di energia, condizioni normali nelle quali qualsiasi individuo può ritrovarsi anche quotidianamente.

A volte però, la Tachicardia, subentra in momenti del tutto imprevisti e inaspettatamente.

Si può dare la colpa ad un eccessivo uso di nicotina, o caffeina, o teina, etc… tutte sostanze eccitanti che, senza ombra di dubbio, influiscono sull’accelerazione del battito del nostro Cuore; si può dare la colpa ad una malnutrizione sicuramente ma, anche le emozioni possono dare il “via” a questo fenomeno e, soprattutto, a farlo, sono le emozioni che ci opprimono, quelle che ci schiacciano, ferme lì da tempo e che ci soffocano senza che ce ne accorgiamo. Si tratta quindi, prevalentemente, di emozioni negative.

E’ per questo che il nostro Cuore ad un certo punto inizia a sbraitare e a “battere i pugni” con più veemenza – Ehi! Mi senti?! Sto soffocando a causa di un grande peso che porti sul petto vuoi far qualcosa per favore???!!! -.

Le emozioni che causano questo tipo di manifestazione possono essere molte: rabbia, sofferenza, fastidio, vergogna, giudizio, tristezza, frustrazione, disgusto, svalutazione… e, ogni volta che qualche fatto nella nostra vita ne ricorda l’esistenza, ecco che l’Emozione Madre, come un masso, si appesantisce ancora di più. E il Cuore scalcia.

Ad esempio, se io da bambina ho subito un grave torto, un trauma, a causa di un’umiliazione pesante ricevuta, ogni volta che qualcosa mi ricorderà quell’avvenimento lo rivivrò e rivivrò di conseguenza l’emozione subita in passato. Naturalmente non ricorderò consciamente il fatto, tutto avverrà nell’Inconscio senza ch’io me ne accorga ma, il mio Cuore, lui sì, lo rammenta bene. Ricordiamoci che del nostro cervello, e delle sue capacità e potenzialità, ne utilizziamo soltanto una piccola parte.

Qualcosa che portiamo ancora dentro di noi e che NON abbiamo lasciato andare ci sta opprimendo.

Ma cosa? Come ho detto è spesso impossibile da ricordare anche perché sovente non è un fatto singolo ed eclatante accaduto in tenera età; può essere una goccia ricevuta ogni giorno nella nostra vita, piccola e banale, ma molto amara da bere e da mandare giù.

Pertanto, quando percepiamo in noi la Tachicardia, non soffermiamoci solo sul caffè appena bevuto. Non pensiamo che – Ci viene solo se beviamo il caffè e quindi la colpa è del caffè -. Proviamo a riflettere su tutto quello che risiede attorno a quel caffè (ripeto che il caffè è soltanto un modello).

Piccoli esempi di domande alle quali bisognerebbe cercare di rispondere:

– chi ti preparava il caffè (la colazione) quando eri bambino?

– chi non te lo preparava ma avresti voluto lo facesse?

– com’erano i tuoi risvegli? La mamma ti accarezzava e ti baciava per darti il buongiorno?

– a chi eri obbligato a preparare il caffè la domenica? A quello zio che non sopportavi e che non avresti voluto vedere mai più?

– cosa ti ricorda il profumo del caffè? E il suo gusto? Lo associ ad un gelato? A momenti passati con gli amici?

– ti ricorda quella nonna che ti lasciava sempre un po’ di zucchero sporco di caffè nella tazzina?

– tuo padre beveva molti caffè per rimanere sveglio e lavorare di più per mantenerti? Ed era anche molto nervoso?

– a scuola prendevi bei voti perchè portavi il caffè in classe al maestro ed eri il suo “cocco”?

Ecco, questi sono solo esempi che probabilmente non hanno nulla a che vedere con te che stai leggendo questo articolo ma volevo cercare di “educarti” ad aprire la tua mente e insegnarti ad andare oltre. A non soffermarti unicamente sulla fisicità di una bevanda e sulle sue caratteristiche. Cerca di individuare cosa risveglia nel tuo bagaglio di vita tutto ciò che ha a che fare con il caffè.

Se riesci ad individuare quello che ti disturba, l’emozione correlata appunto, potrai poi lavorarci sopra lasciandola andare, o perdonandoti, o perdonando chi ha compiuto nei tuoi confronti il gesto deplorevole ma… la parola d’ordine è: LIBERARSI. Sollevare, appunto, quel “peso dal petto”.

