Vivere il Presente e “staccare” davvero quando si è nella Natura

La maggior parte delle persone che mi racconta l’ultima esperienza vissuta in natura si sofferma molto su un qualcosa che è successo di eclatante ma mi rendo conto che non va oltre.

Prendiamo, per esempio, come luogo, la montagna. Amo la montagna, la vivo, sono un’escursionista e un’esploratrice per cui, amici e no, vengono spesso a raccontarmi le loro avventure per poterle così condividerle con me. Per imparare, per coinvolgermi o anche per insegnarmi.

Finchè mi parlano di tecnica non discuto su nulla, anzi, posso solo che stare zitta e ascoltare ma se il discorso vira verso mete più… spirituali o emozionali, mi accorgo subito che molti di loro, in realtà, non sanno neanche di cosa stanno parlando. Questa però non vuole essere una critica, ognuno è libero di vivere come vuole gli eventi ma, essendo che essi stessi ricercano con smania ciò che raccontano, ho deciso di scrivere quest’articolo per aiutare e quindi non per giudicare.

Per ricollegarmi alla frase iniziale di questo post, come dicevo, vengono registrate solo immagini eccezionali. Cioè: se avviene un incontro a sorpresa con un animale, se si può godere di un panorama mozzafiato, se si nota un fiore bellissimo, se si vive un fenomeno particolare regalato da Madre Natura, etc… allora lo si serba dentro, lo si ricorda e lo si riporta, ma se mentre si cammina per un sentiero io chiedessi – Che alberi c’erano dieci minuti fa attorno a noi? – in pochi risponderebbero. Questo non significa che bisogna sapere per forza il nome di tutte le piante, il problema è che non si saprebbero neanche descrivere. Quelle foglie com’erano? Grandi o piccole? Che forma avevano? Che venature avevano? Non si sa.

ESSERCI

Non si sa perché non si osserva ma, in questo particolare caso, “osservare” non significa solo “guardare”. Significa “esserci”. Inoltre è anche molto utile “osservare”, in luoghi montani, al fine di evitare di perdersi e riuscire ad orientarsi.

Quando abbiamo iniziato questo percorso, hai camminato su pietre o su terra battuta? L’edicola con dentro quella piccola Madonnina, all’inizio della strada, l’hai vista? Che due farfalle stavano facendo l’amore su quell’Orchidea selvatica l’hai notato? -. La risposta è (quasi sempre) – No -.

Questa non è una colpa. Tutto ciò accade semplicemente perché, in realtà, non riusciamo a staccare con la nostra parte materiale. La cosa è un po’ difficile da fare e anche da spiegare. La nostra porzione fisica ci serve durante un’escursione, così come ci serve in ogni azione della nostra vita. In un’avventura in montagna la Mente deve essere presente. Ci aiuta a scegliere, a valutare, ad essere attenti. Il corpo deve rispondere a determinati impegni, ci avvisa se ci stiamo disidratando, ci permette di raggiungere luoghi meravigliosi. Non possiamo e non dobbiamo distaccarci del tutto da quello che siamo nella materia ma non dobbiamo neanche percorrere quel momento in totale fisicità.

La nostra parte spirituale è quella che più di tutte può servirci. Essa è ricca delle virtù quali: la preveggenza, la visione a 360°, la forza, il coraggio, l’amore, il riconoscere la bellezza, la gratitudine, la comunione, la contemplazione, l’osservazione, l’esserci e molte altre. Ogni giorno della nostra vita dovremmo vivere riflessi in questa parte di noi ma è ostico mentre si deve esistere all’interno della nostra quotidianità con tutto quello che comporta. Una giornata in montagna, che nasce proprio al fine di “staccare”, termine usato da tutti, permette questo più facilmente e può anche essere un buon allenamento da inserire poi nella vita di tutti i giorni e in ogni luogo.

Quante volte si sente dire appunto la frase – Andare a fare una passeggiata in natura per “staccare” -. Per non pensare, per rifocillarsi di energia positiva, per acquisire salute sia fisica che mentale, per svagarsi e rasserenarsi, per allontanare da noi i problemi. Tutto bellissimo, il fatto è che non serve a niente se non si vive – quel modo – in un – determinato modo -.

Nel momento stesso in cui si fa ritorno a casa, a cullarci vagamente, può essere solo il ricordo di quello che abbiamo passato, ma questo non giova a nulla e ci ritroviamo fin dalla sera stessa, più stanchi forse, ma non con un animo diverso o migliore.

Sai… è che quando cammini su quei monti, cambia il luogo ma tu sei esattamente dov’eri prima, nella tua dimensione di sempre, quella piena di problemi e fastidi e preoccupazione. Ebbene sì.

Ti sembrerà assurdo quello che dico perché tu affermi di aver avuto accanto a te degli alberi, un torrente, delle pietre e le farfalline. Tutto ciò ti ha donato gioia perché son cose che non vedi sempre. I profumi che penetrano nelle tue narici non sono paragonabili a quelli che respiri ogni giorno e quei panorami non hanno nulla a che vedere con quelli che puoi osservare dal tuo balcone.

Non parliamo poi se ti capita di vedere un animale selvatico (come dicevo prima): un Camoscio, o un Capriolo, o un’Aquila che tu ovviamente non riconosci come Aquila, ma hai visto un coso enorme volare, nettamente diverso dai Piccioni ai quali sei abituato. Ecco, in quei momenti, ti sembra di aver vissuto qualcosa di grandioso e pensi di essere riuscito nel tuo intento.

Non è così. Ponendo attenzione puoi notare che la tua Mente è sempre proiettata verso un tempo che non è quello che stai vivendo. O è il passato o è il futuro. Quando si parla di passato e futuro non si intende un distacco di anni. Nel passato regna la depressione mentre nel futuro regna l’ansia. Detta così sembra grave e lo è ma ho voluto prendere gli stadi massimi di questi tempi per farti comprendere meglio.

Mentre cammini in montagna pensi magari a tuo marito che è rimasto a casa… “chissà cosa starà facendo, poteva venire con me quel pigrone!”. Pensi che quello è il tuo ultimo giorno di ferie e dall’indomani ti aspetta un periodo di lavoro molto intenso. Vedi un Giglio meraviglioso “oh! A mia mamma piacerebbe tanto, quasi che glielo colgo, no… però… non è giusto toglierlo da qui e poi seccherebbe fino a stasera”. In casa hai tutto? “Chissà se arrivo in tempo per comprare quelle cose che mi mancano e preparare cena”. “Cavoli, domani è il 15 del mese, mi scade la bolletta della luce”. “Ma guarda se doveva venire anche lei oggi, non la sopporto”. “Che stanchezza ma quanto manca?”. “Dio, speriamo di non incontrare Vipere perché ne ho il terrore”. “Stasera chiamo Giovanni e gli dico che questo è un posto magnifico per i funghi!”. “Che nuvole laggiù! Ma pioverà? Speriamo di no, è così piacevole questo sole”. “Sono le dieci e quel vigliacco non mi ha ancora scritto”. E intanto la montagna, con tutte le sue meraviglie, ti scorre sotto il naso e non vedi nulla.

Se si riuscisse a vivere il Presente, chiamato anche “Qui e Ora” tutto sarebbe diverso. E di molto. Non solo per il momento in sé, per quel godere in toto e in assoluto il luogo in cui sei con tutti i suoi ingredienti, ma soprattutto perché, così facendo, coagulandoti totalmente con Madre Natura, allora sì che potrai portarti a casa tutti i suoi benefici i quali dureranno giorni in voi.

Sii quella foglia! E a casa potrai sentirti leggero e capace di accettare ogni cambiamento.

Sii quell’acqua! E a casa potrai sentirti fresco e nutrimento per gli altri.

Sii erba! E a casa potrai sentirti forte e pronto ad ogni evenienza.

Sii pietra! E a casa potrai sentire che nulla può scalfirti o buttarti giù.

Sii vento! Sole! Tuono! Pioggia!

Assorbi in te le caratteristiche di quello che ti circonda. Tocca quello che ti circonda. Annusalo. Guardalo con attenzione. Portati dentro ciò che è. Diventalo. Allora si che davvero ricaricherai le tue batterie e sveglierai in te qualità sopite da tempo.

Aguzza la tua vista, libera le tue orecchie, ascolta con il naso e impara ad usare altri sensi non biologici. La percezione, l’intuito, la capacità di vedere oltre, la bellezza sospesa dell’attesa, il brivido del coraggio. Senti con la tua pelle. Nessun organo, se non il cuore, è così adatto come la pelle per “sentire”. Diventa un tutt’uno con gli alberi, gli animali, i crinali, ti appartengono e tu appartieni a loro.

In quei momenti non esistono le bollette, il marito, la mamma, la paura delle vipere, il fidanzato che non ti scrive… esisti solo tu. Esistete solo tu e Madre Natura.

Provaci. Non ti sarà facile le prime volte ma quando ti sarai abituato non potrai farne a meno. Non farti ingannare dalla mente che considera questa un’evasione dalla realtà. Non credere di essere “fuori con la testa” in quel momento e di non poter fare attenzione o non riuscire a goderti quegli istanti. In realtà, acquisisci ancora più capacità. Tutto si amplifica e si moltiplica. Il cuore della Terra che batte ti passa tutto di sé. Nulla può sfuggirti. Fidati. Devi solo aver pazienza perché le prime volte ti sentirai all’inverso, come a non esserci.

Punta una foglia. Guardala come se fossi un microscopio vivente. Guardane ogni più piccola particella. Immedesimati in lei. Cosa sta sentendo? Quella lanugine che la ricopre, ricopre anche te. Se senti quella sua delicatezza è perché quella delicatezza ti appartiene. E’ anche la tua. Respira come respira lei. Impara a percepire il tuo sangue che scorre nelle vene come lei è consapevole della linfa che la nutre. Punta un ramo e poi un intero albero. E tutto quel bosco. I suoi suoni, il suo respiro, la sua voce. Che energia emana quel bosco? Cosa senti? A tua percezione personale, che tipo di vibrazioni sta emanando? Quello stato di Presenza che riesci a mantenere non racconta menzogna alcuna.

Se riesci in questo, col tempo, allora capirai cosa davvero significa “staccare” e potrai godere a lungo di quel contatto terapeutico. E non ti mancherà quel benessere perché sarà dentro di te. Impara le lezioni che questa grande Maestra ti insegna, sono tante e assolutamente adattabili alla tua vita in città. Sono lezioni meravigliose.

Ti auguro tantissime escursioni indimenticabili.

Prosit!

 

Il Miope – colui che vuol vedere il pericolo da vicino

IL PERICOLO È VICINO

Appena il rischio mi è accanto voglio poterlo vedere bene -.

Al miope, poco importa del mondo “lontano”, è come se lo dimenticasse, come se questo non esistesse, in quanto, tutta la sua concentrazione è focalizzata su ciò che gli è particolarmente prossimo. Convinto che tra quelle cose vicine può esserci il male, non serve a nulla mettere a fuoco la realtà discosta e vaga, non la teme, è “in là”, non se ne deve preoccupare. La sua energia serve a fronteggiare l’imminente danno che può colpirlo.

Infatti, le parti distanti da lui non le vede, ma a pochi palmi dal suo sguardo riesce ad osservare benissimo. Non gli sfugge nemmeno un granello di polvere. “Vedere bene” significa, indirettamente, riuscire ha capire quale arma è più adatta da poter usare in base al pericolo e assicurarsi così maggiormente la vittoria.

Il mondo gli fa in qualche modo paura ed è convinto, inconsciamente, di dover vivere con pericoli in agguato che gli arrivano addosso.

La vista, in generale, equivale al nostro modo di vedere la vita e, per il miope, questa visione è piena di timori e ansie anche se non se ne accorge. Per il miope gli occhiali sono una sorta di banda protettiva, così come le lenti a contatto, dietro i quali si cela ad aspettare il nemico, ad osservare l’orizzonte senza essere visto e possono diventare i migliori amici dell’individuo, come se fossero parte del suo corpo. Non se ne separa mai, soprattutto se le diottrie mancanti sono parecchie. Senza di loro si sente nudo, perso, vulnerabile e il famoso pericolo potrebbe così riuscire nel suo intento.

IO SONO IO, VOI NON SIETE ME

La miopia è causata da una non corretta focalizzazione dell’immagine sulla retina. L’immagine si pone davanti ad essa, anziché su di essa, e questo causa il vedere figure sfocate e non nitide. Il mondo appare come un miscuglio di macchie ovattate e poco si percepisce di ciò che è attorno. Ma, come dicevo, poco importa. L’importante è non far avvicinare nulla e non far entrare nulla in sé.

Una protezione molto elevata verso la propria persona e il suo intimo caratterizza il miope che, pur apparendo in alcuni casi “un libro aperto” nei confronti degli altri, sente di avere dentro cunicoli profondi che non si possono visitare e che l’altro non capirebbe.

E’ curioso sapere che il termine miopia deriva dal greco “myo” e significa “chiudere”. S’intende, con questo, descrivere il miope che per vedere chiude gli occhi strizzandoli come due fessure ma, la parola “chiusura”, può farci pensare a qualcosa di molto più intimo.

Una sostanziale preoccupazione nei confronti del futuro, verso il quale si proietta di continuo, lo accompagna costantemente e, spesso, cade nell’errore di credere che sia giusto solo il suo pensiero rispetto a quello degli altri.

Può essere introverso e capace di indossare maschere al fine sempre di proteggersi.

VIVERE IN COMUNIONE CON LA VITA

D’altro canto, però, un accenno sul vedere l’esterno così sfocato va fatto. Indica che il miope fatica a vedere oltre, ad avere una visione d’insieme, a vedere i bisogni dell’altro, non riesce ad osservare a livello olistico, questo sempre perché troppo concentrato su se stesso e sul mantenersi incolume.

Non è detto che queste caratteristiche possono appartenere tutte al miope ma, sicuramente, in alcune di esse, o anche in una sola, chi è vittima della miopia può riconoscersi e da qui migliorare.

Ci sono stati casi in cui la vista è migliorata, soprattutto con l’avanzare dell’età, e questi casi riguardano di più il sesso femminile dove la donna, andando a investigare, ha trovato una situazione familiare più gradevole e si è sentita più protetta, più agiata, o ha imparato a gestire meglio una famiglia che, all’inizio, come cosa nuova, le pareva un ostacolo insormontabile e pieno di difficoltà.