E liberare così il proprio Cuore che non dovrà più battere forte e veloce per avvisarti e aiutarti.

Mi è capitato di sentire persone che durante un attacco di Tachicardia si battevano forte sul petto offendendo il proprio Cuore – E stai fermo porca miseria! Ma senti sto ca@@@ di Cuore come deve battere! Che fastidio quando fa così! -. (Da notare anche come il battersi sul petto indica inconsciamente una situazione di senso di colpa, “mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa”, alla quale siamo stati educati fin da bambini).

Davvero! Non vi racconto bugie! Quel Cuore mi faceva molta tenerezza in quel momento. Lui voleva solo avvisare il “padrone” che avrebbe potuto vivere decisamente meglio. Senza aggravare la situazione. Sì, è bene ascoltare il proprio Cuore proprio per non incorrere poi in disturbi più fastidiosi. Nulla di grave per carità ma, la Tachicardia, potrebbe iniziare a durare poi ore e trasformarsi in aritmia (che già lo è e, in caso di irregolarità persistente, diventa fibrillazione atriale) dalle conseguenze per niente piacevoli anziché rimanere un episodio breve e di poca importanza.

I problemi emotivi di lunga durata portano ad uno stato di – non gioia – e il Cuore si ribella, non c’è niente da fare, perché lui invece intende vivere nella più completa felicità e nel benessere totale. E’ nato per questo, non per soffrire, e non gli si potrà dare un ruolo che non gli appartiene. Non è come noi anche se fa parte di noi. Non si assoggetta, non è disposto a tormentarsi pur di ottenere un’esistenza anche se misera. Il Cuore punta in alto, vuole la salute piena, la gioia, la bellezza incredibile e infinita di quello che noi siamo.

Prosit!

photo stateofmind.it – mynwwellness.com – caffeinamagazine.it – philosism.ru – maestraemamma.it – isolafelice.it – psicoadvisor.com – youtube.com – rimasdopreto.com

Game Over

Premessa: è accertato e appurato che, fortunatamente, questo articolo, non ha nessun collegamento con persone bisognose di vero aiuto, propense al suicidio, o quant’altro. Le conosco personalmente e anche molto bene. Il post non vuole essere quindi un’omissione di soccorso ma semplicemente sottolineare il disagio provato in determinati momenti della vita e che, a chiunque, può capitare di percepire. Si intende anche però rendere importante quanto sia essenziale non dimenticarsi mai che SI PUO’ RIUSCIRE A SUPERARE I PROBLEMI, ANCHE QUELLI CHE SEMBRANO INVINCIBILI.

Mi succede a volte di leggere messaggi, come questo qui sotto, scritto a tutti, sui Social, come puro sfogo e alla ricerca di risposte di comprensione e conforto:

Purtroppo sento che da questa situazione non ne usciro’, la ripresa in salita per me e’ troppo dura, troppo lunga ed esageratamente faticosa. Non ce la faro’ mai. Riprendere padronanza della mia vita è impossibile. Riprendere in mano quelle che erano la mia libertà, la mia voglia di fare, la mia totale esistenza non è più fattibile. Mancano completamente tutte le basi principali, vago nel vuoto destabilizzato. Non ho presupposti, ne fiducia, ne forza. Devo arrendermi. Arrendermi all’evidenza. La fine è arrivata e non so davvero che cosa farò di questa cosa che si chiama vita. Come vivrò? Boh? Game Over… -.

Scritte che addirittura spaventano. Rattristano parecchio.

Non sono bei momenti. Esistono purtroppo periodi così e non si possono sminuire. Soprattutto, io personalmente, non intendo giudicare la gravità di tali problemi.

Potrebbero essere inezie ma quella persona è particolarmente sensibile, o patetica, o debole, e reagisce a questo modo.

Oppure potrebbero essere davvero gravi situazioni e la persona, stanca e avvilita al massimo, non ha più forze.

Non lo so e non lo voglio sapere perché non è ciò ad essere importante per me e, in questo articolo, voglio focalizzarmi su altro.

Ogni sensazione merita il più alto rispetto.

Quello che però mi sento di dire e non con supponenza ma nella più grande speranza che possa fare del bene, pur sembrando forse inutile, è che così dicendo e così pensando è come avere già perso.

Capisco l’angoscia, lo smarrimento, tutto… ma, se è possibile, mentre si piange, mentre ci si dispera, mentre le unghie si spezzano arrancando, occorrerebbe sempre dire – Io ce la farò -.