La donna si preoccupa (quasi) sempre di più rispetto all’uomo in questi ambiti e, spesso, nel momento in cui i figli crescono e le recano così meno apprensione, inizia a godere di più serenità.

Aspettarsi sempre il bello e avere fiducia nel processo vitale può essere un valido aiuto ma è davvero difficile perché il meccanismo che prende vita appartiene al nostro inconscio e non lo vediamo, non sappiamo nemmeno di averlo. Ci si può allenare però, cosa che consiglio in ogni argomento, ora che si conosce il perché, da – qui a lì -, non vediamo un tubo.

Prosit!

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La Cataratta – la Visualizzazione di un Triste Futuro

Gli Occhi sono gli organi che ci permettono di vedere e, secondo il parere della Psicosomatica, ci permettono di vedere non solo il mondo reale che ci circonda ma anche la vita stessa, immaginando, ogni secondo che passa, il nostro prossimo futuro.

Senza neanche rendercene conto, siamo spesso proiettati verso il futuro, verso quello che accadrà, che sta per succedere. Ci pre-occupiamo sovente o, semplicemente, visualizziamo quello che stiamo per fare: “oggi dovrò andare a comprare il pane perché è terminato”.

Gli Occhi quindi, non solo filtrano e proiettano nel nostro cervello le forme e i colori attorno a noi, ma ci permettono immaginazioni, spesso minacciose, per la nostra parte intrinseca.

Se io ad esempio vedo il mio partner stare poco bene e soffrire di una malattia abbastanza grave, mentre lo guardo, automaticamente e inconsciamente, immagino il mio futuro travagliato che può essere senza di lui, perché la sua patologia potrebbe portarmelo via, o mi vedo affannata nel dovermi prendere cura di lui senza altri aiuti e senza più una quotidianità tranquilla e serena.

Oppure ancora, una grande spesa che devo affrontare per i prossimi anni mi turba. Più passa il tempo e più il mio debito rimane lì, non permettendomi una vita agiata.

La Cataratta, disturbo del quale parlo in questo post, è proprio la concretizzazione di questa paura inerente al mio futuro che mi rende triste. Immaginando così l’angoscia e il tormento, posso sviluppare questo disturbo dell’Occhio che è la formazione di un velo sul cristallino il quale diminuisce la mia vista. In alcuni casi può diventare così grave da rendere la persona completamente cieca.

Il Cristallino, membrana trasparente e convessa posizionata dietro l’iride, con la funzione di lente, in pratica si opacizza e io vedo di meno, proprio come a dire “non voglio vedere, questo futuro mi spaventa, mi angoscia, non voglio guardarlo”.

Possiamo notare come proprio la maggior parte delle persone che soffrono di Cataratta sono anziane. Questo disturbo, nella maggior parte dei casi, subentra infatti ad una certa età quando si inizia a percepire il futuro in modo diverso e più preoccupante rispetto a quando si è giovani. La paura della solitudine, della malattia, della morte sono tutti timori che, più si avanza con gli anni e più prendono piede in noi, pertanto, ecco comparire il problema oculare.

Una madre che vede i figli andare via e magari ha un marito malmesso dal punto di vista della salute.

Un figlio che vede la madre prossima alla fine dei suoi giorni.

L’operaio che deve andare in pensione e si sentirà solo ed escluso da quella azienda per la quale ha lavorato una vita intera.

Occorre quindi chiedersi: – Che cosa mi spaventa del futuro da rendermi così triste? -.

E’ difficile rispondere a questa domanda perché spesso non lo sappiamo neanche noi. Sono turbamenti celati nel nostro inconscio. Vediamo la fonte della nostra preoccupazione ma non ci accorgiamo che ci sta facendo preoccupare. Lo so, sembra assurdo ma è proprio così.

Una soluzione quindi è quella di immaginare semplicemente il nostro futuro rosa. Senza catalogare ciò che ci fa male, che ci mette ansia, che ci scombussola. Sappiamo di avere questo problema e anche quest’altro e quest’altro ancora ma non consideriamoli per questo esercizio. Mettiamoli da parte. Non ci servono.

Sappiamo che esistono e questo basta e avanza. Ora dobbiamo allenarci a vedere il bello e a stare tranquilli a livello generale. E’ molto dura, me ne rendo conto, ma così facendo è possibile non permettere alla Cataratta di formarsi ed eliminiamo un ulteriore problema che affliggerebbe direttamente noi stessi. Anziché chiudere il sipario nei confronti di quella situazione dobbiamo spostare da un lato questi eventi e scegliere di guardare la nostra prossima esistenza con gioia.

Questo non significa comportarsi come dei menefreghisti davanti al dolore degli altri o davanti al nostro malessere. Significa soltanto non dare a quel dolore la possibilità di governare ed essere padrone della nostra vita, nonché dei nostri disturbi fisici. Quel malessere c’è, esiste, me ne rendo conto ma non gli permetto di rendermi sua schiava. Lo vivo, lo affronto, lo accudisco ma faccio di tutto per rimanere nelle frequenze della pace almeno il più possibile. Devo fiduciosa nel credere che una soluzione perfetta per me arriverà.

E’ ostico comportarsi così? Moltissimo. E’ un lavoro straordinario e coraggioso ma è possibile. Sarà inoltre proprio grazie a questo risultato che potremmo essere ancora più d’aiuto a chi ci sta vicino e, soprattutto a noi stessi, continuando a vivere nella centratura. Nessuno infatti sta dicendo che dovete fare i salti dalla felicità ma la centratura occorre non scordarla mai.

Rimanere centrati e padroni di sé come un Guerriero. Viviamo prove difficili ma dobbiamo cercare di affrontarle con consapevolezza agendo nel migliore dei modi.

Prosit!

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Non puoi Sbagliare!

Il problema di P. era quello di avere due genitori, il padre soprattutto, che non riuscivano a staccare e a dimenticare gli errori che lei poteva aver fatto in passato. Errori sciocchi, che qualsiasi persona combina.

Una volta rigò la portiera dell’auto facendo manovra e, da allora, nonostante guidasse relativamente bene e non arrivasse ogni giorno con la macchina incidentata, la loro frase, nel salutarla era – E mi raccomando la macchina, non rigarla di nuovo! -.

Un’altra volta invece, in giovane età, e per fare una sorpresa a mamma e papà, decise di rivestire le pareti della sua cameretta con una tappezzeria azzurra, pennellata di bianco, a rappresentare la spuma delle onde del mare. Combinò un disastro. La tappezzeria venne messa malissimo, la colla era ovunque e presto, molti fogli della carta da parati si staccarono. Negli anni successivi le ricapitò di mettere dell’altra tappezzeria, per se stessa e per gli amici, in modo egregio, preciso e meticoloso ma, per suo padre, davanti a qualsiasi risultato, prevaleva sempre la tragedia combinata anni prima nella sua camera da letto nonostante fu proprio grazie a quella “tragedia” che lei capì come bisognava applicare il rivestimento.

Per loro non c’erano migliorie. Lei era brava, efficiente, educata, pignola, preparata ma, se da ragazza, aveva combinato un danno, come esempio veniva considerato solo quell’unico danno a confronto di altre cento cose fatte poi bene.

Per P., tutto questo era frustrante. Logorante. E posso capirla.

Sembrano stupidaggini invece sono deleterie. Sovente si abbozza come ad avvallare la classica frase “eh ma tanto loro sono fatti così”. Si sopporta, si lascia parlare e si va avanti… invece, queste considerazioni, questi pregiudizi, sciupano l’anima.

E’ più facile spezzare un atomo che un pregiudizio – (A. Einstein).

Ogni volta, sottolineare così quell’errore, era come infilare una piccola lama nello stomaco.

Significava far rivivere l’imbarazzo dello sbaglio, evidenziare il “non vali niente, non sei capace, sei solo in grado di fare le cose fatte male, io non ho stima di te”, puoi fare mille cose fatte bene ma, quella fatta male, è stata la più grave di tutte. Non c’è rimedio. Sarà lei, d’ora in poi, a dirigere le tue azioni. Ogni cosa che farai sarà pilotata da un qualcosa di errato. Un ottimo incentivo per l’autostima.

Errare non è concesso. Non è umano.

Se si pensa che diventiamo grandi proprio grazie agli errori. Se si pensa a quanto gli errori siano importanti nella nostra vita, fin da bambini, quando grazie a loro capiamo come fare meglio, ora, non valgono più, sono come creature malefiche che ci rovinano l’esistenza, che ci allontanano dai nostri cari attraverso la svalutazione, il giudizio negativo, la falsa tolleranza. Sì, perché il resto, le nuove esperienze, vengono accettate dai genitori come se fosse doveroso accettarle ma, in realtà, non si vorrebbe, non c’è fiducia. E’ emarginazione.

Un continuo dito puntato contro che dice – Tu non sei in grado di fare meglio di così – cioè non cresci, non hai scalini di miglioria, non hai speranza.

Le tue colonne portanti, i tuoi genitori, quelli sui quali più basi la tua intera vita, non si fidano di te. Tu non vali e sai perfettamente di non aver mai fatto nulla per meritare questo.

Posso apparire esagerata ma non si riesce a comprendere l’inestimabile danno che questo crea nel nostro inconscio. Un danno molto più grave del non essere stati in grado di mettere bene una tappezzeria, dell’aver rigato una macchina, o quant’altro. Il regalo della titubanza.

E allora si susseguono le menzogne.

Ad ogni risultato sgradevole: “Non lo dico, perché se lo dico guai… chissà cosa penseranno di me e cosa penseranno di me nel futuro”. Si cela, ci si nasconde per respirare, per vivere.

E si susseguono le paure: “Speriamo non vengano mai a scoprirlo”.

E si susseguono i sensi di colpa, sia del malfatto che della bugia seguente.

Ma non è finita. C’è un risvolto ancora peggiore. Ancora più maledettamente incomprensibile che nasce quando: la tua cara amica riga la macchina proprio come hai fatto tu, suo padre la sgrida e TUO padre invece… la difende (!), spiegando all’altro genitore che può capitare e che NON LO FARA’ PIU’. Evviva!

…Dammi una lametta che mi taglio le vene…! – (D. Rettore)

Non sto enfatizzando, credetemi, e so che molti purtroppo, sono vittime di questo metodo che pare il massimo esponente dell’educazione.

La situazione è drastica (sorrido). Le palpebre si afflosciano verso il basso assieme alle guance e si inizia ad assumere la classica espressione da basset hound confuso e incredulo che guarda il proprio padre col magone e si chiede “Perché? Perché io no? Perché io no questa coccola, questa fiducia, questa pazienza, questa speranza, questo incoraggiamento, questo consiglio a non mollare, al potercela fare…?”. Notate quante cose vengono a mancare?

“Allora la mia amica vale più di me”. Fine della storia.

Ora, se state leggendo questo articolo siete sicuramente delle persone adulte, almeno la maggior parte di voi, e sicuramente vi sembreranno solo sciocchezze. Agli occhi di un bambino però, e peggio ancora di un adolescente, tutto questo è più grave. E’ un tarpare le ali immeritato a parer mio.

Prosit!

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Spieghiamo questa storia delle – Affermazioni Positive –

Avrai sicuramente sentito parlare tante volte del potere delle – Affermazioni Positive -, frasi da dirsi e da ripetersi nella testa con la capacità di farci vivere meglio e farci sentire più sereni.

Sembra una cavolata. Tu stai male, stai soffrendo, però ti dici in cuor tuo – Sto bene, sono felice – e tutto passa. Assurdo vero? Le bacchette magiche non esistono e noi non siamo tanti Harry Potter in grado di fare le magolamagamagie che vorremmo.

Quando parlo di questo concetto infatti, tutti mi dicono che è una cosa difficilissima da compiere ma, in realtà, se ci ragioni un attimo, non è assolutamente vero che è difficile da mettere in pratica (basta pronunciare delle parole o pensarle) quello che è difficile è…. CREDERCI!

Vedi, in realtà questa tecnica funziona davvero ma se nessuno ce la spiega al meglio è quasi impossibile farla nostra. Voglio provare a fartela capire.

Partiamo dall’inizio della giornata, da quando apriamo gli occhi al mattino. Solitamente il nostro pensiero va immediatamente a quello che abbiamo da fare durante il giorno, o al fatto che è ora di alzarsi, o si ricorda un sogno fatto durante la notte. Ecco, è proprio in questo momento che dovremmo spazzare via questi pensieri e ringraziare semplicemente quella giornata immaginandocela bellissima. Soffermarsi un attimo e pensare a noi che stiamo ridendo, a noi che siamo felici, a noi che riceviamo una bella sorpresa, a noi che stiamo bene. Anche se non è vero dobbiamo dire che stiamo bene.

Ti ricordi l’esempio del succo di limone che ti scrissi in questo articolo qui https://prositvita.wordpress.com/2015/11/13/cervello-succo-di-limone-e-ape-gli-ingredienti-per-potersi-preoccupare-tanto-e-bene/ ? (Leggilo è importantissimo). Il cervello lo si può ingannare, lui non ha occhi suoi o orecchie sue, noi possiamo fargli credere quello che vogliamo e, se continuiamo a dirgli che stiamo bene, lui si convincerà di questo e di conseguenza, essendo che siamo molto mentali, ci sentiremo meglio.

Quando poi ti alzi e vai in bagno per lavarti, ringrazia quell’acqua che ti sta dando la possibilità di pulirti, che ti sta rinfrescando e ti sta togliendo la notte di dosso.

Ringrazia la tua colazione, benedici quel cibo che sta entrando nel tuo corpo e che ti farà bene. Immaginati sano e continua a vederti felice, sorridente.

Dillo, dillo a te stesso – Io sto bene, sono felice. Grazie colazione, grazie letto, grazie acqua, grazie cielo, grazie figlio, grazie auto, grazie vita… -.

Continua in questo modo per tutta la giornata e aggiungi affermazioni di questo tipo:

Sono meraviglioso, bello, un essere inimitabile e irripetibile – mentre ti guardi allo specchio

La vita mi ama, non può volere il mio male, io sono al sicuro – mentre ti vesti

L’Universo è la mia culla, mi darà tutto quello di cui ho bisogno – mentre vai al lavoro

Domani sarà una giornata stupenda, sarò felice come non mai – mentre vai a dormire

Attenzione però, non devi “sperare”, devi immaginare, considerare. Non sperare di ridere domani; devi considerare di ridere domani, è diverso. Devi visualizzarti mentre stai ridendo.