Dillo… tanto che ti frega? Tanto se devi cadere cadi lo stesso. Dire una cosa piuttosto che un’altra è uguale. Vivi nel – Non ce la faccio – sfogati, è giusto e ti fa bene, ma prova a tenere sempre una molecola sintonizzata sul – Ce la posso fare -.

Aspetta… “Dire una cosa piuttosto che un’altra è uguale”?… Ops! Che ho detto?! No, no non è uguale! E’ proprio qui che sta la differenza!

Se affermiamo il – Non posso – il nostro cervello registrerà il – Non posso -. E’ molto semplice. Che si sappia: il nostro cervello non è in grado di ragionare da solo. Si capisce? Ebbene se non si capisce lo spiego molto brevemente: la nostra mente è prevalentemente un registratore che accudisce in se’ gli avvenimenti del passato segnandoli come tracce mnemoniche per permetterci poi in futuro di comportarci di conseguenza (vale a dire allo stesso modo) ma la vita non è sempre la stessa, così come non lo sono le condizioni. Inoltre, è bene capire che, se in passato si è agito in una maniera per una determinata difesa, non è detto che la seconda volta quel metodo sia quello corretto. Quante volte agiamo per vergogna o perché siamo vittime del giudizio degli altri? Questo non significa appunto che stiamo agendo al meglio.

Tornando al discorso di prima voglio dire che non è cinismo il mio, ma l’ho provato, e posso assicurare che non è retorica. Fa davvero bene. In qualche modo, anche se minimo, serve. Riesce. Anche se può sembrare stupido e banale e inutile e ingannevole. Ha una sua forza.

Non voglio farla facile. Chi mi conosce sa che sono una persona empatica e sensibile. Posso percepire la sofferenza degli altri ma ho imparato che non è avvallandola e ingigantendola che aiuto. Ascolto, appoggio, offro tutto il mio sostegno possibile. Comprendo, sento, ma non posso permettermi di dirti – Si, è vero, non ce la farai -. Sarebbe come ammazzarti.

Lo accetteresti che un amico ti dicesse – Hai ragione, NON ce la farai! -? No. E allora perché te lo dici tu stesso? Quando scrivi certe cose, perché hai bisogno di commenti confortevoli, devi capire che anche tu devi e puoi darti forza. La tua parte più viscerale lo vorrebbe proprio come tu lo pretenderesti da un amico o da un parente.

Qualcosa dentro di te ha già gli strumenti adatti a sorpassare quel momento. E’ già distaccato da quel dolore che stai sentendo ma tu devi aiutare te stesso affinché anche la tua ragione possa evitare di farti percepire il malessere.

Oltre a lasciar andare la sofferenza è importante che tu non ti identifichi mai con lei. Tu non sei la tua sofferenza. Essa è soltanto una storia che tu ti racconti per imparare qualcosa. Una volta raccontata, rammenta la storia, trattienine il prezioso insegnamento, ricorda di non confonderti mai con lei e lascia andare il dolore che essa ha portato. A te è utile l’insegnamento, non il dolore – (dal libro “Avrah Ka Dabra – creo la mia felicità” di Dario Canil).

Non siamo venuti al mondo per non farcela. Siamo venuti al mondo per imparare eventualmente ma per poi riuscire e poter riprovare ancora, perciò, dopo questa situazione, ne vivrai altre altrettanto brutte ma da qui ti leverai, ce la farai e ce la farai anche in futuro. E’ così.

Mentre ti disperi pensa che soltanto un essere VIVO può disperarsi e, in quanto VIVO sei estremamente perfetto in questo momento. E, in quanto VIVO, nulla può ucciderti.

Una cosa VIVA è VIVA e non può morire.

Sei molto molto più forte di qualsiasi situazione. Hai più potere di una situazione. Un avvenimento non è come ciò che sei tu.

Perciò non è un GAME OVER ma un GAME STARTED.

Prosit!

photo foto community.it – youtube.com – h2ogroup.it – bergamonews.it

Pillolette da FaceBook

Per chi non segue la mia pagina Facebook di Prosit https://www.facebook.com/prositvita/ posto qui qualche breve articolo, da me scritto e di vario genere, che può essere utile. Sono solo “pillole”, accenni, ma forse possono servire per riflettere e magari trovare soluzioni:

1)

Ascolta bene…
tu hai una malattia ma non SEI la malattia. Tu hai un dolore ma non SEI il dolore. Tu hai un disagio ma non SEI il disagio.
Staccati da ciò che di negativo provi. Siete due cose distinte. Anche se certe cose le senti dentro di te, loro NON SONO te.
Tu sei tu. E sei più forte. Non permettere ai disturbi di prevaricare e vincere. Lo so che è dura ma molte persone sono riuscite a guarire partendo proprio dallo scindere se stesse da ciò che era per loro il male. Il male è una situazione. Tu hai l’Universo dentro. Hai il divino. Sei superiore ad ogni cosa anche se hanno detto il contrario. Godi del libero arbitrio che hai di poterti distaccare, di poter scegliere, almeno nel limite delle tue facoltà.