Dicendo queste frasi inoltre, devi tener conto che potrai vivere il momento. Il presente. Il Qui e Ora. Se ti concentri sull’acqua che stai bevendo e la ami e la ringrazi, automaticamente stai pensando solo ed esclusivamente a quell’acqua. In quel momento ci siete solo tu e l’acqua, non avranno spazio dunque le bollette da pagare, il collega che ti ha fatto arrabbiare, la madre che non sta bene, il detersivo che è finito, la roba da stirare che ti sta aspettando….

Esistete solo tu e l’acqua. Solo tu e l’acqua.

Più riuscirai a mettere in pratica questo, con qualsiasi cosa che condivide la tua giornata, più riuscirai a stare bene. Fidati.

Il fatto è che più tu stai bene e più disegni del bene per il tuo futuro anche prossimo. L’indomani, se il tuo disegno è stato costituito da te con il “bene” non potrà che essere automaticamente una bellissima giornata, capisci?

Quello che stai vivendo oggi è quello che hai costruito ieri perché sei tu che realizzi il tuo destino.

In realtà la bacchetta magica che menzionavo prima ce l’hai! Ce l’abbiamo tutti, è dentro di noi.

Ecco perché si dice che le – Affermazioni Positive – funzionano davvero. E’ un meccanismo ovvio e automatico.

Non puoi dirmi che è difficile dire: – La vita mi ama e mi rende e mi renderà felice -.

E’ semplicissimo pronunciare questo insieme di lettere ma il fatto è che mentre lo diciamo ci sentiamo stupidi, sciocchi. Ci sembra nettamente impossibile.

Prova a prendere la tua macchina e dire: – Troverò sicuramente un parcheggio libero al mio arrivo e non dovrò impazzire -. E’ facile dirlo, il difficile è crederlo perché, mentre diciamo questo, una vocina nel nostro cervello dirà “Seeeee…… ma cosa cavolo stai dicendo? Sai benissimo che è impossibile parcheggiare e che dovrai girare come un pazzo, come tutte le mattine…”, et voilà che tutti i tuoi buoni propositi vanno a farsi friggere.

Non ascoltare questa voce, concentrati. Oltre che a dire questa frase con la bocca o con la mente prova a dirla anche con la pancia, sentila dentro. Non troverai parcheggio la prima volta ma continua, non demordere. Tanto non ti costa nulla. Non devi spendere soldi, non verrai preso in giro, nessuno può sentirti, non devi perdere tempo, puoi farlo mentre guidi.

Quindi, è solo questione di….. ABITUDINI…. Pensa.

Solo questione di abitudini. Ti rendi conto?

Basta cambiarle queste abitudini.

E ora, ti consiglio di guardare questo breve video realizzato dalla maestra delle – Affermazioni Positive –, Louise. L. Hay, e vedrai come tutto quello che ti ho detto può rivelarsi molto semplice da fare in realtà.

Fai come lei ti consiglia e potrai davvero trasformare la tua vita in meglio e vivere giornate straordinarie.

Dentro di te c’è un potere che non immagini. Che l’educazione che abbiamo ricevuto (familiare, sociale, scolastica, della televisione…) ha sempre soffocato. Ma è ancora lì e sta solo aspettando di essere utilizzato.

Prosit!

Come i parenti dovrebbero vivere la fine della nostra storia d’amore

La fine di una storia d’amore importante, è solitamente vissuta come uno dei più grandi drammi che percuotono la nostra esistenza. Lo so che non è sempre così ma, molto spesso, per la famiglia intorno soprattutto, si parla di una vera e propria tragedia. I parenti si preoccupano, si angosciano e, nei loro pensieri, inizia a prendere vita un vero e proprio sfacelo nei confronti dei nipoti, della figlia che magari ha solo un lavoro part-time, o nei confronti di loro stessi e di quello che penserà la gente.

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Figli di un’educazione, secondo me errata, educata molto dalla religione e dal perbenismo, che vede l’essere umano accoppiato con la stessa persona per tutta la vita, quando una storia d’amore arriva al capolinea è come se avvenisse un fallimento, un grande problema, una disgrazia.

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Ad accentuare questo stato delle cose sono i soggetti protagonisti, ossia la coppia che si separa. Se uno dei due era uno scellerato allora, ancora ancora, si può accettare tale separazione ma, quando le persone in ballo sono fondamentalmente due brave persone che avrebbero potuto andare d’amore e d’accordo (come hanno fatto “mamma e papà”), il boccone non si riesce davvero a mandare giù.

Ecco che allora i genitori, magari anzianotti, iniziano a provare più ansia e più tristezza dei due che, incomprensibilmente, hanno deciso di avere due vite diverse.

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La settimana scorsa una mia amica si è separata dal marito, lei parla solo di “un periodo di pausa” ma la madre, non accettando nemmeno questo, incontrandomi per strada e con un bisogno estremo di sfogarsi, ha riversato su di me tutta la sua disperazione. Piangendo continuava a toccare questi punti:

E adesso come farà M. (la mia amica) che è senza lavoro

E i bambini soffriranno

La gente crederà che si sono fatti le corna

Non capisco perché debbano distruggere tutto anziché costruire

Etc… etc….

Senza rendersi conto che, lei per la prima, stava distruggendo il futuro di sua figlia anziché creargliene uno roseo con i propri pensieri.

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Tolto il fatto che comprendevo bene la sua preoccupazione e ha ricevuto da me tutta la consolazione e l’aiuto che potevo darle, non era per niente favorevole ciò che stava creando con la sua mente e la sua immaginazione. Un mare di disgrazie. Un futuro negativo. Ecco quando si dice che si chiude una porta e ci focalizziamo a guardare solo quella porta chiusa anziché il portone di fianco che si è appena aperto.

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Facile! – direte voi. No, non è facile ma non è nemmeno esatto. Ragioniamo in questo modo perché la società in cui viviamo ci ha portato a ragionare in questo modo. Se automaticamente pensi che tua figlia non riuscirà a mantenere lei e i suoi bambini da sola, sarà normale che non riuscirà (!) e la gente continuerà a pensare che se una coppia si separa la donna che faceva solo il part-time non si manterrà da sola. L’immaginazione ha una potenza indescrivibile! Bisogna essere realisti e onesti a mio avviso. Se per voi non è vero o è impossibile che quella donna potrà avere un futuro comunque bello allora posso dire la stessa cosa nei confronti del suo futuro che voi vedete brutto perché entrambe le situazioni sono ancora irreali appartengono appunto al futuro: non esistono ancora! Inizieranno a formarsi concretamente dopo che le abbiamo… immaginate! Ed è proprio in quell’esatto istante che dovremmo immaginarle nel migliore dei modi.

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Uno dei due figli della mia amica, il maggiore, ha detto alla nonna – Ecco, adesso non potrò più andare in piscina perché la mamma non potrà più pagarla –. La nonna ha risposto al nipote di non preoccuparsi ma, in cuor suo, sapeva e credeva che il nipote stava dicendo il vero. Perché è impossibile pensare che la ragazza possa conoscere un altro uomo e il nipote possa andare sia a piscina che a cavallo? Oppure che la ragazza trovi un lavoro così redditizio da permettere ai propri figli due sport anziché uno? L’Universo ha infiniti mezzi per darci ciò che desideriamo, alcuni davvero strambi, ma siamo noi che non li consideriamo perché ci sembrano impossibili. Perché solitamente la realtà è questa, ma è questa perché così la formiamo. E’ un gatto che si morde la coda.

Quello che sarebbe idoneo, secondo me, è pensare che tutto andrà bene, che tutto andrà per il meglio e che le cose cambieranno solo in positivo. L’Universo non ci vuole male, ci vuole bene ma otterremo solo il male se guardiamo esclusivamente verso di lui già convinti di esserne vittime. I cambiamenti di vita che si affacciano nella nostra esistenza in realtà nascondono sempre una soluzione positiva perché sono degli stop che l’Universo non vive come noi. Per lui sono solo modifiche atte al migliorare ma per la nostra parte emozionale diventano incubi e incubi saranno.

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La fine di una storia d’amore è vita! E’ piena di emozioni, è piena di cose nuove, è piena di nuovi progetti, di migliorie. Può insegnare a crescere e, dal momento che non è detto che debba essere finita per sempre perché i periodi di pausa esistono davvero, può solo ampliare un qualcosa di bello che già c’era. Ma noi buttiamo tutto via. Da lì, la tristezza genera tristezza, la paura genera rabbia, la rabbia genera vendetta e così via… e anche quando ci si era promessi che …per i figli si sarebbe andati d’accordo… ecco che poi non si riesce e il rancore supera tutto.

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Quando una storia d’amore finisce si piange, ci si preoccupa, si sente un peso sul petto, si! Ma tutte queste sensazioni ti stanno dicendo che sei vivo! In quel momento di vulnerabilità e sensibilità hai un’energia potentissima che se sfruttassi al meglio non potrà che arrivarti il meglio! Immagina cose belle per te! Tutto il possibile e l’impossibile, nell’Universo c’è tutto in abbondanza! Che siano di nuovo con la stessa persona che ritorna, che siano con un nuovo compagno di vita, l’importante è che siano situazioni gioiose per te e per i tuoi figli (molto più forti di noi e che spesso siamo noi stessi a rendere infelici).

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Il mondo ti sta crollando addosso perché tu vedi così. E’ più che normale vivere la disperazione, fa parte della vita anch’essa, ma a questa disperazione devi dare un colore, e quel colore deve essere allegro, vivace, sgargiante! Il nero non è accettato.

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Come avevo già scritto qui https://prositvita.wordpress.com/2015/05/25/finche-morte-non-vi-separi/ due persone stanno insieme fin tanto che hanno da scambiarsi l’un con l’altro un qualcosa. Ti consiglio di leggerlo. Un insegnare e un imparare a vicenda, dopodiché basta, ci sono altre persone al mondo che hanno quei bisogni e ci stanno aspettando. E tu hai ancora molto da imparare. Ripensa alle tue vecchie storie, ai tuoi/alle tue ex. Cos’hai dato e cos’hai ricevuto da loro anche se le consideri cose sgradevoli?

Se può tornarti utile fai leggere questo articolo ai tuoi preoccupatissimi genitori e fagli leggere anche questo che ti ho appena consigliato, magari ti aiuta e aiuta loro che, in realtà, sono solo vittime di tanta paura e non ne hanno colpa.

E non capiscono che dovrebbero semplicemente pensare “Wow! Che meraviglia! Chissà quante cose belle accadranno ora?! Cos’avrà in serbo di magnifico l’Universo per noi?”. Sembra un’eresia vero? Non è così.

La cosa principale, della quale devono preoccuparsi ora, è solo quella di esserci per te e non farti mancare la loro presenza.

Prosit!

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Riflessioni di una Madre che non ama manipolare

A volte li guardo mentre dormono con quell’espressione serena sul viso. Li guardo e penso che soffrirei tantissimo se non li avessi ora che ci sono, se non fossero con me e che non potevano non far parte della mia vita. Mi riferisco ai miei figli, anche se la piccola, come già sapete, non è biologicamente mia bensì di mio marito, e una sua mamma ce l’ha, per me è come una figlia a tutti gli effetti. E’ ovvio quindi che questi pensieri ho modo di rivolgerli molto di più al ragazzo, quello che ho portato nove mesi dentro di me e ho tenuto tra le braccia da quando è venuto al mondo. Lui, quando decide di non andare dai nonni, si addormenta nella sua camera, in questa casa dalla quale scrivo, e io posso osservarlo e accarezzarlo, sprigionando verso di lui tutto il mio amore, mentre la bimba, la maggior parte delle sere, è a casa della madre.

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Spontaneamente il pensiero va al futuro. Io che cerco sempre di vivere il presente, il rinomato “qui e ora”. Lo guardo, lo vedo uomo. Lo vedo grande. Provo a immaginarlo con la barba che già sta facendo capolino vicino alle orecchie. Provo a immaginare come porterà i capelli e se avrà ancora il vizio di lisciarsi il ciuffo ogni minuto. E sorrido. E naturalmente penso a dove sarà. Sarà ancora qui? Sempre qui? Sarà con me? Continuerò a vederlo ogni giorno o vivrà in un’altra città? Non penso di essere una madre particolarmente ansiosa. Quando esce ho imparato a non preoccuparmi e ovviamente non per menefreghismo ma semplicemente per una miriade di sani motivi. Qualche raccomandazione, come insegnamento, e basta. Però è normale, ogni tanto mi faccio cullare da quello che prevedo essere il nostro futuro rapporto. Vederlo adulto che viene a portarmi i suoi figli, oppure strampalato che ancora mi farà impazzire perché, come adesso, per fargli fare una cosa, devi ripetergliela venti volte. Sinceramente quello che mi interessa di più è immaginarlo sempre con il suo splendido sorriso sul volto. Con quelle sue labbra carnose tese e quei suoi denti grandi e dritti in bella mostra. Gli occhi strizzati, nascosti dai ciuffi ribelli e la testa che si inclina verso il basso come a vergognarsi del proprio ridere. Non m’interessa il mestiere che sceglierà, purchè sia per lui una passione e vorrei che lo svolgesse credendo di essere il migliore in quel settore, qualsiasi esso sia. L’importante è che voglia creare sempre, anche solo con l’immaginazione e che ogni giornata sia per lui vita pura. “Crea figlio mio, crea. Non stancarti mai di creare”. Non m’interessa se non avrà una professione di quelle che la società ha deciso di eleggere come “notevole”, ogni lavoro è nobile ma quello che vorrei è che lui si possa sentire un LIBERO, nonostante il mestiere, e non uno schiavo. Che coltivasse la gioia. Quotidianamente. E cosa ne sarà di me nei suoi confronti? Sinceramente? Non mi attorciglio le budella convincendomi che di me non gliene fregherà più nulla. Non ho intenzione di regalare a mio figlio, o meglio, ai miei figli, frasi che riempiono di sensi di colpa sul fatto che non mi hanno chiamata o non sono venuti a trovarmi. Penso che il loro amore posso annaffiarlo e concimarlo ogni giorno e, come ogni cosa, mi darà i suoi frutti. Non sarà per delle mie personali paure che nutrirò in loro l’attanagliante senso di oppressione e vergogna verso di me. Quando penseranno a me non dovranno sentire il peso di essersi comportati male, di avermi mancato di rispetto ma la bellezza del poter scegliere che quel giorno avranno modo di sentire la mia voce se vorranno. Questo vorrei. Non verranno esclusi dalla mia vita perché non sono diventati cosa io avrei voluto, perché non voglio nulla in quel senso, non ho aspettative. L’unica che ho è che siano felici e che sappiano nutrire amore per se stessi e per il Cosmo. Perciò, non potrò abbandonarli dal momento che una madre è sempre una madre e per tutta la vita può aiutare e rimanere accanto. E io li aiuterò, se loro lo desidereranno.