2)

Non credere a tutto quello che ti viene detto come una pecora! Ma neanche a quello che dico io o leggi sul mio blog. Informati, appura che sia realmente così. Fai delle prove, confuta! Hai un tuo cervello, un tuo cuore, delle tue emozioni. Devi sentire. Impara a mettere in dubbio. Non essere assolutista o estremista. Apriti. Non essere una zavorra appesa ad una mongolfiera. Prendi di ogni cosa quel tot per cento che ti appartiene e fallo tuo. Tutti sbagliano, tutti possono commettere errori. Impara ad estrapolare il buono da ogni concetto, da ogni pensiero. Non pendere dalla bocca di nessuno, sii te stesso. Prendi consigli, cerca di carpire il meglio ma fallo tuo perchè soltanto tu sei dentro di te. Se ti dicono che quell’alimento fa venire un tumore, studia! Controlla se è vero. Osserva ogni lato. Se ti dicono che fare così è sbagliato, controlla il perchè. Se ti dicono che devi pensarla a quella maniera, fai delle prove sulla tua pelle. Svegliati! Apri la TUA di mente non entrare nella mente già aperta degli altri.

3)

Sei grasso/a?
Stai a dieta, perfetto, l’alimentazione sana è sicuramente alla base… ma se prima non rispondi a certe domande, a mio avviso, sarà difficile che riesci a dimagrire.
Ovviamente devi rispondere a te stesso/a e partire poi da lì a lavorare internamente su di te.
– Cosa non ti soddisfa della tua vita?
– Hai bisogno di essere notato/a perchè hai poca autostima o pensi di non riceve abbastanza amore?
– Quale mancanza senti?
– Da cosa, o chi, devi difenderti?
Pensi che una o più di queste domande può appartenerti?
Bene, lavoraci sopra. Quello è il tuo trauma ed è lui che trasforma anche il tuo fisico.

4)

La radice di molte malattie è l’INSODDISFAZIONE.
L’ansia, la depressione, l’obesità e molti altri disturbi derivano sempre da lì anche se sovente non sappiamo neanche per che cosa siamo insoddisfatti. La vita che conduciamo, ciò che ci circonda, non ci piace e soprattutto non ci basta. Vorremmo altro, vorremmo cose diverse, vorremmo cose che non abbiamo. E, la maggior parte delle volte, tutto questo, esiste per la PAURA. Vorremmo cambiare partner ma abbiamo PAURA (di rimanere soli, del giudizio degli altri, della sua reazione…), vorremmo cambiare lavoro ma abbiamo PAURA (della mancanza di sicurezza economica, del salto nel vuoto, del giudizio, del futuro…). Abbiamo paura di offendere, di non trovare più ciò che possediamo, di mostrarci sbagliati, o persone facili e leggere. E così continuiamo nella routine giornaliera, in quel tran tran che non ci porta critiche esterne, che non ci spaventa perchè è la nostra comfort zone (zona di comfort) ma che ci logora dentro e ci ammaliamo. Quando il timore ci pressa, purtroppo non si può partire a spada tratta come molti consigliano facendola semplice, ma posso assicurarvi che osservare ciò che di bello abbiamo e praticare la gratitudine costantemente aiuta davvero molto. Moltissimo. Ci aiuta ad avere fiducia in noi stessi, ci mostra il lato bello della vita e l’inconscio registra il “bello”. Tutto questo attenua la paura di volta in volta e, più avanti nel tempo, saremo in grado di fare un piccolo passo in avanti e poi sempre di più. Questo non è difficile da fare, ci vuole solo voglia e dedizione.

5)

Per favore… non confondiamo l’istruzione con l’intelligenza. Istruito è colui che ha letto tanti libri, intelligente è colui che può leggere tanti cuori.
Poco importa se conosci tutte le leggi della fisica ma non sai riconoscere i tuoi torti e pretendi di avere sempre ragione.
Poco importa se reciti un saggio a memoria ma calpesti il tuo vicino per arrivismo.
Poco importa tutto ciò che non contempla la sensibilità, l’empatia, l’umiltà e la compassione.
L’istruzione affascina. Affascina tantissimo. Spesso può ridurci a zavorre appese in balia del volere di un altro essere che… “ne sa più di noi”.
Ma dove non c’è cuore non c’è nulla.
E osserviamo, se noi invece il cuore lo abbiamo, è quell’altra persona, con tutto il suo sapere, che dovrebbe inchinarsi al nostro cospetto.
L’istruzione libera dalla schiavitù si, ma un’istruzione senza amore, è un’arma che distrugge come qualsiasi altra possibile arma. Non c’è differenza.
Non mettete il vostro cuore in mano a un cervello.

6)

Non vergognarti di raccontare un torto che hai subito. Un’offesa che ti ha fatto male. Sentiti grande e superiore di essere lì, a dirla, apertamente. Sentiti superiore di chi ha cercato di spegnere la tua luce e illumina te stesso facendo fuoriuscire le ombre che ti attanagliano. Non infangare l’altro ma liberati dal male. Perché parlando, anche solo con il cielo, ad alta voce, come se fosse un amico, ti purifichi. Ti consiglio vivamente di farlo. Che tu ci creda o no, arrivano anche le risposte e i consigli migliori da un qualcosa di molto, molto più grande di noi. Siediti su uno scoglio, su una panchina, sul tuo letto e racconta. Raccontati. Starai meglio.

Ecco qui. Tutte per voi. Vi auguro il meglio.

Prosit!

photo internationalwebpost.org – focus.it – es-pinterest.com – youtube.com – losingmind.it – bewellhub.com

Consiglio: Scrivere cosa ci ha fatto stare male

Il consiglio che vorrei darvi oggi probabilmente lo conoscete già ma io posso testimoniare che funziona davvero. E’ una tecnica che uso anche con chi mi chiede aiuto e noto che pure queste persone, eseguendola, trovano un giovamento. Si tratta di scrivere/descrivere, una situazione “brutta” che avete vissuto. d

Ci troviamo a volte a dover affrontare avvenimenti davvero spiacevoli per noi, traumatizzanti, che lasciano ferite aperte per molto, molto tempo, divenendo sovente, persino inguaribili. Questa è in realtà la parte più negativa. Il ricordo. Il ricordo che continua a vivere in noi. Durante il fattaccio, costi quel costi, siamo in grado di affrontare ciò che arriva, siamo in grado di reagire, siamo in grado di pregare per trovare la forza e ovviamente, non possiamo pensare in quel momento o in quel periodo, quanto male quella situazione sta facendo a noi stessi, nella nostra parte più viscerale. Non è un problema, la risaneremo appena riusciremo a tranquillizzarci ma come? Si crede sovente di riuscire a dimenticare. Attenzione, non è sempre così. Purtroppo, i fatti che ci scuotono particolarmente rimangono impressi in un cassettino del nostro cervello senza abbandonarci del tutto. Altre volte invece rimangono letteralmente, ben visibili, e possiamo vederli affacciarsi ogni giorno nella nostra testa. Cerchiamo di sconfiggerli sia che siano piccini, sia che siano enormi. Sono state esperienze della nostra vita che oggi non devono più esistere, non devono più continuare a farci male. Se avevano da insegnarci qualcosa, prendiamo quel qualcosa e abbandoniamo tutto il resto. Ci sforziamo con il pensiero di lasciar andare, proviamo a perdonare chi ci ha fatto questo, a  capire noi stessi, a giustificarci o a coccolarci, pur di “guarire” da quel tarlo che rosicchia ma non ce la facciamo. Dobbiamo allora quel tarlo, prenderlo e darlo a qualcun’altro travestito da foglio bianco o da schermo di pc. Scriviamo bene, per filo e per segno, con molto impegno, quel che ci è successo. Scriviamo con l’anima. Scriviamo il perchè è accaduto secondo noi, cosa abbiamo subito, cosa avremmo voluto fare, cosa abbiamo fatto e non. Chi ha partecipato insieme a noi a quella vicenda, come vorremmo vivere ora, insomma… tutto. Tutto quello che ci viene in mente ma facendo parlare il cuore. Nessuno dovrà leggerlo, per cui potrete davvero mettere nero su bianco ogni cosa. Sfogatevi in tranquillità visto che probabilmente non avete potuto farlo prima. Dovrete scrivere un libro. Ovviamente, più l’evento è stato traumatico e destabilizzante e più sarà lungo da descrivere perciò non abbiate paura di stilare un vero e proprio romanzo se dovesse servire. Nel caso decidiate di buttarlo giù tramite computer, vi consiglio di stamparlo poi e tenerlo in un angolo della vostra libreria. Una volta terminato, rilegatelo magari e catalogatelo bene come se fosse un fascicolo a sè e sistematelo dove meglio credete. Dateci anche un titolo e abbellitelo esteticamente. Quello è il vostro libro, uno dei tanti, un episodio della vostra vita. alai.it