Tre anni fa, mio figlio è andato con la scuola una settimana a Londra a fare uno stage. Non aveva nemmeno dodici anni all’epoca ma, a tutti i costi, voleva andare in quel College convinto di divertirsi come non mai. Decidemmo con mio marito che poteva avverare il suo sogno, eravamo fiduciosi che tutto sarebbe andato per il meglio, lui si sarebbe divertito e avrebbe anche imparato tante cose nuove. E così fu. Partì di buon mattino, un lunedì di settembre, assieme a compagni e professori. Dopo avermi avvisata di essere atterrato sano e salvo non si fece praticamente più sentire. Ai tempi non aveva ancora un suo cellulare, eravamo un po’ contrari a dargli in mano un telefonino vista la giovane età ma avrebbe comunque avuto la possibilità di contattarci attraverso il telefono pubblico o quello dei professori come da accordo. Niente. E io nemmeno potevo mandargli un messaggio se non sul cellulare di qualche suo amico. La mente mi condusse, come un’amica fidata, vestita in modo un po’ kitsch, verso le cose più impensabili: prima di tutto che era uno stronzo perché avrebbe almeno potuto dirmi che era vivo o, meglio ancora, che gli stavo mancando (naturalmente!) e poi a qualche tragedia sicuramente accaduta che gli impediva di telefonare. Il mio cervello era una locomotiva che viaggiava carburata da preoccupazione mista ad incazzatura. Era la prima volta che si allontanava da casa per così tanti giorni senza di noi o senza i nonni quantomeno. Dovevo far qualcosa ma, quel qualcosa, non avrei dovuto farlo nei suoi confronti bensì nei miei. Me lo disse una vocina che riuscii ad ascoltare in mezzo a quel trambusto di emozioni e pensieri. Andai in bagno e mi chiusi dentro. Avevo bisogno di tranquillità e di uno specchio. Dovevo vedere con chi stavo parlando. Quel giorno capii che tutto era nato dentro di me, che quel tutto l’avevo creato e plasmato solo io. Mie erano le preoccupazioni, miei i giudizi nei suoi confronti, mie le idee che germogliavano. No, mio figlio non era uno stronzo, mio figlio si stava divertendo, io gli avevo insegnato che poteva sentirsi libero. Io gli avevo inculcato di non pensare ai problemi inventati dagli altri, nel limite del loro rispetto, e lui stava semplicemente vivendo ciò che io gli avevo sempre dato. Magari stava sbagliando la misura, quella andava perfezionata, o forse no, ma lui stava mettendo in pratica il senso: si stava godendo quelle giornate che mai più sarebbero tornate. La telefonata sarebbe stata una MIA gioia non una SUA felicità. L’attenuazione della preoccupazione sarebbe stato un MIO desiderio non un SUO sogno. Ma se era vero che io desideravo per lui l’armonia e il benessere perché dovevo uscirne io contenta e non lui? E poi, diciamocelo, quando accade qualcosa di davvero brutto… quello si… che si viene a sapere. Invece tutto taceva. Segno che tutto stava andando per il meglio. L’unica “preoccupazione” che potevo concedermi era quella che avrebbe desiderato raccontarmi tutto una volta tornato a casa e condividere con me la sua brillante vacanza. Evviva! Uscii dal bagno e, da quel momento, iniziai a pensare a lui in modo diverso ma soprattutto a quel suo sorriso. Il giovedì sera, si “degnò” di chiamarmi. Era come impazzito, nemmeno riusciva a parlare tra i suoi amici che facevano casino intorno e lui che rideva con loro anziché girarsi verso la cornetta. Un sorriso dipinse anche il mio volto e quando alla fine mi disse, nonostante il pubblico, – Ciao mà, mi sto divertendo un mondo, ti amo tanto – bhè…, piezz ‘e core, mi sciolsi all’istante.

L’anno dopo, capitò invece un qualcosa da non credere. Stessa gita ma con altri professori e qualche compagno diverso. E probabilmente l’assenza totale della novità dell’anno prima. Mi avvisò che era giunto a destinazione e, strano a dirsi, mi richiamò anche il giorno successivo. Aveva un tono di voce strano, non era triste ma nemmeno dei più felici. Dal terzo giorno in poi il dramma. Mio figlio stava soffrendo. Si, mi stava chiamando tutti i giorni ma con l’angoscia nel cuore. Non ci voleva stare, voleva tornare a casa, i prof li sgridavano in continuazione, il College era un altro… insomma, uno sfacelo. Riuscii con la calma e la fantasia a tranquillizzarlo un po’ e, gli ultimi giorni, mi vennero in aiuto alcuni eventi che avevano programmato ma fu dura. Quanto avrei voluto rivivere l’anno precedente! Quei due viaggi m’insegnarono molto.

Non pretendo che mio figlio mi dica che quella ricetta che ho preparato è buona, anche se lo fa in quanto è molto gentile, a me basta che dica – Mamma, mi rifai quella cosa che è tanto che non prepari? -. Non dirò a mio figlio – Con tutto quello che ho fatto per te! – perché mi sembra stupido, cos’altro avrei dovuto fare? E poi per me, ogni cosa fatta a lui è stata un immenso piacere, che frase sarebbe? Quello che mi preme di chiedergli quando arriva a casa è se sta bene e se è sereno molto prima di domandargli com’è andata a scuola. Oggi, così facendo, ho un figlio che quando si alza al mattino mi chiede se ho fatto bei sogni alla notte e se per caso ho male alla schiena. Mi basta. Mi auguro con tutto il cuore di non essere una madre manipolatrice. Purtroppo è difficile rendersene conto. Chi manipola solitamente lo fa per bisogni suoi personali, magari sa di fare del male ma non sa quanto. Bisogna cercare di formulare le frasi sempre rivolte alla gioia degli altri più che a noi stessi se pensiamo di poter cadere nel vizio del manipolare il prossimo e riempirlo di sensi di colpa. Probabilmente come madre, e come donna, ho fatto tanti e diversi errori, almeno dove me ne rendo conto cerco di correggermi. E sono convinta che quando le cose si fanno con il cuore e con l’amore, anche l’errore più grave, se così vogliamo chiamarlo, può essere sostituito dalla pace e dall’armonia.

Prosit!

 

Un’altra complice carica di indizi

Scrivo questo articolo dopo averne postato uno che racconta tutto quello che sa dirci la nostra pipì. Potete leggerlo QUI se volete. Oggi, voglio tradurvi la lingua di un’altra grande nostra complice, una complice che noi stessi creiamo ma forse non sappiamo leggere al meglio. Essa è la pupù. Vi parrà strano ma è proprio così e, la maggior parte delle volte, la lasciamo fuggire via senza nemmeno darci un’occhiata. Bhè, gli esami delle feci esistono da molto tempo, molto più di quello che possiamo pensare e, quelli eseguiti ai giorni nostri, non hanno necessariamente bisogno sempre di un microscopio. Un occhio un pò esperto può, da esse, capire già molte cose prima di procedere a ricerche più specifiche.