Sono sicura che con il tempo, il ricordo di quella negatività vi abbandonerà e potrete trovare la serenità che meritate. Non è più in voi ora. Sarà solo tra quelle pagine, e siete padroni di tenerle, o buttarle, o bruciarle, come meglio credete, ma sarete voi a comandare, non più loro. Ora, sono “solo dei pezzi di carta“. Vi consiglio di aspettare almeno un anno prima di prendere la decisione di liberarvene perchè sovente ci vuole davvero molto tempo prima di dimenticare ma soprattutto perchè se riteniamo di aver compiuto degli errori che non vorremmo più ripetere, in quei fogli, rileggendoli, riusciremo sicuramente a trovare le giuste soluzioni. Riusciremo inoltre a mettere ben a fuoco cosa davvero di quell’avventura ci ha logorato e spaventato e, in principal modo, riusciremo a leggere il suo insegnamento. Un pezzo della nostra vita ora ben tangibile, palpabile, concreto. E se prima non sapevamo, nei meandri della nostra mente, dove andare a cercarlo, eccolo… sul terzo piano dello scaffale in salotto. E se prima era edulcorato o inquinato da altri mille pensieri, riuscendo a celarsi bene per non essere trovato, adesso eccolo… è lì.

tempolibero.pourfemme.it

Grande come un quaderno, ben chiuso dentro ad una cartellina. Completamente inoffensivo. Completamente vostro. Non può più farvi paura. Dovete sapere, che addirittura, ci sono traumi vissuti nell’infanzia che riaffiorando nell’età adulta, mascherati da nuovi avvenimenti, possono provocarci lo stesso dolore di un tempo, trasformato talvolta anche in disturbo fisico. E’ ovviamente un episodio lontano ciò che ci ha causato quel malessere, neanche lo rammentiamo, ma è rimasto lì. Questo per farvi capire che non muoiono mai. Continuano a vivere dentro di noi e si nutrono della nostra quotidianità, saltando fuori all’improvviso, nel momento stesso in cui un minimo campanellino d’allarme trilla nel nostro inconscio mosso dalla nuova situazione simile, appena vissuta. Per simile intendo che riporta allo stesso risultato. Vi faccio un esempio: se un bambino è stato abbandonato dal padre in giovane età, vivrà la sua vita nell’ansia che anche altri possono abbandonarlo. Come l’ha fatto il padre, perchè non potrebbe ora farlo la mamma, l’amico, la fidanzata, il datore di lavoro? Non c’è differenza. Ora, è ovvio che quel bambino, divenuto uomo, non avrà più un padre che lo abbandona, questo è già avvenuto, ma gli basterà sentire una frase tipo – Mi dispiace, non posso aiutarti – per fargli rivivere l’incubo. E’ una frase normalissima ma, per lui, è un punto debole. E’ una ferita aperta. Quando una ferita è aperta, anche solo l’aria che ci passa sopra può far male. Quella frase, viene tradotta come “Non posso starti vicino, devi cavartela da solo, ti abbandono, io non sono lì con te“. Proprio come ha fatto suo padre. Lui non riconoscerà il collegamento con il padre ma, in un modo del tutto inspiegabile, inizierà a star male. Come farà a cavarsela da solo? Inizierà a provare ansia, paura, destabilizzazione, tristezza, inquietudine. Tutte emozioni che logorano, che causano danni. Il consiglio che vi ho dato, potrebbe non essere una risoluzione totale. Non m’innalzo al livello di psicologi e neuropsichiatri ma so che può aiutare. E poi, i medici di questo settore, non vi fanno forse parlare, giustamente, per buttare fuori quel che v’inquieta? Come vi ripeto, date ad altri il vostro problema. Cercate di eliminarlo da voi. E, un primo step, potrebbe proprio essere questo.

Prosit!

photo jivasmind.tumblr.com – alain.it – tempolibero.pourfemme.it