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Innanzi tutto bisogna sapere che la nostra pupù è in correlazione con ciò che tratteniamo e ciò che espelliamo. Vedete, dovremmo andare in bagno una volta al giorno. Sarebbe  l’ideale. Se ci si va di più, o di meno, significa che può esserci qualche disguido. Ovviamente, i motivi principali a tali disturbi possono essere l’alimentazione, le patologie, i medicinali, i virus e i batteri, i cambi di temperatura repentini, i cambi di luogo e queste situazioni, in alcuni casi, le stabilirà il vostro medico ma, io vi racconterò qualcosa di meno conosciuto. Se non si va quotidianamente in bagno, si parla di stitichezza che può essere più o meno accentuata. La stitichezza significa trattenere e, naturalmente, non solo le feci. Anche i propri impulsi. Se si ha paura di dispiacere a qualcuno e di non essere più amati di conseguenza, ci si trattiene in determinati comportamenti. Questo potrebbe essere un motivo che causa un’evacuazione non regolare ma ce ne sono molti, molti altri. Ad esempio il non avere tempo di soddisfare i propri bisogni (in generale) avendo altre mille cose da fare che si reputano, nella nostra morale e nella nostra educazione, più importanti, oppure ancora, il rimanere aggrappati alle proprie idee che non riusciamo o non vogliamo cambiare. “Lasciar andare”. Questi sono solo alcuni esempi e portano, talvolta, al divenire avari. Avari non solo e non tanto dal punto di vista economico ma anche dei sentimenti, delle emozioni, della gratitudine nei nostri confronti per paura forse o per mille altre motivazioni. Avari anche solo con se stessi. Chi è stitico è solitamente una persona che vive troppo attaccata al passato. Non riesce a liberarsi di certi concetti, di certi ricordi. Non riesce a concentrarsi solo sul presente. Le situazioni che gli si ripropongono, lo portano a mettere in pratica gli insegnamenti ricevuti appunto in passato da situazioni simili e forse, giudicando un pò troppo, si lascia condizionare in ciò che deve invece fare oggi. Al contrario della stitichezza abbiamo la diarrea. La diarrea ha invece come significato il rifiutare qualcosa. Un qualcosa che ci infastidisce del quale vogliamo liberarci il prima possibile. Solitamente una situazione che ci crea angoscia, rabbia, frustrazione, inibizione, ansia, svalutazione, paura… A volte, anche un senso di colpa del quale vogliamo disfarci inconsciamente può trasformarsi in diarrea e, ovviamente, tutto è vivo in quella zona della mente che non sappiamo interpretare. Si tratta quindi di persone che soffrono di questo fastidio, che vogliono fuggire da ciò che causa loro il malessere. Persone che solitamente rimuginano sovente. Persone più propense a pianificare il loro futuro, a sperare che vada sempre tutto bene nel loro destino più prossimo. La diarrea potremmo affiancarla come somiglianza al vomito ma, mentre per il vomito si parla prevalentemente di ansia non decodificata, per quel che riguarda la diarrea dobbiamo anche specificare l’aver metabolizzato quel fastidio, averci ragionato sopra e, aver dato quindi a lui, il potere di crescere in noi divenendo insopportabile. La pupù dello stitico è asciutta, compatta, dura, quasi priva di acqua (fonte di vita), così come lo sono talvolta i suoi pensieri un pò troppo severi con esso stesso. La diarrea invece è un fermento! Un gran macello, con tantissima quantità d’acqua, troppa, che stiamo buttando via. Non per niente, lo sapete tutti, diarrea e vomito disidratano. “Uffi! Insomma cosa faccio adesso? Come andrà a finire (in futuro)? Via! Basta! Non ne voglio più sapere!”. Questo è ciò che dice il nostro inconscio in caso di diarrea prima che avvenga l’attacco manifestato come un disturbo.

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Andando a interpellare il pensiero positivo, egli ci consiglia di dirci e auto-convincerci con queste frasi che riporto qui sotto, a seconda di quale sia il nostro inconveniente.

La stitichezza può essere sconfitta con questo pensiero: “mi libero del passato, do’ meno peso ai pensieri e ai doveri e provo a ricominciare dall’inizio in modo più libero e armonico, soddisfacendo i miei bisogni”.

La diarrea invece può giungere al termine con questo pensiero: “tutto è in pace dentro di me. Mi rilasso e lascio che tutto scorra nei suoi giusti tempi. Al futuro non penserò mi focalizzerò sul presente”.

Provateci, con convinzione ovviamente. Le feci ideali dovrebbero essere come vi ho già detto quotidiane, della consistenza di una banana, la forma di una salsiccia e un colore che varia in diverse tonalità di marrone a seguito di quello che introduciamo nel nostro corpo.

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Il loro odore invece, è sgradevole si sa, ma non dovrebbe essere pestilenziale e nauseabondo. L’azione dei batteri, all’interno del nostro organismo, fa si che la pupù abbia un odore poco apprezzabile dal nostro olfatto ma, l’esagerazione, determina una cattiva alimentazione o altri fattori che aumentano la puzza. Tenetevi d’occhio quindi e anche di naso! “Andare di corpo” (autonomamente) è inoltre un importantissimo processo che rappresenta una delle fasi principali dello sviluppo dell’individuo, vale a dire la fase anale studiata da Freud nell’arco della sua professione.

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Una fase che avviene più o meno quando l’essere umano ha all’incirca 18 mesi di vita fino ai suoi 3 anni. E’ un periodo complesso questo, in cui s’iniziano a gestire gli sfinteri ossia ciò che si trattiene e ciò che si espelle. Un inizio della propria autonomia. Questo avviene con appagamento se si vive e si sorpassa una buona fase anale e ci ritroveremmo in seguito con una persona adulta equilibrata e serena da questo punto di vista. Freud però dice che, chi non percorre al meglio questo lasso di tempo, in cui le feci vengono viste come veri e propri doni (per la mamma), può divenire in futuro, quello che si identifica come persona dal carattere anale espulsivo o persona dal carattere anale ritentivo, e può essere soggetto a caratteristiche poco piacevoli non solo per gli altri ma soprattutto per se stesso. Di tutto ciò ci saranno naturalmente diversi gradi di disequilibrio, anche lieve, come la maggior parte di noi ha. Il carattere anale espulsivo tenderà ad essere disordinato, irascibile e voglioso di distruggere ciò che non gli sta bene con una spiccata forza nel riuscire a far di tutto per far si che le cose vadano come vuole lui. Il carattere anale ritentivo invece, potrebbe svilupparsi come persona timorosa, attenta, molto organizzata, ordinata, giudice e dalle vedute poco aperte nel senso che, come accennavo prima, tende a ristagnare nei ricordi.  Non sottovalutiamo mai la nostra pupù quindi e, soprattutto, non sottovalutiamo mai la quantità di volte in cui andiamo in bagno per espellerla.

Prosit!

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